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Niente paura, ora monitoriamo le varianti. Vaia sull’ondata Covid dalla Cina

Con il direttore sanitario dello Spallanzani, che da tre anni è in prima fila nel contrasto al Covid, abbiamo parlato dell’ondata in Cina (e dell’opacità delle informazioni che arrivano da lì), della variante XBB1.5, di un’Oms che dovrebbe incidere di più. E di come affrontare il futuro con positività: il Covid continuerà a evolvere e ci dovremo attrezzare con campagne vaccinali annuali, da fare insieme a quelle influenzali, ma non ci sono motivi di temere l’arrivo di varianti più letali. Ecco perché

L’Unione europea, dopo aver respinto la proposta italiana della settimana scorsa di un’azione coordinata per sequenziare i tamponi positivi in arrivo dalla Cina, oggi ha cambiato posizione e si è allineata alle decisioni del governo italiano, che per primo aveva reintrodotto il monitoraggio. È inevitabile ripensare a esattamente tre anni fa, quando poche e contrastanti notizie trapelavano da Wuhan su un nuovo misterioso virus respiratorio. C’è un medico che da allora è in prima fila nel contrasto al Covid, il direttore sanitario dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, Francesco Vaia. Con lui abbiamo discusso di varianti, vaccini, farmaci e coordinamento internazionale nella risposta alle pandemie.

Dottor Vaia, lo Spallanzani ha sequenziato i tamponi fatti ai viaggiatori in arrivo dalla Cina. Per ora sono emerse solo varianti di Omicron già presenti in Europa. Quanti campioni riuscite a processare, e per quanto tempo durerà questo screening?

Lo Spallanzani ha attivato, subito dopo l’uscita dell’ordinanza ministeriale, tra l’altro da noi molto caldeggiata, un’attività volta al monitoraggio mediante sequenziamento delle varianti di Sars-CoV-2 provenienti dalla Cina. Questa attività ha fin qui contribuito ad ottenere dati di sequenza su tutti i campioni provenienti da passeggeri risultati positivi allo screening antigenico in aeroporto e successivamente sottoposti a molecolare e sequenziamento. I dati di questi primi casi sequenziati sono descritti in una pubblicazione che proprio in questi giorni verrà sottomessa ad una rivista scientifica internazionale.

I risultati ci dicono che in Cina al momento stanno circolando varianti Omicron appartenenti ad almeno tre diversi lineage (BA.5.2, BF.7 e BQ.1.1) già noti in Italia, in Europa e nel mondo, alcune delle quali anche dominanti al momento sul nostro territorio. Al momento pertanto, la forte preoccupazione che emerge a livello mediatico non appare giustificata, almeno sotto il profilo della circolazione delle varianti. I nostri dati contribuiscono a confermare la veridicità delle sequenze che la Cina sta proprio in questi ultimi giorni condividendo con la comunità scientifica internazionale.

Il nostro laboratorio è in grado di processare tutti i campioni positivi allo screening antigenico e compatibili, per carica virale, all’analisi di sequenza. Non c’è dunque un limite alle potenzialità di sequenziamento, che ritengo possa ritenersi utile finché non avremo un quadro più chiaro, anche sotto il profilo numerico, della circolazione di varianti in Cina.

Il problema è che si fanno test solo ai viaggiatori che arrivano con voli diretti, mentre chi fa scalo in molti paesi europei e asiatici non viene monitorato. Oggi l’Europa ha deciso di adottare un approccio comune, dopo aver respinto la richiesta italiana (una settimana fa) di un’azione concertata. In questo modo riusciremo ad agire rapidamente?
Dovremmo avere imparato in questi anni di pandemia che l’approccio comunitario, Europeo ma non solo, è quello vincente. Agire da soli o in un contesto esclusivo di singolo paese è un approccio che limita la nostra capacità di combattere il Covid e rende meno vincenti tutti i nostri sforzi di monitoraggio e sorveglianza. L’Italia ha fatto da apripista sui test agli aeroporti, e per primi abbiamo indicato che la strada giusta è quella del coordinamento europeo, dello scambio di informazioni, dell’approccio condiviso. Uniti si è più forti e sempre meno forte possiamo rendere la pandemia. In un mondo globalizzato bisogna attrezzarsi perché la risposta di sanità pubblica sia globale. Su questo, da tempo auspico un ruolo maggiormente incisivo dell’Oms: non è un problema “etico” di giudicare i comportamenti degli altri Paesi ma è una questione di sanità pubblica.

