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La decarbonizzazione gonfia le vele al settore marittimo

Di David Chiaramonti e Matteo Prussi

Se da un lato il nostro Paese è sicuramente chiave per la realizzazione della transizione ecologica nel contesto del Mediterraneo, dall’altro per esprimere questo potenziale sarà necessario mettere sempre più a sistema le proprie infrastrutture, quali ad esempio i porti italiani. L’analisi di David Chiaramonti e Matteo Prussi, Politecnico di Torino

Decarbonizzazione del trasporto aereo. Il ruolo essenziale dell’industria

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Di fronte al portone del Senato sporco di vernice, ai quadri imbrattati da giovani ecoestremisti, da pubblicità, slogan e discussioni sempre più incentrate su sostenibilità e ambiente, è opportuno fare chiarezza per capire cosa sta avvenendo nei diversi settori. Prendiamo ad esempio le attenzioni (e le contestazioni) che arrivano verso le navi, sia quelle da crociera ma anche quelle che trasportano merci.

Il settore marittimo nel periodo della transizione

Ecco, il settore marittimo è la spina dorsale dell’economia globale visto che il 90% delle merci è trasportato via acqua, ma è bene sapere che a fronte di tale importante ruolo l’impatto sul clima (cioè sulla emissione di gas serra) è percentualmente contenuto. Si stima infatti che le emissioni serra generate in tale ambito pesino per circa il 2.9% (dato 2018) sul totale mondiale delle emissioni climalteranti. Stringendo l’inquadratura, a livello europeo il trasporto marittimo muove circa il 75% del commercio extra-Eu ed il 36% dell’intra-Eu: con 138 milioni di tonnellate di CO2, il settore ha rappresentato nel 2018 prepandemico il 3% delle emissioni antropogeniche totali a livello europeo, pari a quanto emesso nello stesso anno dal solo Belgio. Comunque, nell’area del Mediterraneo – dove si concentra una gran parte del trasporto marittimo – il tasso di riscadamento medio è del 20% superiore alla media globale, e quindi contrastare il cambiamento climatico rimane una priorità.

Il settore dei trasporti nel bacino del Mediterraneo genera una domanda di energia pari a circa un terzo del totale complessivo dell’area, e dipende quasi interamente dalle importazioni. Suddividendo tale domanda di energia nelle varie componenti dei trasporti, vediamo che nel 2019 quello stradale ha consumato 240 milioni di tonnellate, mentre l’aviazione 32,7 e il marittimo 24,4 (cioè, circa un decimo). D’altra parte, anche se il Mediterraneo rappresenta solo l’1% della superficie dei mari e degli oceani, questo ospita il 20% del traffico container ed il 30% dei flussi di petrolio e gas. Per cui è evidente l’impatto, sia economico che ambientale, del settore, che è consapevole di dover contribuire al processo di decarbonizzazione dell’economia globale e locale.

Negli ultimi anni la maggior parte delle navi cargo ha ad esempio ridotto la propria velocità media di circa il 15/20% rispetto ai valori del 2008 – e non è poco – allo scopo di risparmiare energia e ridurre le emissioni. Dal 1° gennaio 2023 tutte le navi devono calcolare la loro “carbon intensity”, al fine di monitorare e migliorare l’efficienza globale del settore. Una iniziativa che rientra nella più vasta strategia dell’International Maritime Organisation (IMO) per ridurre l’impatto ambientale del settore. In particolare, proprio l’IMO mira a ridurre l’intensità di carbonio del trasporto marittimo internazionale di almeno il 40% (rispetto al 2008) entro il 2030, per poi salire progressivamente negli anni successivi sino al 70% nel 2050.

Le nuove regole dell’acqua

In Europa, come parte del pacchetto Fit-for-55, è in discussione la proposta di regolamento FuelEU Maritime che mira a promuovere l’uso di carburanti alternativi nei trasporti marittimi e nei porti europei. A differenza della sua controparte aeronautica (ReFuelEU Aviation), la FuelEU Maritime non fissa un obiettivo quantitativo specifico, ma punta piuttosto ad affrontare le attuali barriere di mercato che ostacolano l’uso di carburanti alternativi ed a rimuovere l’incertezza rispetto alle soluzioni ad oggi maggiormente pronte sul mercato. Inoltre, nella recente modifica della direttiva sul sistema di scambio di quote di emissione (EU-ETS), si sottolinea in modo chiaro la necessità di agire anche sulle emissioni del trasporto marittimo, assieme altri settori dell’economia. Un breve riassunto delle policy Europee è riportato nella seguente tabella (tratta dal recente rapporto ENEMED 2022, pag 133 – elaborazione SRM su Clarckson).

