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Virus 2020, Vaccino 2021, Guerra 2022. Le parole-chiave lette da Pellicciari

Dopo virus e vaccino, nessuno dei numerosi odierni commentatori di politica internazionale avrebbe immaginato che solo pochi mesi dopo, l’incontrastata parola del 2022 sarebbe stata guerra… Il commento di Igor Pellicciari

Un anno fa di questi tempi, decretavamo Vaccino come la parola che più aveva caratterizzato il 2021.

Scelta scontata, che seguiva un 2020 dominato dal termine Virus.

Nessuno dei numerosi odierni commentatori di politica internazionale avrebbe immaginato che solo pochi mesi dopo, l’incontrastata parola del 2022 sarebbe stata Guerra.

L’esplosione del Covid-19 (Febbraio\Marzo 2020) e solo due anni dopo del conflitto russo-ucraino (Febbraio\Marzo 2022), a pandemia ancora in corso, hanno creato uno scenario di doppia-crisi senza precedenti nella recente storia europea.

Accomunare razionalmente Guerra e Virus è stata una reazione comprensibile, favorita dalla facilità con cui molte leadership nel 2020 hanno fatto ampio ricorso al paragone bellico per descrivere l’esplosione pandemica e giustificare l’introduzione di misure eccezionali di limitazione delle libertà personali per il contenimento dei contagi.

Dopo avere dichiarato Guerra-al-Covid durante il lockdown e poi a seguire nel corso delle campagne vaccinali, allo scoppio di una “guerra vera” in Ucraina – mentre l’Oms ancora non aveva decretato la fine della pandemia – è venuto spontaneo collegare idealmente i due avvenimenti.

La normale attitudine a metterli in relazione tuttavia ha presto portato ad esagerazioni nel cercare ed anzi nell’enfatizzarne similitudini e collegamenti reciproci, come se fossero il risultato di un inevitabile determinismo storico.

Al di là dell’evidente tentativo, così facendo, di sviluppare un unico spirito di resistenza per meglio superarle entrambe, c’è da chiedersi cosa realmente accomuni due crisi così differenti nelle loro premesse.

Al suo comparire, la pandemia ha posto per la prima volta in contemporanea tutti i governi mondiali senza distinzione di fronte alla prospettiva di una medesima catastrofe naturale, presentando lo stesso tipo di problemi ed emergenze.

La contrapposizione a un virus sconosciuto ha di fatto sospeso molti dei conflitti tradizionali in corso – e quindi ha ridotto il livello di scontro nella Comunità Internazionale.

È stato un effetto fisiologico che ad alcuni ha dato l’illusoria impressione di trovarsi di fronte ad un re-set positivo dell’ordine mondiale, in chiave di “ri-globalizzazione”.

La guerra in Ucraina, al contrario, ha avuto un’origine puramente umana, detonata ahimè dal ripetersi di un evento oramai in disuso ma tutt’altro che nuovo come l’invasione militare di un Paese ad opera di uno confinante. Con la conseguenza che dal primo giorno del conflitto, la crisi ha aumentato il livello di conflittualità su scala mondiale.

Nonostante una genesi strutturalmente opposta, la stessa pandemia con il passare del tempo è stata accomunata al conflitto ucraino per il modo con cui si è adattata alle pre-esistenti fratture politiche internazionali. Contribuendo ad intensificarle piuttosto che ad attenuarle.

Crisi ucraina e pandemica sono dei Big-gamesscenario del confronto multipolare che oppone l’Occidentale a trazione statunitense alle emergenti potenze economiche, demografiche, tecnologiche eurasiatiche con al centro i Brics.

Ad esporre il Covid-19 a dinamiche di contrapposizione è stata l’entrata in gioco dei vaccini, ovvero della risposta umana ad una catastrofe naturale; che ha ottenuto il rallentamento della pandemia ma ne ha anche determinato una netta politicizzazione.

Con il valore della “salute-prima-di-tutto” messo in secondo piano nello scontro politico-commerciale tra un vaccino economico Occidentale e uno geopolitico Orientale, che nel 2021 sottolineammo proprio da queste pagine.

Questa vicenda ha riproposto, coniugata sul vaccino, lo scontro classico tra una concezione di governo statalista e una liberista e delle rispettive idee opposte di predominio pubblico o privato in settori chiave delle politiche statuali come la sanità. A cominciare dai soggetti che detengono proprietà e controllo sulle principali risorse necessarie per mettere in pratica queste stesse politiche.

A ben guardare, una simile tensione tra pubblico e privato coinvolge oggi la gestione di quei beni diventati centrali in conseguenza dello scenario bellico ucraino: dagli armamenti, alle materie prime\risorse naturali, alle fonti energetiche.

Anche in questo caso, si ripropone una suddivisione quasi frontale tra un Occidente dove questi asset sono largamente nelle mani di soggetti imprenditoriali privati che si muovono con logiche economiche e commerciali; e un Oriente dove invece rientrano nel totale controllo dello Stato e dei suoi obiettivi geopolitici di politica estera.

È un aspetto di non poco conto che accomuna pandemia e crisi ucraina e addirittura ricorda, con i dovuti distinguo, il vecchio scontro ideologico dei tempi della Guerra Fredda tra capitalismo degli Usa e statalismo sovietico dell’Urss.

Trent’anni dopo il crollo del bipolarismo, un Presidente a Washington continua ad avere maggiore legittimazione democratica e potere economico rispetto al suo omologo a Mosca. Tuttavia, egli deve accettare di non avere controllo diretto sulle principali risorse oggi richieste nella competizione politica internazionale, che rispondono agli interessi di interni centri di potere privati, che prendono decisioni con alti livelli di autonomia.

Si tratta di una cesura oramai talmente radicata tra idea di statualità occidentale e orientale da doverne tenere conto nell’attuale pericolosa situazione di impasse del dialogo tra Washington e Mosca.

Con l’Europa, tanto per cambiare schiacciata tra i due contendenti, a non preoccuparsi di restare senza forniture di cibo, energia, armi, vaccini; ma del loro futuro prezzo d’acquisto.

Nella speranza che nel 2023 parola dell’anno non diventi Recessione.



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