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Decoupling, l’americana Dell rinuncia ai chip cinesi

L’azienda statunitense leader nel mercato dei personal computer ha deciso di diminuire l’utilizzo di microchip cinesi a partire dal 2024. Una virata che segue quella di altri colossi high-tech, a testimonianza di come le tensioni tra Stati Uniti e Cina stiano rimodellando il comparto dei semiconduttori e dell’elettronica…

Dell Technologies Inc., holding fondata nel 1984 da Michael Saul Dell e con sede a Round Rock, in Texas, ha annunciato che a partire dal 2024 le sue sussidiarie nel comparto manifatturiero inizieranno a diminuire l’utilizzo di microchip fabbricati da aziende cinesi. Non solo, secondo quanto riportato da Nikkei Asia, la decisione prevede di includere pure le aziende straniere che producono e assemblano componentistiche elettroniche in Cina. Ad annunciarlo la stessa società, in un report interno. “Un trend che appare irreversibile”, avrebbe commentato un fornitore di chip dell’azienda.

Il trend di riferimento è quello del decoupling tra la manifattura cinese e le grandi aziende di software e hardware americane, un tema che il Financial Times ha inserito tra i più “utilizzati” dell’anno. Tuttavia, secondo le stime del Peterson Institute for International Economics (PIIE), i numeri non suggeriscono ancora un disaccoppiamento evidente: in certi settori, non colpiti dai dazi imposti dall’amministrazione Trump, le importazioni statunitensi dalla Cina sono cresciute sin dal 2018. Il 74% degli smartphone importati negli Usa ha origine cinese.

Quello che è certo è che l’offensiva dell’amministrazione Biden per contenere l’ascesa tecnologica della Repubblica Popolare Cinese avrà effetti importanti nella riconfigurazione delle supply chain dei semiconduttori. Secondo alcune fonti, Dell avrebbe citato “preoccupazioni per la politica del governo statunitense” come motivazione della brusca virata del suo business.
L’azienda americana Dell, da una capitalizzazione borsistica di circa 30 miliardi di dollari, è leader nella vendita di applicazioni e dispositivi portatili. La sua posizione sul mercato è contraddistinta in tre segmenti: Infrastructure Solutions Group (server, data storage e servizi per terze parti inclusa la vendita di apparecchiature hardware), Clien Solutions Group (vendita al dettaglio di personal computer ed elettronica di consumo) e VMware (cloud management, sicurezza informatica etc.).

Dell avrebbe dunque richiesto ai fornitori di componenti quali schede elettroniche, circuiti integrati e moduli elettronici di iniziare a sondare il terreno per nuove strutture di assemblaggio in Vietnam e altri paesi del sud est asiatico. Un passaggio molto delicato, considerato la maturità del mercato cinese e le novità tecnologiche: Dell ha di recente introdotto la nuova generazione di processori Intel e il Gpu Rtx per i suoi prodotti di nicchia.

La mossa è tuttavia inquadrabile come strategia di prevenzione di fronte ai crescenti rischi lungo la filiera dei semiconduttori, sempre più nell’occhio del ciclone geopolitico tra Washington e Pechino. Infatti, la decisione segue l’inserimento, da parte delle autorità federali americane, del produttore cinesi di chip di memoria Ymtc e altre 21 aziende cinesi nella blacklist del Dipartimento del Commercio. L’aggiornamento della lista, pubblicata ad ottobre 2022, include una serie di misure e restrizioni all’export di tecnologia americana utilizzata su più stadi della suppy chain. Le compagnie che vorranno continuare a vendere in Cina dovranno ottenere una licenza se producono chip Dram inferiori a 18 nanometri, superiori a 128 strati per chip Nand e sotto i 14 nanometri per chip logici.

Anche HP Inc, produttore di computer e rivale di Dell insieme a Lenovo, ha iniziato un attento monitoraggio dei propri fornitori per spostare produzione e assemblaggio fuori dalla Cina. Nel comparto, Dell è la terza azienda a livello mondiale per volumi di vendite di personal computer, con più di 100 milioni di dollari e 12 milioni di unità, davanti a Apple, Acer, Asus, Oracle, Samsung secondo le ultime stime.

Anche l’azienda coreana ha avviato da tempo una strategia di diversificazione. Nel 2019 Samsung ha chiuso il suo ultimo impianto in Cina, spostando le attività di assemblaggio in Vietnam e India, per il basso costo del lavoro ma anche in funzione della perdita di mercato a vantaggio di Huawei e Xiaomi. Il contesto di forte tensione geopolitica, unito a prospetti macroeconomici non particolarmente confortanti per via dell’inflazione e della riduzione dei consumi, hanno infine influito anche sulla revisione al ribasso degli utili di Samsung nel prossimo trimestre, che probabilmente scenderanno del 58% secondo stime di Refinitiv.

Secondo la Consumer Technology Association (consorzio che riunisce le principali aziende di elettronica americane e di e-commerce, tra cui Apple, Amazon e la stessa Dell), il picco della domanda, dovuto alle conseguenze socio-economiche della pandemia, è ormai lontano. Ora il rischio è che l’industria dei semiconduttori si ritrovi con problemi di sovrapproduzione, soprattutto per i nodi più maturi (sopra i 10 nanometri), in seguito agli importanti stimoli e incentivi pubblici varati dai governi, come il CHIPS & Science Act approvato dal governo americano.
Ciò nonostante, il ritorno di capacità produttive avrà importanti benefici per l’ecosistema dei chip negli Stati Uniti. Una svolta che ha indotto la stessa Apple ad impegnarsi di includere nei suoi prodotti chip fabbricati sul suolo americano, grazie agli importanti investimenti di Tsmc. Una scommessa che probabilmente ha convinto anche i dirigenti di Dell, soprattutto in un’ottica di diversificazione dei rischi nella competizione tra Washington e Pechino.

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