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Zelensky, gli Usa, il Congresso e la Nato. Conversazione con Del Pero

Per il docente di SciencesPo il viaggio a Washington del presidente Zelensky è servito a sensibilizzare il Congresso, a rafforzare il legame con gli Stati Uniti e a mandare un messaggio contro eventuali titubanze sul sostegno all’Ucraina in ambito Nato

“Il vostro denaro non è beneficenza”, ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, parlando al Congresso quattro giorni fa dell’assistenza finanziaria statunitense all’Ucraina. “È un investimento nella sicurezza globale e nella democrazia che gestiamo nel modo più responsabile”, perché “questa lotta definirà in quale mondo vivranno i nostri figli e nipoti”.

So much in the world depends on you”, è il senso generale che Zelensky ha voluto tramettere passando da quel “il mio popolo in difficoltà crede in voi”, che per David Frum si porta dietro “una sfida: se noi crediamo in voi, forse voi potete tornare a credere in voi stessi?”. Passaggi chirurgici di una visita perfetta per contenuti e tempistica.

D’altronde, dalla seconda guerra mondiale in poi – da quando gli Usa sono l’egemone dell’ordine globale – il “viaggio americano” è diventata consuetudine per i leader degli altri Paesi: strumento con cui chiedere aiuti materiali e, ancor più, ricevere una sorta d’investitura di legittimità da usarsi tanto sul piano interno quanto su quello internazionale, fa notare Mario Del Pero, docente di Storia Internazionale e Storia della politica estera statunitense all’Institut d’études politiques di Parigi.

“Zelensky non mi pare ne abbia bisogno sul piano interno (anche se bisognerebbe capire quali siano le dinamiche interne ai gruppi di potere ucraini, i rapporto con i militari eccetera): quindi le motivazioni primarie sono relative al contesto internazionale e ai rapporti con gli Stati Uniti”, spiega il docente in una conversazione con Formiche.net.

La visita a Washington del presidente ucraino ha avuto due momenti ben distinti: il primo è stato la conferenza stampa congiunta dopo l’incontro con Joe Biden, in cui i due leader hanno tracciato il perimetro dell’ampissima partnership e – come sottolineava su queste colonne Nona Mikhelidze (IAI) – segnato “un salto di qualità” nelle relazioni. L’altro momento è stato il discorso al Congresso, riunito in seduta congiunta per l’occasione: un passaggio emozionale, dove Zelensky ha usato chiavi comunicative forti quanto incisive.

Un discorso, quello tenuto davanti ai legislatori americani (i quali poi nelle ore successive hanno approvato la legge di spesa governativa da 1.700 miliardi di dollari evitando uno shutdown natalizio e includendo nei finanziamenti anche il sostegno all’Ucraina), che secondo Del Pero è stato “appassionato, interessante e furbo, capace di offrire efficaci riferimenti storici alla guerra d’indipendenza americana (Saratoga) e alla seconda guerra mondiale (Ardenne)”. La guerra ucraina come la guerra di libertà di un popolo mette in chiaro che la sicurezza e la democrazia debbono essere collettive e globali: è il senso di quel destino comune – “i nostri figli e nipoti”, appunto.

“Chiunque l’abbia scritto ha fatto un ottimo lavoro; e Zelensky, con tono grave e virile, l’ha trasmesso molto bene”, aggiunge il docente. Soprattutto perché davanti a lui c’era un’assise particolare. Il Congresso è in scadenza: da gennaio se ne insedierà uno in cui la Camera dei rappresentanti sarà controllata dai repubblicani, e dove un peso maggiore avrà quella fazione più radicale, e in larga misura ancora trumpiana, che ha espresso perplessità rispetto a quello che il probabile futuro speaker della Camera, Kevin McCarthy, ha definito un “assegno in bianco’” dato dall’amministrazione Biden a Kiev.

“Vengono tutti da quel gruppo i 57 rappresentanti – sottolinea Del Pero – che in maggio votarono contro il pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari stanziati a favore dell’Ucraina. Sul breve è difficile immaginare rotture della linea bipartisan di appoggio a Kiev (e l’accoglienza del Congresso a Zelensky ce lo dimostra), anche perché al Senato, in mano democratica e meno esposto alle turbolenze della Camera, il blocco regge bene e una maggioranza chiede anzi di aumentare gli aiuti militari all’Ucraina”.

Washington dunque resta ferma sulla linea? “Con un’opinione pubblica pro-Kiev ma meno che a inizio conflitto, e un’amministrazione dove si levano alcune voci critiche verso Zelensky, per Kiev l’appoggio degli Usa va preservato attivamente, come il presidente ucraino ha cercato di fare con questo viaggio”, risponde il docente di SciencesPo. Che sottolinea un altro elemento riguardo all’approccio dell’amministrazione Biden: “Dal rapporto dell’intelligence Usa sull’assassinio della figlia di Alexander Dugin in poi, si è avuta l’impressione che da Washington siano giunte sollecitazioni alla cautela a Kiev: a evitare di alzare la soglia dell’escalation”.

Inoltre, nota Del Pero, ottenere questa rinnovata investitura di legittimità offre ovviamente un capitale politico da spendersi anche rispetto alla Nat: “Zelensky dice, ovvero fa dire agli Usa, che l’appoggio rimane totale e incondizionato. Lo fa dire al soggetto egemone che federa questa rinnovata coesione atlantica. Caso mai qualcuno dentro l’Alleanza avesse pensato di usare le titubanze dell’amministrazione di cui sopra per provare a smarcarsi”.

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