Dobbiamo precisare che l’obbiettivo prioritario del provvedimento è la sorveglianza delle varianti, e in questo senso non è indispensabile intercettare tutti gli ingressi, può bastare anche un campione significativo. L’attività di sorveglianza e monitoraggio intrapresa dal nostro paese ci dà infatti garanzie di una rapida e pronta risposta nel caso dovessero emergere dati sulle varianti di particolare interesse, quindi riusciremo comunque ad essere pronti.

Quale potrebbe essere la risposta davanti a una variante che evade l’immunità ibrida che ormai abbiamo accumulato tra vaccini e “incontri” con il virus, e che ha conseguenze più gravi sulla salute dei ceppi attuali? Il ritorno delle restrizioni (distanziamenti, obbligo di mascherine, riduzione delle occasioni di assembramento), o una nuova spinta sulla quarta dose di vaccino anche per chi finora non era considerato a rischio (o un mix di entrambe le cose)? Si pensa a una quinta dose per fragili e anziani che hanno fatto l’ultimo richiamo ormai mesi fa?

La storia dell’evoluzione virale ci insegna che i virus mutano continuamente e quindi dobbiamo aver ben chiaro che anche Sars-CoV-2 continuerà nella sua evoluzione. Ciò determinerà inevitabilmente momenti di più ampia diffusione dell’infezione alternati a fasi di maggior stabilità. È la storia naturale dell’infezione virale che mai come nel caso di questo virus abbiamo avuto la possibilità di seguire passo dopo passo in tempo reale. Ma non dobbiamo spaventarci, è molto improbabile che le nuove varianti del virus che emergeranno – perché questa come ho detto è naturale che avvenga – siano più aggressive e potenzialmente capaci di una maggiore severità di malattia.

L’evoluzione da Delta (meno immuno-evasiva e trasmissibile e più patogena) a Omicron (più immuno-evasiva e trasmissibile e meno patogena) deve insegnarci qualcosa. Emergeranno varianti che cercheranno, per sopravvivere meglio, di adattarsi sempre più all’uomo e quindi inevitabilmente saranno sempre meno pericolose. Tenendo conto che abbiamo anche uno scudo vaccinale fatto di più dosi, e ultimamente anche di immunità data da vaccini adattati alle varianti, che ci protegge dalle complicanze gravi della malattia, per effetto di una memoria immunologica molto efficace. E anche quelle varianti che avranno una maggior tendenza a sfuggire alla nostra immunità, saranno sempre e comunque contrastabili efficacemente dai vaccini che abbiamo fin qui usato e che dobbiamo imparare ad usare nel futuro.

Dobbiamo quindi abituarci ad un contesto in cui la vaccinazione per Sars-CoV-2 dovrà essere fatta ogni anno, magari associata a quella influenzale e in cui l’attenzione dovrà essere rivolta particolarmente alle persone fragili, anziani, immunocompromessi per le quali potrà essere valutata anche una maggiore frequenza di vaccinazione.

Cosa mi può dire della variante XBB1.5 che in questo momento sta facendo aumentare ospedalizzazioni e decessi negli Stati Uniti? Come rispondono i farmaci che abbiamo a disposizione come il Paxlovid?

La XBB 1.5 non è altro che l’ennesima variante Omicron che ha reso il virus ancora più trasmissibile e in grado di evadere dall’immunità. Questo spiega l’impennata che questa variante ha avuto negli Stati Uniti dove in poche settimane ha raggiunto il 40% di prevalenza. In Italia al momento questa variante è assai poco presente, con soli due casi descritti. È comunque la variante che molto probabilmente sosterrà la prossima ondata epidemica, l’ennesima ma non ultima forma che il virus ha trovato per essere più diffusibile.

Ma maggior diffusibilità non significa affatto, come dicevo, maggior severità ed al momento al di là di qualche allarme ingiustificato, niente dal punto di vista scientifico lascia presagire un maggior impatto clinico della XBB rispetto alle varianti precedenti. Per di più anche contro questa variante abbiamo armi efficaci, i vaccini che comunque continuano a darci una protezione anche contro questa variante e i farmaci antivirali che restano efficaci presidi terapeutici.

