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Un Congo in fiamme attende papa Francesco

Papa Francesco arriva in Repubblica democratica del Congo: un Paese dilaniato dal conflitto e su cui interessi regionali si allungano, mentre migliaia di famiglie sono vittime delle azioni armate dei ribelli M23. Rischio scontro con il Ruanda, mentre anche l’Uganda ha i propri interessi nel Paese

Quando domani papa Francesco arriverà in Repubblica democratica del Congo (Rdc) per annunciare il Vangelo della conciliazione, troverà un clima bollente. Il livello di tensioni tra congolesi e ruandesi è altissimo. Da Kinshasa è partita anche un’accusa di “atto di guerra”, dopo che martedì 24 gennaio unità armate ruandesi hanno sparato contro un jet da combattimento della Rdc che, a detta loro, aveva violato il proprio spazio aereo.

Un “atto deliberato di aggressione che equivale a un atto di guerra” volto a minare un accordo di pace per porre fine all’offensiva del gruppo ribelle tutsi M23, dice Kinshasa. L’M23 è un gruppo attivo da anni che rivendica di combattere per sostenere i diritti dei congolesi di origine ruandese. Ma è anche un asset clandestino del Ruanda, usato per azioni di destabilizzazione all’interno del Congo.

Kigali rilancia riguardo alla vicenda dell’area, una delle più segnanti recenti: era stato violato lo spazio aereo a Rubavu, la stessa area di precedenti presunte violazioni, “spingendo il governo a prendere misure difensive”. Il Congo, gli esperti delle Nazioni Unite e le potenze occidentali hanno accusato il Ruanda di sostenere l’M23 nel Congo orientale. I ribelli si sono  impadroniti di diverse città e villaggi durante i nuovi combattimenti nel corso degli ultimi sei/dodici mesi. Il Ruanda ha negato qualsiasi coinvolgimento.

A novembre i leader regionali hanno mediato un accordo in base al quale il gruppo combattente avrebbe dovuto ritirarsi dalle posizioni recentemente conquistate entro il 15 gennaio, nell’ambito degli sforzi per porre fine ai combattimenti che hanno causato lo sfollamento di almeno 450.000 persone. L’accordo, siglato a Luanda, era debole: tanto che gli M23 non erano stati nemmeno invitati.

Il presidente congolese, Felix Tshisekedi, ha dichiarato la scorsa settimana che i ribelli non si sono ritirati da quelle aree. Anzi: l’accusa contro il Ruanda è che stia sostenendo questo non ritiro. L’M23 è una presenza di carattere quasi strategico per Kigali. Il quarantesimo viaggio di papa Francesco, il quarto in Africa, arriva in questo contesto di guerra (non solo) per procura.

Le tensioni sul fronte orientale hanno spinto il Congo ad assumere gruppi militari privati – una mossa che secondo il Ruanda è altrettanto un’indicazione di volere un conflitto. Kinshasa ha assunto una società militare bulgara per collaborare con l’esercito nella regione di contatto, come annunciato Tshisekedi in un’intervista rilasciata durante il World Economic Forum di Davos.

L’est del Congo è un’area ricca di minerali, ma che non può esprimere le sue potenzialità perché è affossata dal conflitto sin dalla metà degli anni Novanta, quando le conseguenze della guerra civile e del genocidio in Ruanda si sono estese oltre il confine avvolgendo più di una mezza dozzina di nazioni africane. Nonostante un accordo di pace del 2003, gli scontri persistono, con circa 100 gruppi armati attivi nella regione e più di 4 milioni di persone sfollate a causa del conflitto, secondo le Nazioni Unite.

Il rischio è che le tensioni si trasformino in nuovi scontri, con il potenziale di diffusione regionale che è altissimo. Negli ultimi due decenni gli Stati confinanti hanno combattuto guerre per procura o inseguito i ribelli in Congo, mentre le Nazioni Unite hanno dispiegato nel Paese una delle più grandi missioni di mantenimento della pace. Il problema è che le istanze onusiane, presenti dal 1999, non hanno più troppa presa sia all’interno del processo politico, sia per quanto riguarda i Caschi Blu, che faticano nel contatto con la popolazione locale.

“I presidenti Paul Kagame e Félix Thisekedi devono sforzarsi di disinnescare il conflitto tra Ruanda e Repubblica democratica del Congo, smorzando le tensioni attraverso il dialogo”, ha detto Hunan Xia, il diplomatico cinese che fa da inviato Onu per la Regione dei Grandi Laghi. Ma si tratta di appelli di circostanza, stanchi e senza una progettazione.

La compagnia militare privata è stata ingaggiata per “rafforzare la capacità del nostro esercito”, ha dichiarato Tshisekedi nell’intervista, e sta fornendo al Congo “le strategie e le tecniche necessarie per poter sconfiggere questi terroristi che stanno avvelenando le nostre vite”. Tshisekedi ha anche invocato l’aiuto dell’Uganda, che ha schierato le sue truppe a cavallo del confine orientale congolese (ma il problema è che Kampala, esattamente come Kigali, è interessata ai beni naturali della Rdc e potrebbe prima o poi presentare il conto per questo aiuto).

Il Ruanda ha accusato il Congo di aver violato un processo di pace in corso continuando a sostenere un gruppo armato legato agli autori del genocidio del 1994. Il Ruanda, che soffre il peso di migliaia di rifugiati congolesi presenti sul proprio territorio, ha dichiarato di considerare il presunto sostegno del Congo al Fronte Democratico per la Liberazione del Ruanda e ad altri “gruppi armati illegali” nel Congo orientale come una minaccia alla sua sicurezza. I tutsi M23 sono l’arma ruandese per sfruttare le debolezze del Kivu e dunque del Congo; contemporaneamente sono i nemici degli hutu interahamwe del Fronte – che però sono fermi e dal 2001 non compiono più azioni pubbliche.

Nel dossier è recentemente entrato anche il Kenya: Nairobi su questo scenario si gioca un pezzo di credibilità perché guida la missione dell’East African Community che dovrebbe stabilizzare il conflitto sancendo il ruolo kenyota come agente principale per la stabilità nella regione.

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