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Cosa ci lascia Benedetto XVI. Il commento di Bonanni

Non cesserà per molti di noi la suggestione provocata dai suoi insegnamenti relativi all’essenza del cristianesimo quale approdo di salvezza per ogni persona umana, quale bussola per i popoli in ricerca del proprio destino di sviluppo nella fraternità. La riflessione di Raffaele Bonanni

Con i funerali solenni di Papa Benedetto XVI si concludono formalmente i giorni del lutto della Chiesa Cattolica e gli onori che i rappresentanti delle nazioni hanno inteso offrigli nel rispetto per un grande del cattolicesimo. Ma non cesserà per molti di noi la suggestione provocata dai suoi insegnamenti relativi all’essenza del cristianesimo quale approdo di salvezza per ogni persona umana, quale bussola per i popoli in ricerca del proprio destino di sviluppo nella fraternità.

Il giorno della sua morte, ho rimeditato sulle sue principali conferenze che tanto lo hanno impegnato nella sua lunga vita di sacerdote e teologo. In quel ricordo si è fissata in me la convinzione che la sua catechesi è già presente nella collana delle perle più belle della Chiesa Cattolica. Di Benedetto hanno avuto paura i “positivisti” sfidati dalla sua denuncia sulla precarietà delle Nazioni costruite solo sull’interesse materiale, nel rifiuto del legame tra uomo e trascendente. Anche in alcuni ambienti cristiani ha suscitato resistenze, tormentati nell’errore dal timore di poter perdere legami con la “modernità”, se ancorati ad un’idea di arduo cristianesimo.

Ma Benedetto ha indicato la via della modernità con la ricerca di libertà; la libertà che affranca attraverso la relazione intensa tra persone in collaborazione per edificare la “città ideale”, in alternativa alla visione difensiva e piena di complessi. È dunque nella collaborazione gratuita tra simili che troviamo la libertà e non nell’agire in solitudine che conduce a mete vuote senza prospettiva. Più volte infatti Benedetto ha messo in guardia i governanti sulla vacuità e dunque fragilità di società sostenute solo dall’interesse per la ricerca della ricchezza e sicurezza, con l’uomo che si chiude in se stesso incapace di dare senso alla sua ricerca spasmodica di libertà che risulterà effimera se non progettata e realizzata con il prossimo.

Papa Ratzinger ha più volte fatto ricorso all’esempio diffuso nella nostra vita di contratti stipulati tra persone. Ed ha affermato che questi accordi animati solo da convenienza del momento, risultano effimeri: si stipulano per l’interesse che in quel momento si individua e si rompono appena quell’interesse viene meno. Ed invece una intesa spinta dal “dono”, dalla disponibilità e solidarietà verso l’altro, è una intesa duratura in quanto costruita da relazioni segnate dalla ricerca di fraternità.

Così si realizza la convivenza umana fondata dal dono, dalla solidarietà, dalla comprensione che conduce alla vera libertà dalle inimicizie, dalle incomprensioni, dal bisogno, dalla precarietà, dal senso di incompletezza. Ed in questa cornice che la persona trova il senso della propria esistenza nel destino assegnatogli da Dio attraverso la dedizione per i due pilastri portanti dell’evoluzione e mantenimento del creato: il lavoro e la famiglia. Attraverso il lavoro si completa la personalità e la propria realizzazione che si specchia nell’opera utile che si presta nella comunità; con la costituzione della famiglia si realizza il rinnovo della vita nell’armonia della dedizione senza condizione dei genitori verso i propri figli.



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