Da un punto di vista quantitativo, a livello europeo il settore ha consumato nel 2021 circa 49 milioni di tonnellate di olio equivalente, di cui circa il 66.5 % è rappresentato da Heavy Fuel Oil (HFO) e circa il 33% dal Marine Gas e Marine Diesel Oil (MDG e MDO). È interessante notare come questo valore sia assai prossimo al consumo del settore aereo europeo pre-pandemia. In realtà, nel 2020 la Commissione ha già segnalato un 3% di aumento dell’uso del Gas Naturale Liquefatto (LNG) rispetto ai valori del 2019. Secondo l’associazione no-profit Transport & Envirorment, per il 2030 un quarto del settore shipping potrebbe essere alimentato ad LNG, per un volume stimato in 6.3 milioni di tonnellate (confrontabile con i 6.7 milioni di tonnellate di domanda di gas del settore domestico). Un ulteriore combustibile di transizione è atteso essere il metanolo, che offre anche una logistica semplificata rispetto all’LNG.

E i nuovi carburanti per il mare

Come per altri settori, numerosi studi identificano chiaramente i combustibili alternativi come uno strumento per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’impatto di CO2. Quello che rende peculiare il settore marittimo, e tecnicamente lo differenzia in modo sostanziale da quello aeronautico offrendogli un evidente vantaggio potenziale, è la sua maggiore flessibilità nell’usare combustibili di diverse tipologie. Una prima lista di carburanti alternativi è stata definita nella proposta di regolamentazione FuelEU marittime.

A conferma di tale interesse, nel 2022 oltre il 60% dei nuovi ordini da parte degli armatori prevede navi capaci di essere alimentate in modo alternativo , principalmente GNL e metanolo (di cui il 52% a GNL e l’8,5% a metanolo) con un ulteriore 11,4% delle nuove imbarcazioni che saranno infine “Ammonia Ready”. Un riassunto della flotta alimentata a combustibili alternativi la si ritrova nel grafico sottostante (dal rapporto ENEMED 2022 per l’area del Mediterraneo, elaborazione SRM su Clarckson).

Per permettere una reale riduzioni delle emissioni, l’uso di carburanti sostenibili alternativi deve diventare vantaggioso e concretamente diffuso. Ad oggi, l’IMO ha creato un gruppo di lavoro specifico (Correspondance Group) che contribuirà a definire “una robusta metodologia LCA (Life Cycle Assessment)  per la stima dei GHG/carbon intensity” per tutti i tipi di combustibili. Il Politecnico di Torino sta supportando la Commissione Europea, DG-MOVE, nello sviluppo di tale metodologia. A fronte di una domanda attesa in forte crescita a seguito degli interventi di policy e regolamentazione, la rapidità con la quale i nuovi combustibili si diffonderanno dipenderà da una serie di fattori tra cui, in particolare, i benefici ambientali potenziali e la riduzione di Gas ad Effetto Serra, il costo atteso per la riduzione di gas serra (€/tCO2_saved), la sostenibilità delle filiere di produzione, la disponibilità di materie prime (feedstock), la maturità tecnologica e commerciale delle alternative, la necessità di aggiornare/costruire nuove navi e le infrastrutture, la formazione degli operatori del settore specialmente per ciò che riguarda la sicurezza, la presenza di normative incentivanti (e.g. FuelEU maririme) ed i costi e la competizione con altri settori (e.g. aviazione).

La questione dei costi non è ovviamente secondaria. Il settore è impostato su un livello di prezzi del combustibile ancora relativamente contenuto, specie se confrontato con altri segmenti del trasporto ed in particolare con quello avio. Si nota comunque come dal 2020 anche in questo comparto vi sia stato un rapido incremento dei prezzi (dell’ordine di 3-5 volte i valori 2020) per tutte le tipologie di combustibili (trend iniziato ben prima della pandemia e della crisi Ucraina). Per cui, anche nel marittimo, come in tutti gli altri settori, trovare rapidamente delle alternative percorribili non è più un optional.

