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Autonomia, Meloni stretta tra la Lega e la fronda di FdI

Per Fratelli d’Italia dovrebbe essere meno traumatico accettare l’autonomia differenziata di cui la Lega in generale e Roberto Calderoli in particolare hanno fatto la propria bandiera, rispetto a quanto fu difficile, in passato, per An digerire il federalismo. Dovrebbe, ma in effetti non è così. Il commento di Andrea Cangini

Agli albori della cosiddetta Seconda Repubblica, Alleanza nazionale piegò la propria ragion di Stato alle ragioni della coalizione e mandò giù il federalismo caro a una Lega che aveva ancora l’aggettivo qualificativo Nord nel nome e il secessionismo nel cuore. Da allora la Lega è cambiata. Matteo Salvini ha sbianchettato la parola Nord e con un balzo improvviso è passato dal secessionismo al nazionalismo. Per Fratelli d’Italia, che di Alleanza nazionale è la germinazione politica, dovrebbe pertanto essere meno traumatico accettare l’autonomia differenziata di cui la Lega in generale e Roberto Calderoli in particolare hanno fatto la propria bandiera. Dovrebbe, ma in effetti non è così.

“L’autonomia differenziata mette repentaglio l’unità dello Stato. Dovrebbe andare di pari passo con il presidenzialismo e rischia di creare regioni di serie A e regioni di serie B”: lo ha detto il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, che i tempi della sezione romana Colle Oppio del Fronte della gioventù era il capo di Giorgia Meloni e oggi di Giorgia Meloni è la principale spina nel fianco in quanto capofila di una corrente che richiama la leader all’ortodossia delle origini. C’è da credere che, nel merito, Giorgia Meloni sia d’accordo con Fabio Rampelli. Ma Salvini si è impuntato, vuole a tutti i costi che il governo licenzi già la prossima settimana il decreto sull’autonomia e lo vuole, evidentemente, per avere una bandiera da sventolare alle imminenti elezioni regionali lombarde. Fosse per Giorgia Meloni non lo spunterebbe, ma le ragioni della coalizione la inducono a più miti consigli.

Si lavora, dunque, di cesello. Dovrebbero essere espunte dal decreto Calderoli buona parte delle materie strategiche previste dall’articolo 117 della Costituzione su cui le regioni avrebbero potestà legislativa: le grandi reti di trasporto e navigazione, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, l’ordinamento delle comunicazioni, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. Resteranno, invece, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. A scomparire sarà anche la ventilata possibilità di intervenire sui Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) attraverso Dpcm, in favore di una più ragionevole procedura per legge ordinaria.

È probabile che Matteo Salvini si accontenti, è difficile che ad accontentarsi sia Fabio Rampelli. E questo per Giorgia Meloni è un ulteriore problema.

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