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Burns in Libia. Gli Usa nel dossier (e sulla Wagner?)

Il capo dell’intelligence statunitense è in Libia per testare sul campo la situazione interna, nonché per trattare specifici dossier (come per esempio il ruolo del Wagner Group). La visita anticipa l’incontro che l’inviato speciale statunitense ha organizzato a Washington con i collegi di Italia, Francia, Germania e Regno Unito per discutere su come superare lo stallo istituzionale

Il direttore della Cia, William Burns, è stato oggi, giovedì 12 gennaio, in Libia per incontri con gli attori locali attraverso cui ricostruire la situazione in corso – e probabilmente evitare derive complesse che possano riaprire il fronte militare e facilitare dinamiche legate al caos. Il capo dell’agenzia di intelligence statunitense ha incontrato il primo ministro Abdelhamid Dabaiba, che guida un esecutivo senza fiducia parlamentare creato attraverso un processo sponsorizzato dalle Nazioni Unite. Dopo il faccia a faccia di Tripoli, stando alle informazioni ottenute da Formiche.net, Burns ha visto il capo miliziano di Bengasi, Khalifa Haftar, nella sua roccaforte a Rajam, mentre non ci sono notizie su un incontro di cui si era parlato in mattinata con il presidente del Parlamento, Agila Saleh, a Tobruk (dove il braccio legislativo è auto-esiliato dal 2014).

Attualmente la Libia è tornata divisa in due tronconi. Uno sostiene Dabaiba, ed è composto da forze – politiche e milizie armate – localizzate maggiormente in Tripolitania. L’altro è strutturato attorno alla figura di Fathi Bashaga, ex ministro di un precedente governo onusiano, che è riuscito a ottenere la fiducia parlamentare, ma non è mai stato in grado di implementare questo passaggio politico-istituzionale nei fatti. Il suo esecutivo, frutto di un parziale accordo tra forze – anche in questo caso politiche e milizie armate – di Misurata, Tobruk e Bengasi, non è mai riuscito a entrare fisicamente a Tripoli.

Lo stallo istituzionale che da mesi attanaglia il Paese, rischia di scivolare verso lo scontro armato, dato che dal punto di vista politico non sembra possibile il superamento di diversi ostacoli creati dai blocchi. Il viaggio di Burns secondo fonti locali era legato anche a questioni specifiche che riguardano dossier securitari (terrorismo e criminalità, nonché le questioni della sicurezza energetica). Un tema da non sottovalutare dietro alla visita e all’interesse americano per il dossier libico riguarda la presenza russa. Il Wagner Group – operativo sul fronte ucraino – è ancora in Libia, nell’area a sud di Sirte e ad al Jufra, acquartierato in basi condivise con i miliziani di Haftar. Controllare l’attività dei mercenari del Cremlino è una degli interessi prioritari che gli Usa portano avanti in Libia.

Gli Stati Uniti hanno anche per questo alzato alcune delle attività diplomatiche sul dossier. Per esempio, l’inviato speciale americano, l’ambasciatore Richard Norland, ha convocato per venerdì 13 un incontro a Washington di tutti i colleghi internazionali alleati – Francia, Germania, Regno Unito e Italia con il diplomatico Nicola Orlando – che si occupano di Libia per decidere una via comune su come cercare di superare le divisioni interne. E come implementare le iniziative dell’inviato onusiano Abdoulaye Bathily.

Norland, dalla scorsa estate, sta lavorando per creare un “meccanismo per controllare la spesa” in mezzo alla situazione di stallo della governance (la Banca centrale libica aveva bloccato i fondi e non c’è un bilancio statale approvato). Gli Stati Uniti hanno soprannominato il vettore politico-diplomatico “Mechanism for Short Term Financial, Economic and Energy Dependability” o “Mustafeed”. Questo potrebbe fornire una funzione pseudo-governativa a breve termine fino allo svolgimento delle elezioni. In sostanza, il Mustafeed potrebbe eludere la controversia tra il governo di Dabaiba (acronimo GNU) e quello di Bashaga (GNS).

È un’idea che circola da mesi tra varie cancellerie impegnate sulla Libia e ora è in qualche modo spinta dall’Onu e dal Consiglio presidenziale. Sarebbe un modo per trovare una terza via, se accettata da tutti, e affidare a essa il percorso verso le elezioni. Anche l’Italia – che nei prossimi giorni porterà la sua presenza in Libia prima con la visita del ministro Antonio Tajani e poi con quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – è sostanzialmente d’accordo sulla necessità di superare la crisi attraverso un sistema che garantisca equilibri tra i vari attori e fornisca le basi per rilanciare il percorso di stabilizzazione interrotto.

Su questo, l’Egitto anche ha provato — seguendo un’attività che va avanti da tempo — a farsi terreno di incontri con un recente vertice tra i leader libici organizzarla al Cairo. L’aumento del caos interno rischia di creare un terreno favorevole a destabilizzazioni, spinte anche per creare difficoltà ulteriori all’interno del Mediterraneo (la Russia è per esempio un attore che sulla Libia ha sempre giocato di ambiguità e destabilizzare quel dossier potrebbe distogliere l’attenzione di alcuni Paesi europei dalla guerra ucraina?).

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