Il tema infrastrutture

Assieme alle navi, un ulteriore fondamentale tassello del processo di transizione ecologica del comparto marittimo è rappresentato dai porti. Come evidenziato nello studio MED & Italian Energy Report 2022, che il Politecnico di Torino ha recentemente presentato al Parlamento europeo assieme al Centro Studi SRM del gruppo Intesa SanPaolo, i porti sono infrastrutture cruciali nel settore dell’energia e dell’ambiente, determinanti per il funzionamento del mercato energetico. Le aree costiere e portuali sono infatti luoghi primari per produzione, stoccaggio e commercio in ambito oil&gas. Sono ampie comunità energetiche che facilitano il processo di transizione energetica dello shipping e della logistica; sono fondamentali gateway e terminali energetici; le raffinerie sono punti di accesso alle infrastrutture di trasporto degli idrocarburi e per questo sono solitamente situate vicino ai porti. Questi, poi, sono i punti di ingresso di oleodotti e gasdotti che confluiscono nel Sud Italia, sovente localizzati vicino ad industrie ad alta intensità energetica. Molti porti Europei sono inoltre già coinvolti in iniziative sulla sostenibilità e sull’uso di combustibili alternativi come l’idrogeno (es. Rotterdam, Anversa, Amburgo e Valencia). In particolare, il sistema portuale italiano ha un’importante dimensione in ambito energetico: il 34% del traffico portuale riguarda combustibili liquidi (oltre 163 milioni di tonnellate nel 2021). I primi 5 porti italiani concentrano circa il 70% del traffico e sono: Trieste, Cagliari, Augusta, Milazzo e Genova. Tre di questi porti sono collocati nel Meridione, di fatto la prima porta per l’Unione Europea.

L’Italia è una porta di nuovi flussi energetici dal Nord Africa e dall’area del Caspio verso l’Europa: l’80% delle importazioni di gas nel 2022 (gennaio-ottobre) avviene tramite gasdotto. Il 64% del gas importato via gasdotto arriva al Sud. Le interconnessioni di rete con l’Ue sono fondamentali per un futuro a basse emissioni di carbonio (i.e. fonti rinnovabili e idrogeno prodotte nei paesi MENA, Medio Oriente e Nordafrica). Nel viaggio oramai intrapreso dal settore lungo la rotta della transizione ecologica, l’Italia può sfruttare la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, mare di mezzo e culla della civiltà. Se da un lato il nostro Paese è sicuramente chiave per la realizzazione della transizione ecologica nel contesto del Mediterraneo, dall’altro per esprimere questo potenziale, sarà necessario mettere sempre più a sistema le proprie infrastrutture, quali ad esempio i porti italiani, in sinergia con università di eccellenza e il tessuto imprenditoriale ed istituzionale.

L’impegno del Sistema Italia nella transizione del comparto marittimo e barriere in EU ed IT

Il passaggio cruciale della transizione ecologica sarà, anche per il settore marittimo, certamente complesso e probabilmente non indolore. Anche in questo ambito, come per l’aviazione, si andranno a combinare politiche e regolamentazioni internazionali ed europee, oltre a meccanismi di implementazione complessi.

Un primo obiettivo dovrà dunque essere quello di predisporre una transizione bilanciata, in grado di combinare obiettivi ambientali e sostenibilità economica. Gli operatori dovranno quindi essere supportati nella fase di transizione con meccanismi studiati per reagire alla complessa dinamica di evoluzione dei costi, e per supportarli nell’inevitabile complessità burocratica connessa alla richiesta di maggiore tracciabilità dei flussi. Sarà opportuno semplificare le procedure e favorire le integrazioni di sistema tra i diversi settori, per poter cogliere tutte le occasioni “nascoste” e ad oggi non sfruttate, favorendo la simbiosi industriale e tra gli operatori economici.

La definizione di roadmap di settore, con obiettivi intermedi chiari, strumenti regolatori idonei e risorse allocate per il loro raggiungimento, sarà un fattore decisivo per il successo, da poi monitorare in itinere con attenzione e flessibilità rispetto agli strumenti ed alle mutevoli condizioni macro-economiche. In questo come in altri contesti (e.g. aviazione), la presenza di un tavolo permanente di confronto e monitoraggio tra operatori ed istituzioni sarebbe un auspicabile elemento per poter procedere nei tempi richiesti dagli obiettivi climatici, sui quali il nostro Paese è impegnato assieme alla comunità internazionale.


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