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Dante di destra, ma anche Shakespeare. La versione di Pedrizzi

Tutta l’originalità e la grandezza del drammaturgo non sta solamente nel presentarci solamente il bene ed il male, i buoni ed i cattivi, ma nel volere assegnare alle sue opere il compito fondamentale e principale di rappresentare due concezioni dell’uomo e dell’universo, l’una alternativa all’altra

“Il fondatore del pensiero di destra in Italia è stato Dante Alighieri: la destra ha cultura, deve solo affermarla”, lo ha detto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano nel corso della kermesse milanese di FdI. “Quella visione dell’umano della persona la troviamo in Dante”, ha aggiunto, “ma anche la sua costruzione politica credo siano profondamente di destra”.

Apriti cielo! è venuto giù il terremoto, e politici ed intellettuali hanno gridato allo scandalo. Pur avendo lo stesso ministro aggiunto che la sua era “un’affermazione forte”, ci è toccato sentire delle contestazioni così ovvie da essere ridicole. “Al suo tempo la destra e la sinistra italiana non esistevano”, ha detto Enrico Malato, direttore della Rivista di Studi Danteschi. Che scoperta! È chiaro che non esistevano. Il ministro evidentemente non si riferiva alla toponomastica parlamentare, che è nata solo con la Rivoluzione francese, nel 1789, quanto piuttosto ad una visione del mondo e della vita, che caratterizza il mondo della destra, quella seria, che si ispira ad una visione spirituale della vita piuttosto che materiale (positivismo, il marxismo ecc. ecc.) e di conseguenza sostiene la centralità della persona, che viene prima delle cose e del capitale (basterebbe conoscere, ad esempio, i riferimenti della destra alla Dottrina Sociale della Chiesa ed alla sua prospettiva antropologica), la priorità della comunità e dei corpi intermedi rispetto allo Stato, della gerarchia dei valori rispetto all’egalitarismo indifferenziato, della tradizione rispetto all’emancipazione, la condivisione dell’ipotesi creazionista rispetto al darwinismo, la tutela dell’identità rispetto alla fluidità, il valore della sovranità nazionale rispetto alla globalizzazione. E potremmo continuare ancora per spiegare bene a cosa si riferiva il nostro ministro della Cultura e per indicare una cultura di ispirazione conservatrice rispetto a quella progressista. Ma lo ha fatto bene lo stesso Sangiuliano sul Corriere della Sera dell’altro giorno, offrendo una bibliografia di tutto rispetto a sostegno della sua tesi.

E allora per essere ancora più provocatorio, aggiungo anche io un grande autore che potrebbe essere definito di destra, o meglio come pensatore “tradizionalista”, William Shakespeare (1564 – 1616).

Vediamo perché.

Si può subito dire che il drammaturgo inglese fu “tout court” un uomo del medioevo, anche se visse a cavallo di due epoche: quella medioevale, appunto, che era al suo tramonto, e quella rinascimentale pregna di umanesimo, che stava nascendo.

Come tale, Egli sentì il dramma dello scontro di questi due mondi, di due modi di essere e di pensare. Uno scontro che, allora come oggi, non ammetteva mezze misure e tanto meno un agnosticismo soprattutto in uomini che sentivano che un’epoca, ormai, era sul punto di tramontare ed un’altra, dai contorni ancora sfumati, ma densa di nubi, era all’orizzonte della storia.

Shakespeare, come tutti coloro che non intendono ripudiare i valori in cui credono fermamente e, soprattutto, che non intendono farsi condizionare delle mode dei tempi, restò fermo e saldo sulle sue posizioni e fece della maggior parte delle sue opere delle vere e proprie armi con le quali combattere, seppure allegoricamente come era consuetudine in quei tempi, le forze della disgregazione che andavano portando allora uno dei più formidabili attacchi alla cittadella dell’ordine medioevale. Il Nostro si trovò così a dover prendere posizione tra una impostazione teologica ed una razionalistica e scientista della vita (ecco, è tutta questa “impalcatura” moderna che non appartiene alla destra tanto per fare un altro esempio). Ed Egli, pur sapendo e “sentendo” che la scelta era, in definitiva, tra un mondo che moriva ed un altro che nasceva, scelse la via più dura, a difesa delle ultime luci che tramontavano. (cfr. il Capitolo IX del mio libro: “I proscritti. Pensatori alla sfida della modernità” Editrice Pantheon).

Quel che più risalta in tutto l’impianto culturale dell’inglese è l’accettazione della concezione, secondo la quale al vertice del mondo della materia sta l’uomo ed al vertice del mondo celeste sta Dio, e che prima dell’uno e dell’altro apice vi è tutta una multiforme e variegata gerarchia che va, nel primo caso, dalle pietre e dai minerali alle piante ed agli animali, nel secondo caso, dal cielo della luna all’empireo. A questa architettura cosmica deve corrispondere secondo il Nostro l’ordine all’interno dell’uomo e della società (dal macrocosmo al microcosmo).

Egli, infatti, ritiene che, come nella natura e nell’universo vi è un ordine gerarchico, così nell’uomo e nella società vi sono e vi devono essere una molteplicità di piani e di gradi: nell’uomo, la materia e quindi, i sensi trovansi al livello più basso, mentre lo spirito e l’intelletto trovansi al vertice ed assolvono ad una funzione di guida per tutto l’essere; nella società, allo stesso modo, essendo questa intesa come un “corpo” sociale (di qui la concezione detta organica fatta propria dalla destra conservatrice) che parte dal basso e, salendo, attraverso, le varie categorie ed i vari gradi, arriva al vertice che regola la società e lo Stato; come lo spirito e l’intelletto regola la vita del corpo umano, come Dio è al vertice di tutto l’universo.

Da ciò la funzione propria dell’uomo che assolve il compito di anello di congiunzione tra la materia e gli angeli, essendo formato e partecipe egli stesso di due nature, una corporea e materialistica, l’altra spirituale e divina. Ed è proprio verso quest’ultima a cui l’uomo può e deve tendere se non vuole violare e rompere l’ordine che è in sé e se non vuole alterare la posizione ed il ruolo che ricopre nell’universo in genere e nella società in particolare.

Una siffatta concezione dell’uomo e della società agiva come obbiettivo ed ideale da raggiungere ed a cui tendere, appunto, per cui tutte le anomalie ed i difetti dell’uomo e della società il drammaturgo riteneva che dipendessero proprio dalla violazione dell’ordine universale e dalla rottura della gerarchia esistente in natura.

Da questa visione si può vedere quanto permeata di religiosità sia tutta l’opera letteraria dell’inglese e quanto i diversi piani, quello artistico, quello morale e quello politico, siano compenetrati l’un l’altro; insomma, quanto possa e debba rappresentare Shakespeare come ancoraggio culturale ed ideale per tutto un mondo umano e politico. Conservatore? Certamente; di Destra? Forse.

Ma tutta l’originalità e la grandezza del drammaturgo (a parte quella veramente artistica che qui non interessa) non sta solamente nel presentarci solamente il bene ed il male, i buoni ed i cattivi, ma nel volere assegnare alle sue opere il compito fondamentale e principale di rappresentare due concezioni dell’uomo e dell’universo, l’una alternativa all’altra. E quel che più importa vuole affidare alle sue opere la funzione di indicare una scelta precisa e categorica, anche se la più dura e la più difficile: la scelta, cioè, dell’Ordine e della Tradizione.

La scelta che fa ciascuno di noi quando, sul piano della visione del mondo sceglie di stare a Destra o a Sinistra.


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