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L’attentato in Nigeria? Non è una guerra contro i cristiani. Parla padre Albanese

Conversazione con padre Giulio Albanese, missionario comboniano dal lunghissimo servizio in Africa: “Quello che è successo è sintomatico di un malessere che è trasversale al sistema Paese. Noi occidentali dovremmo fare un serio esame di coscienza”

Non è una guerra contro i cristiani il barbaro attacco alla residenza parrocchiale della chiesa dei Santi Pietro e Paolo, a Kafin-Koro, nella regione di Paikoro, dove padre Isaac Achi è stato bruciato vivo. Si tratta piuttosto dell’ennesimo attentato perpetrato da una delle tante bande criminali che infestano la Nigeria.

Lo dice a Formiche.net Padre Giulio Albanese, già direttore del New People Media Centre di Nairobi e fondatore nel 1997 della Missionary international service news agency (Misna), autore per Einaudi del pamphlet “Vittima e carnefice”.

Il nunzio apostolico in Nigeria, monsignor Antonio Guido Filippazzi, ha detto che la Nigeria dovrebbe essere in grado di proteggere i diritti e le proprietà di tutti i cittadini, senza distinzione. In che modo?

Stiamo parlando di un Paese che è profondamente segnato dalle diseguaglianze, dove a pagare il prezzo più alto sono i ceti meno abbienti. Tenga presente che questa è la nazione più densamente abitata e più popolosa dell’Africa subsahariana e la cosa interessante è che la stragrande maggioranza della popolazione fa fatica a sbarcare il lunario. Parliamo peraltro di 250 gruppi etnici e quando parliamo di gruppi etnici è come se parlassimo di nazioni. Noi le chiamiamo, purtroppo ingiustamente, tribù. È un’espressione coloniale.

Quale il problema di fondo?

Che è un Paese che galleggia sul petrolio. Quindi se quella ricchezza fosse messa a disposizione della gente, beh sarebbero sicuramente più ricchi degli abitanti del Canton Ticino. Perché dico questo? Perché è assurdo che un Paese così ricco debba essere ostaggio di questo tipo di criminalità. La verità è che molte persone non potendo sbarcare il lunario, purtroppo sono costretti molte volte per poter sopravvivere ad essere fagocitate da queste bande criminali. Dunque commettono questi atti che, è importante tenerlo presente, non sono esclusivamente diretti contro i cristiani.

Chi uccide non ce l’ha contro i cristiani?

No. Ce l’ha con chiunque abbia denaro. E in questa fattispecie è evidente che un’organizzazione come la parrocchia, che comunque possiede denari che, in parte, vengono utilizzati per le attività pastorali e caritatevoli, diventi un obiettivo sensibile. Per capire quelle dinamiche è utile affrontare il tema delle diseguaglianze: il paradosso grida vendetta al cospetto di Dio. Nel senso che circa il 5% della popolazione nigeriana possiede una ricchezza superiore al restante 95%. Quindi la forbice cresce a dismisura e si è acuita.

Soprattutto dopo la guerra in Ucraina?

Sì, soprattutto a seguito della crisi russo-ucraina. Lo dico perché l’inflazione che è schizzata alle stelle ha fatto salire anche il debito. La guerra che insanguina l’Europa Orientale ha contribuito a un innalzamento significativo dei prezzi del greggio, il cui impatto sull’economia locale è stato, ed è l’aspetto a mio avviso negativo, largamente vanificato dagli effetti della riduzione della liquidità a livello globale, data dall’aumento dei tassi di interesse della Fed. La verità è che c’è un’economia nazionale che purtroppo sta implodendo, nonostante tutta questa ricchezza, e il governo non è assolutamente in grado di garantire alcuna forma di welfare.

Prossimità delle elezioni, terrorismo, scontro etnico: quanto influiscono questi elementi?

Essendoci poveri dappertutto, è chiaro che molti giovani vengono risucchiati dalla malavita organizzata e compiono azioni criminali, non solo nei confronti delle comunità cristiane, delle chiese, delle parrocchie ma anche delle abitazioni e di esercizi privati. Quindi c’è una condizione davvero di insicurezza dilagante ed è evidente che quello che è successo è sintomatico proprio di questo malessere, che è trasversale al sistema Paese. Ci sono tre forme di terrorismo oggi in Nigeria. La prima è quella che viene maggiormente mediatizzata e che investe in particolare le regioni settentrionali, in particolare l’epicentro nello Stato del Borno. Quella zona è la roccaforte del gruppo eversivo Boko Haram.

Cosa chiedono?

