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La Cina si fa la sua IA generativa, tra censura e innovazione

Pechino vuole sfruttare al meglio i vantaggi di questo importante strumento. Ne vale, infatti, parte della sua sfida con l’Occidente. Al momento, nonostante ci siano delle realtà avviate, la strada percorrere è ancora lunga. Serviranno delle leggi apposite in grado di porre dei paletti e, probabilmente, anche un cambio di mentalità

Il 2023 potrebbe essere (anche) l’anno dell’Intelligenza Artificiale Generativa e tutti cercano di salire sul suo carro prima che sia troppo tardi. Per riuscirci bisogna padroneggiarla e capire quali sviluppi può portare alla società grazie ai suoi strumenti. In sostanza, è necessario investirci. Da tempo lo stanno facendo i Paesi occidentali, a iniziare dagli Stati Uniti, ma anche la Cina, seppur con un po’ di ritardo. Avendo compreso che parte della sfida del futuro si giocherà nel campo tech, Pechino sembra aver compreso l’importanza di sviluppare una propria IA Generativa su cui basare il proprio successo.

La strada che la Cina ha intrapreso sembra essere quella giusta, ma bisognerà assestare il terreno affinché possa correrci sopra. Un esempio del successo cinese è rappresentato da Taiyi, un modello di apprendimento costruito da Idea, il laboratorio di ricerca al cui capo vi è Harry Shum. È uno dei padri di Microsoft Research Asia, la più grande dislocazione del colosso statunitense al di fuori dai confini nazionali. Secondo gli esperti del settore, il successo di Taiyi è dovuto all’appoggio delle istituzioni di cui gode, grazie alle quali può ricevere finanziamenti per lavorare su prodotti innovativi.

In generale però, per far sì che le aziende cinesi possano competere realmente sul mercato, ci sono dei difetti che devono essere limati. È il caso di Ernie-Vilg lanciato da Baidu, un altro modello apprendimento automatico molto simile a quello offerto da Dall-E 2 o Stable Diffusion, basato quindi sul text-to-image. Secondo il metodo di deep learning, il sistema è stato indottrinato con 145 milioni di immagini, ma alcune di queste sono distorte o quantomeno poco realistiche. Così come lontane dalla verità sono le immagini riprodotte da Different Dimension Me, il sito web realizzato da Tencent che trasforma le persone in anime giapponesi. Un tentativo divertente, ma con un grande problema alla base: la piattaforma non riesce a captare le persone di colore o in sovrappeso, con l’ovvio risultato di passare per discriminatoria.

Così come avviene per tanti soggetti all’interno della Cina, anche il settore tecnologico è rigidamente sottoposto alle leggi che vengono emanate. Queste, per l’IA Generativa, rappresentano due facce della stessa medaglia. Le aziende vengono infatti fortemente limitate nel loro spazio di manovra, come nella ricerca delle parole. Molte di queste vengono considerate sensibili e, pertanto, impresentabili. Inserendo ad esempio Piazza Tiananmen non vengono riprodotte immagini per il suo significato simbolico. Le parole “democrazia” e “governo”, invece, si possono trovare ma non se associate a “democrazia in Medio Oriente” o “governo britannico”. A raccontarlo è il MIT Technology Review, che ha riportato il messaggio che appare quando il sistema si scontra con queste parole: “Il contenuto inserito non soddisfa le regole pertinenti. Si prega di riprovare dopo averlo modificato”.

Come scrive il periodico dell’Università del Massachusetts, il confine tra censura e moderazione è molto labile. In ogni parte del mondo possono esserci delle divergenze che partono dalle proprie radici, ma se di mezzo c’è la Cina i ragionamenti non si fermano all’aspetto culturale. “Quando si tratta di simboli religiosi, in Francia nulla è consentito in pubblico e questa è la loro espressione di laicità”, riflette Giada Pistilli, principal ethicist dell’azienda americana Hugging Face. “Quando vai negli Stati Uniti, laicità significa che tutto, come ogni simbolo religioso, è permesso”. Nell’esempio specifico di Ernie-Vilg, “vengono censurati perché glielo dice la legge? Lo fanno perché ritengono sia sbagliato? È sempre utile spiegare le nostre argomentazioni, le nostre scelte”.

Tuttavia è proprio grazie dalle nuove leggi che potrebbe arrivare l’impulso positivo. Il governo centrale le chiama “deep synthesis tech” e dovrebbero servire a spiegare quale tecnologia viene utilizzata dall’IA Generativa e in che modo. Così facendo, chi sta dietro alle piattaforme avrà la possibilità di far capire all’utente il loro modus operandi, senza incappare in accuse di censura. Al momento, viene vietata la riproduzione di immagini o video che non rispecchiano la realtà.

Di più rilevante importanza appare il futuro, le cui decisioni per regolarlo devono essere prese oggi. Una legislazione dettagliata e attenta può aiutare questo settore a crescere insieme alla concorrenza. Bisognerà però cambiare anche l’approccio alla materia perché, a differenza degli occidentali, i cinesi vedono l’IA come uno strumento per aumentare i propri guadagni, con incassi extra lavorativi che possono essere ottenuti in modo piuttosto semplice.

Allo stesso modo, ancora troppe aziende cinesi sfruttano la tecnologia per crescere nel breve termine piuttosto che un aiuto per progredire. Per tutto questo, le leggi possono aiutare ma non risolvere l’intero problema.

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