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Crisi del gas, la fortuna dell’Italia si chiama Tap. L’analisi di Villa

Conversazione con il capo del DataLab dell’Ispi: “Il pericolo di de-industrializzazione per adesso è ridotto. Draghi ha avuto la fortuna di ritrovarsi in mano alcune strutture già esistenti, oltre che applicare l’oculatezza di cercare di tenersi stretti i fornitori. Abbiamo la Tap che fino al 2021 sembrava poco utile a chi la criticava e poi invece ci ha salvato”

Non solo rigassificatori e tetto al prezzo del gas. Sul trend italiano alla voce energia va menzionato senza dubbio il gasdotto Tap che, come ricorda Matteo Villa, capo del DataLab dell’Ispi, è stato fondamentale nonostante gli attacchi ideologici che ha subito. E certifica che la crisi comunque non è finita, ma può essere mitigata dall’inverno poco rigido e dalle policies applicate alle rinnovabili.

La settimana scorsa, per la prima volta, le entrate russe dalle vendite di gas all’Ue sono scese sotto i livelli pre-crisi. Cosa significa, anche in prospettiva?

Significa che, in primis, la crisi non è finita e che non è completamente risolto il fatto che la Russia abbia ancora una fortissima leva su di noi, almeno finché non completeremo la transizione per riuscire a disfarci del gas russo. Fino ad oggi lo abbiamo “rubato” da altri, nel senso che da alcuni l’abbiamo rubato perché non ne aveva bisogno, come la Cina; da altri perché avevamo più soldi noi.

I consumi sono strutturalmente in calo per due motivi: uno, ce ne serve meno perché siamo più efficienti; due, perché stiamo lavorando con le rinnovabili.

Quindi?

Quindi la Russia sarà sempre lì in agguato, però quello che ci dice questo pezzo di crisi è che, almeno in questo momento e fino alla prossima estate, dovremo cercare affannosamente di riempire di nuovo gli stoccaggi. La situazione al momento è positiva per noi, per una serie di fortunate coincidenze: perché ha fatto molto più caldo di quanto ci aspettassimo e perché la Russia ha comunque avuto necessità di mandarci gas perché altrimenti le sue entrate si sarebbero ridotte a zero. Quello che Mosca è riuscita a fare fino a ieri, ovvero metterci con le spalle al muro e darci meno gas estraendo però molte più rendite, al momento non può più funzionare. Si tratta di un primo segnale molto positivo per una crisi che però non è ancora finita.

Per l’Italia, il 2022 è stato un anno importante alla voce diversificazione, molto sostenuta dal governo Draghi. Cosa servirà a questo trend per essere più che sufficiente, non solo per gli stoccaggi ma anche per evitare le paure di de-industrializzazione?

Premetto che Draghi ha avuto la fortuna di ritrovarsi in mano alcune strutture già esistenti, oltre che applicare l’oculatezza di cercare di tenersi stretti i fornitori. Ma la fortuna ce l’abbiamo avuta ben prima. Noi abbiamo la Tap che fino al 2021 sembrava poco utile a chi la criticava e poi invece ci ha salvato. Avevamo tre rigassificatori in funzione e sostanzialmente con il governo Draghi non è cambiato nulla. Siamo riusciti a rendere leggermente più efficienti alcuni dei tre, tra cui Rovigo e quindi riescono a portare un po’ più gas da noi rispetto ai massimi consentiti prima: siamo saliti da circa 15 miliardi di metri cubi a 16 e mezzo. Ma è un pezzettino marginale di una storia che era iniziata molto prima col Tap e poi con i rigassificatori che fino all’anno scorso vedevamo come sottoutilizzati e poco utili.

Invece?

Il Governo Draghi è stato fondamentalmente fortunato perché avevamo già queste infrastrutture che la Germania non aveva: loro hanno dovuto correre, facendo cinque rigassificatori in un anno e ancora non hanno finito. Noi di contro abbiamo lavorato il più possibile per tenerci stretti i fornitori come Algeria e Azerbaigian oltre a diversificare. Per cui dobbiamo pensare che l’uscita da questa crisi è sopravvivere un altro anno e dotarci di tantissime infrastrutture nuove. A Piombino Snam non poteva fare altro che comprare le unità galleggianti: acquistare un’infrastruttura significa anche dare un segnale, del tipo che la si vuole utilizzare per cinque/dieci anni. Ecco, non è detto che serva.

Alternative?

Per me è fondamentale ricordare che la transizione sta avvenendo in Italia, visto che possiamo utilizzare in maniera efficiente meno gas pur senza subire danni all’industrializzazione. Quest’anno l’industria ha ridotto gli utili esteri gas di quasi un quarto, cioè del 23%. Ora la produzione industriale rispetto a questo ridotto uso è un meno 1,6% del prodotto industriale: molto meno di quello che ci aspettavamo. Ciò significa che fare a meno del gas utilizzando altre fonti energetiche di altri carburanti si può fare e quindi diciamo che il pericolo di deindustrializzazione per adesso è ridotto. Quindi io vorrei che lavorassimo di più sul cammino da fare, perché ci dà un’idea anche di come noi lavoriamo per rassicurare l’ente locale che non vuole l’infrastruttura.

Si riferisce a Piombino?

Il rigassificatore di Piombino non ha controindicazioni ambientali di rilievo che destano preoccupazione.

Il prezzo del gas è ancora in calo, con all’orizzonte possibili nuovi risparmi, in attesa di capire come sarà lo stoccaggio del 2023. Come impattano questi due elementi sull’Italia e sul tessuto delle Pmi?

Intanto è stata una boccata d’ossigeno per tutti: industria e cittadini. L’Italia sta molto meglio della Germania. Rispetto ai timori dello scorso settembre, nel 2023 potremmo avere livelli di stoccaggio molto più elevati, visto che rischio era quello di scendere moltissimo. Quest’anno le aspettative erano più alte rispetto all’anno scorso, quindi immaginarci prezzi sempre attorno ai 100 € megawattora è assolutamente plausibile. Significa che la scelta degli europei di non fare acquisti comuni di gas equivale per le imprese italiane a un’attesa di prezzi più alti, perché su quel gas tutti faremo le aste per cercare di prendercelo per un anno. Io però continuo a pensare che la crisi durerà soltanto un anno e poi si potrà ripartire con prezzi sicuramente almeno doppi, ai 40 o 50 € a megawattora. È il prezzo che dobbiamo pagare per non avere il gas russo ed è anche il prezzo più o meno giusto che ci permette di accelerare la transizione energetica e su cui le imprese possono programmare per il 2024. Attenzione, siamo ancora in crisi e non è passata, anche se questo prezzo basso e l’autunno mite ci fanno pensare che sia tutto finito.

@FDepalo

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