Vogliono imporre la sharia a tutti i costi e intendono destituire il governo centrale di Abuja. Se è pur vero che questo terrorismo negli anni ha seminato morte e distruzione, non conduce una guerra solo contro i cristiani. Innanzitutto questi personaggi strumentalizzano la religione per fini eversivi e dunque loro considerano nemici da eliminare chiunque si opponga al loro delirio di onnipotenza. Nel mio saggio “Vittima e carnefice” ho parlato delle persecuzioni nel mondo e ho affrontato anche il tema della Nigeria. Se facciamo un computo delle persone che sono state uccise da Boko Haram in questi anni, è più alto il numero dei musulmani rispetto al numero dei cristiani. Sono state colpite moschee, come sono anche state colpite caserme, come sono state colpite anche le chiese. Però attenzione, quello che è importante tener presente è che se hanno colpito obiettivi cristiani, come possono essere le chiese le parrocchie, lo hanno fatto fondamentalmente perché era l’unico modo per Boko Haram di avere visibilità a livello mediatico. La Chiesa viene considerata come espressione del colonialismo occidentale e quindi, come dire, la loro è in ogni caso una strumentalizzazione della religione per fini eversivi. Non dimentichiamo che questo terrorismo non ha eliminato in questi anni solamente i cristiani, ma direi la società civile in senso lato. Tenga presente che al nord del Paese la popolazione è per lo più islamica, ma gli attacchi sono stati perpetrati anche a sud… In questi anni hanno compiuto attentati addirittura a Jos e nella capitale Abuja, però il grosso delle operazioni è nella fascia settentrionale. È anche vero che hanno compiuto rapimenti in scuole cristiane, sequestrando ragazze, ragazzi, giovani. Ci sono stati vari episodi. Alcuni di questi hanno avuto anche una grande attenzione da parte della stampa internazionale. Ma Boko Haram, tengo a sottolinearlo non è stato responsabile dell’attentato di domenica scorsa. C’è poi una seconda forma di terrorismo: quella legata alla contrapposizione tra pastoralisti e agricoltori.

Ovvero?

Direi una vera e propria guerra civile scatenata dalle popolazioni dedite alla pastorizia del Nord nei confronti degli agricoltori del Sud. Tale contrapposizione ha fatto sì che ci fosse una guerra per il controllo dei terreni, visto che i pastori che popolano il nord vivono in zone svantaggiate dove c’è una forte aridità, e hanno bisogno di pascoli, per cui si spingono a meridione e naturalmente quando compiono questi raid per averne il controllo purtroppo spesso commettono uccisioni e violenze. C’è poi anche una terza forma di terrorismo, quella dilagante nel sistema Paese e avviene per mano di bande di ladri e organizzazioni criminali. Quello che è successo domenica a Kafin-Koro è emblematico della ferocia di questa gente che saccheggia, opera rapimenti a scopo di estorsione, uccide solo per denaro!

Attacco codardo e disumano, lo ha definito il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

È evidente che quello che è successo domenica è un’azione non propriamente terroristica nel senso che non è legata ad un progetto politico o ideologico, ma dal punto di vista delle modalità lo è, eccome! Perché se tu vuoi compiere un furto, certamente non è che dai a fuoco un intera casa e uccidi un povero disgraziato bruciandolo vivo. Per cui queste azioni dimostrano una follia: molti di questi giovani che operano in queste bande armate sono sotto effetto di sostanze stupefacenti. Le autorità locali di fronte a questo scenario non sono in grado di difendere lo stato di diritto, sono latitanti.

Quale il vero problema della Nigeria?

Questo è un Paese che ha ottenuto la democrazia nel 1999 con la scelta lungimirante dell’allora presidente Abdulsalami Abubakar. Io ebbi modo di conoscerlo in Sierra Leone. Il primo presidente democraticamente eletto è stato Olusegun Obasanjo. Adesso c’è Muhammadu Buhari, ma tutti questi presidenti che avrebbero dovuto garantire il rispetto delle regole proprio per consolidare la democrazia, purtroppo hanno spesso fallito nel garantire le riforme di cui aveva bisogno il Paese.

Per quale ragione?

Perché molte delle riforme avviate con il ritorno della democrazia si sono arenate e in alcuni casi, a mio avviso, hanno addirittura fatto passi indietro. Al di là delle promesse nei loro programmi elettorali, nessuno è riuscito davvero a combattere la corruzione. Inoltre ci sono state altre riforme che si sono dissolte in bolle di sapone. Penso per esempio alla riforma del settore dell’elettricità o ad altre sul tema della sicurezza della popolazione civile. La gente, nelle grandi periferie ma anche nelle zone rurali, è spesso abbandonata a se stessa. Per cui appare chiaro a tutti che una nazione come la Nigeria, che è davvero un’economia forte in quello che è il contesto geopolitico dell’Africa subsahariana, non dovrebbe permettersi questi scivoloni.

Ora, io sono il primo a dire che ci sono state grosse responsabilità in questi anni per una mala politica da parte delle multinazionali straniere, ma è anche vero che c’è stata una grande responsabilità della leadership locale.

L’Occidente cosa può fare in concreto?

Noi occidentali (ma a dire il vero anche i cinesi) dovremmo fare un serio esame di coscienza. Lo dico perché la corruzione – male antico dell’Africa e in particolare della Nigeria – è un’operazione di business. Il che significa che da una parte c’è la domanda e dall’altra c’è l’offerta. Da una parte il corrotto e dall’altra il corruttore. Ora, se lei va a leggere il rapporto sulla corruzione nel mondo che viene stilato ogni anno da una benemerita organizzazione non governativa americana, che si chiama Freedom House, al primo posto nell’elenco ci mettono sempre i Paesi africani e la Nigeria è uno di questi. Da notare che si fa sempre il computo dei soldi che finiscono nelle tasche delle classi dirigenti locali, quindi dei corrotti, ma non si fa mai il computo dei denari che finiscono nelle tasche dei corruttori (potentati stranieri, multinazionali…). Se dovessimo mettere sui due piatti della bilancia da una parte i denari che finiscono nelle tasche dei corrotti e sull’altro piatto i soldi che finiscono nelle tasche dei corruttori, scopriremmo che i Paesi più corrotti al mondo sono proprio i nostri. È inutile che noi occidentali parliamo della centralità dei diritti umani se poi il nostro business in Africa è di segno contrario.

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