La transizione s’ha da fare, ma il “come” sarà determinante per il successo della comunità europea. Alla presentazione dell’ultimo libro di Nathalie Tocci si sono riuniti anche Stefano Grassi (Commissione europea, energia) e Claudio Descalzi (ad di Eni) per riflettere su come concretizzare lo sforzo politico, economico e sociale in un mondo dagli equilibri delicati e dalla competizione serrata
La transizione energetica, concretizzata in Unione europea nel pacchetto di azioni che prende il nome di Green Deal, è diventata la ragione d’essere del Vecchio continente, una sfida talmente gigantesca e complessa che ridefinisce l’intero progetto-Europa. Se approcciata correttamente, il successo può consolidare il ruolo dell’Ue nel mondo; in caso contrario, potrebbe determinarne il fallimento geopolitico. Questa la premessa dell’ultima fatica letteraria di Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, che presentando “A Green and Global Europe” in un panel nella sede romana del think tank ha tratteggiato gli scenari per comprendere, e affrontare, questa trasformazione.
L’esperta ha aperto la discussione di lunedì sera con tre premesse fondamentali. Primo, la transizione avverrà naturalmente, così come sono avvenute le altre transizioni energetiche (quella verso il carbone, poi dal carbone al petrolio). Secondo, l’urgenza imposta dal cambiamento climatico rende ancora più importante, se non inevitabile, catalizzare il processo. Terzo, la transizione ha senso – economico, politico e strategico –, e appunto per questo va sfruttata come un’opportunità. Che rimane tale solamente al netto di un processo di integrazione europeo.
La sfida-opportunità, ha continuato Tocci, è di carattere normativo, economico e politico. La legislazione che ne è alla base va avanti, ma non è ancora chiara la strategia di crescita economica che le andrebbe affiancata. Serve poi considerare che sono necessari un’idea e un percorso per costruire un’Unione politica in grado di mettere a terra leggi e politiche economiche, rafforzando l’integrazione e la legittimità dell’intero progetto. E quest’ultimo passaggio dipende da come i Ventisette affronteranno le implicazioni socio-economiche e politiche, assieme alla ridefinizione degli equilibri globali che le interpretazioni internazionali del Green Deal stanno causando.
Sul fronte internazionale, la differenza la farà il posizionamento dell’Ue nei confronti del resto del mondo. Perché per anni Bruxelles non ha tenuto abbastanza conto delle ripercussioni della transizione europea sui Paesi vicini – talvolta fragili – come quelli africani. E negli ultimi mesi è emersa con forza la dimensione competitiva, con la spinta protezionistica statunitense (sotto forma dell’Inflation reduction Act e degli incentivi per rinazionalizzare le produzione dei comparti green tech) per far fronte a quella ventennale della Cina – che a sua volta ha una presa saldissima sulle filiere della transizione. Infine, non vanno sottovalutate le tensioni tra il global North e il global South, così come sono emerse alla Cop27 di novembre.
Per Stefano Grassi, capo gabinetto della commissaria europea all’energia Kadri Simson, le considerazioni di Tocci impongono “una riflessione scomoda”: il Green Deal sta diventando un tutt’uno con la legittimazione dell’Ue come progetto politico, che a sua volta avrà successo solo se il progetto economico funziona, in una forma equilibrata, sul Vecchio continente. Che finora non è stato sempre in grado di cogliere l’importanza, e l’urgenza, della sfida e delle sue ripercussioni: l’impianto iniziale del Green Deal era quasi solipsista, basato sull’idea che un continente green avrebbe trainato gli altri. La crisi energetica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina, paradossalmente, ha agito come acceleratore e elemento consolidatore: adesso, ha rimarcato Grassi, la transizione Ue considera con più attenzione le dimensioni del pragmatismo e della sicurezza energetica.
Contemporaneamente, i Ventisette si sono disfatti di quella patina di supponenza che riscontravano i partner africani, e approntato strumenti di dialogo imperniati sulla realtà. Ora tocca fare un salto di qualità come sistema-Europa nel contesto internazionale, ha concluso Grassi: “siamo dentro un sistema competitivo, in cui tutti condividono la direzione della transizione, ma gli strumenti e i tempi differiscono – e la competizione, specie sui minerali critici e sul comparto tecnologico, sta diventando molto spietata e visibile. Non siamo equipaggiati,” ha continuato, dal punto di vista politico: “quando come Ue dobbiamo andare a commerciare (e ‘combattere’) Paese per Paese, la storia è diversa… la politica comune è molto debole, con risorse limitate, e non può aiutare più di tanto la politica energetica comunitaria.”
Non poteva che essere d’accordo con i partner di discussione Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, che grazie all’intensa attività di diplomazia energetica che ha permesso all’Italia di affrancarsi dal gas russo incarna il pragmatismo evocato da Grassi. “Un’Europa non può parlare di se stessa senza parlare al mondo. E sarebbe meglio se non ci volesse una guerra per rendercene conto”, ha esordito. Per poi spezzare una lancia a favore dell’impegno green europeo: laddove il carbone ci ha messo 60 anni per affermarsi, e gas e petrolio circa 40 anni, i Ventisette promettono di passare all’energia pulita in 25 anni – scardinando un impianto nato tecnologicamente dal basso, in pochissimo tempo.
Certo, la dimensione della sfida impone una sana dose di realismo che tiene conto dell’eclettico mix energetico europeo. “Non deve essere una corsa che esclude, non si può basare tutto sulle rinnovabili, che non sono pienamente compatibili con il sistema di infrastrutture stratificato negli anni”. Il punto, ha spiegato, è che la domanda di energia è in perenne crescita per via dell’aumento demografico: ecco perché il petrolio non ha mai sostituito pienamente il carbone, né il gas ha preso il posto del petrolio, o il nucleare ha rimpiazzato i combustibili fossili. “Pensare di sostituire tutto con le rinnovabili è impensabile […] e spingere ideologicamente solo sulle rinnovabili è una soluzione folle”: lo dimostra il fatto che fino a metà 2021 si parlava di proibire i finanziamenti nel campo del gas, che nel 2022, con la complicità della Russia di Vladimir Putin, si sono rivelati cruciali.