Possiamo fidarci dei dati che arrivano dalla Cina? Dall’inizio della pandemia, ancora non abbiamo certezze su come sia emerso il Covid, quanti contagiati e morti ci siano stati nelle ondate prima della famigerata politica “Zero Covid” (né quali conseguenze sulla salute dei cittadini abbia avuto questa politica), e ora non sappiamo quanti davvero siano i contagiati, né quanto siano efficaci i vaccini Sinovac e Sinopharm. Lei, che tre anni fa curò la coppia di turisti cinesi che tre anni fa risultò positiva al virus, ha qualche informazione in più? I cinesi hanno rifiutato l’offerta di vaccini a mRna degli Usa e dell’Ue. Come valuta questa scelta di “orgoglio” nazionale?

La Cina è e rimane un paese “difficile”, particolarmente chiuso e attento alla comunicazione. Lo abbiamo sperimentato anche nella prima fase della pandemia. L’attività di monitoraggio delle varianti messa in campo dal nostro Paese è servita e serve proprio a riempire questo “buco” di informazioni. Monitorare gli arrivi dalla Cina e sequenziare i positivi serve ad avere le informazioni sulla circolazione virale che si fa fatica ad ottenere dalla Sanità Pubblica cinese.

È positivo comunque il fatto che proprio in questi giorni, forse anche in virtù della pressione internazionale, la Cina abbia rilasciato qualche centinaia di sequenze che mostrano un quadro di circolazione di varianti sovrapponibile a quello che evidenziano i dati ottenuti dal nostro istituto sui viaggiatori. In questo senso quindi possiamo dire che i dati provenienti dalla Cina appaiono veritieri. Più difficile avere un quadro esatto di quello che sta accadendo nel paese dal punto di vista dell’impatto pandemico sulla popolazione. La realtà scientifica sembra denotare come il grave contesto epidemiologico e l’emergenza clinica che la Cina sta vivendo non sia dovuto ad una nuova e più severa variante di Sars-CoV-2, ma a fattori locali, tra cui soprattutto una protezione immunologica della popolazione particolarmente scarsa o del tutto assente.

Le poche e frammentarie notizie che arrivano, ci dicono che la Cina sta vivendo adesso quello che il resto del mondo ha vissuto l’anno scorso, una forte ondata pandemica in ritardo, in un contesto tuttavia ben più grave avendo di fatto utilizzato vaccini meno efficaci dei nostri e portato avanti fino ad oggi una politica di duro lockdown che si sta rivelando quanto di più sbagliato si potesse fare dal punto di vista di sanità pubblica. Perché la politica di chiusura totale ha impedito che l’immunità naturale rafforzasse quella vaccinale, generando la famosa immunità ibrida, che è lo scudo di protezione più efficace. Rinunciare all’offerta di vaccini a mRNA è l’ennesimo errore che quel paese sta facendo.

Le istituzioni sanitarie globali hanno costruito una rete di scambio di informazioni per tracciare le varianti e condividere studi e sperimentazioni. Questo oggi permette ai governi di fare scelte più efficaci e immediate, e di rispondere agli scenari che cambiano. Quanto siamo messi meglio rispetto a tre anni fa?

Come dicevo, se un insegnamento ci deriva da questa pandemia è che l’approccio ad un problema globale deve necessariamente essere su scala globale. L’Europa, ma direi il mondo intero, questo credo che l’abbia compreso e in tre anni molti passi avanti nella cooperazione internazionale, nella condivisione di dati e informazioni è stata fatta. Il Covid-19 direi che è diventato un modello di cooperazione tra stati e di intervento coordinato che peserà positivamente anche sulla gestione di future epidemie.

Lo abbiamo visto quest’anno con l’emergenza sanitaria globale da vaiolo delle scimmie, che è stata gestita con la memoria e l’esperienza del Covid alle spalle, con indubbi risultati sul piano globale. Oggi in tempo reale, utilizzando solo un click di computer, possiamo aver conoscenza delle varianti sequenziate in ogni parte del mondo, del numero di persone infettate e dai molti lavori scientifici pubblicati con una rapidità mai conosciuta prima. Possiamo avere informazioni sull’efficacia dei farmaci, degli anticorpi monoclonali, dei vaccini. È un altro mondo quello che stiamo vivendo e credo che non potremmo mai più tornare indietro. Soltanto agendo attraverso la condivisione delle informazioni e una politica d’azione comune potremmo essere in grado di rispondere prontamente a qualsiasi altra nuova pandemia.


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