Intervista all’economista della Cattolica e direttore della Fondazione Edison. Finora Bruxelles ha impedito la nascita di grandi e competitive aziende, rimettendoci. Adesso è tempo di cambiare registro. La Germania è messa male, per questo chiede aiuti all’economia. Gli Stati Uniti? Fanno quello che ogni Paese con disponibilità di liquidità farebbe
Gli Stati Uniti il loro asso lo hanno calato da tempo: 370 miliardi di dollari che rispondono al nome di Inflation reduction act. Un fuoco di sussidi e agevolazioni per sanità e clima, con cui non solo riscrivere parte della politica industriale americana e tenere a bada i prezzi, ma anche aumentare l’appeal a stelle e strisce verso le grandi imprese globali. Il che, per un’Europa alla ricerca della competitività perduta, è un problema, di cui peraltro si parlerà nel corso dell’Eurogruppo e dell’Ecofin. Non si spiegherebbe, d’altronde, l’affannosa ricerca di una soluzione da parte di due delle principali economie del Vecchio continente, Francia e Germania.
Soprattutto la seconda, locomotiva d’Europa oggi più di nome che di fatto a cui la congiuntura non sorride, costretta a tornare al carbone e con l’import strozzato dai lockdown cinesi. Berlino vorrebbe da una parte una modifica delle norme in materia di aiuti di Stato, che attualmente limitano la capacità dei Paesi membri di sovvenzionare le imprese, per evitare l’inasprirsi della concorrenza sia tra gli Stati membri, sia americana. Dall’altra, la costituzione di un fondo apposito con cui alimentare nuovi sussidi all’economia, formato Ue. E anche a Bruxelles il dossier è stato aperto, più precisamente dal commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che per anni ha professato il terrore dei monopoli e delle fusioni, mentre il mercato globale richiede nuovi campioni industriali continentali. Formiche.net ne ha parlato con Marco Fortis, economista della Cattolica di Milano e direttore della Fondazione Edison.
IL (FALSO) MITO DELLA CONCORRENZA
“Distinguerei il problema dei sussidi da quello della creazione di campioni europei. Perché per questi secondi, li si potevano agevolare anche al netto degli aiuti di Stato”, premette Fortis. “Veniamo da anni in cui se nasceva una grande azienda, magari con una fusione, si faceva di tutto per ostacolarla, perché si pensava che fosse un po’ tutto lesivo della concorrenza. Il problema dell’Europa è che non ha capito ancora oggi che il mercato interno non esiste più, c’è solo un mercato globale. E non si vincono le sfide mondiali senza campioni continentali, per questo qualcuno a Bruxelles si sarebbe dovuto svegliare da tempo. Questa logica va superata a tutti i costi, perché l’Ue ha bisogno di grosse e competitive aziende, uscendo da un approccio minimalista della concorrenza che non ci ha portato da nessuna parte. Ora, pare, che un cambio di paradigma sia in atto. Meglio tardi che mai, certo, ma comunque è tardi”.
IL CASO TEDESCO
L’economista affronta poi il delicato tema dei sussidi made in Usa. “Ci sono Paesi che hanno grandi disponibilità di cassa, come gli Stati Uniti, che possono mettere in atto politiche a base di aiuti. In realtà questo discorso lo hanno fatto anche in Germania, dove grazie a un basso rapporto tra debito e Pil si possono fare delle politiche individualiste e poco di squadra. Ecco, tutto questo premesso, si tratta di una logica di corto respiro, perché la Germania non è in una situazione facile. E allora si spiega la possibilità di mettere in campo sussidi su scala europea”, chiarisce Fortis.
“Quando Berlino è diventata forte, ha deciso di puntare sulla Cina, ma poi lo stesso modello cinese è andato in crisi, ripercuotendosi sull’economia tedesca e mandando in tilt il sistema, che ad oggi è indietro rispetto ad altri in termini di recupero dei livelli pre-pandemia. Lo dicono i numeri e questo spiega il loro pressing per nuovi sussidi, immaginandosi nuovi modelli di sostegno all’economia. Perché la verità è che la Germania un po’ scricchiola e cresce persino di più l’Italia. Certamente si riprenderà in futuro, nei prossimi mesi, ma oggi Berlino non è più quella di una volta”.
SUSSIDI SI, SUSSIDI NO
Tirando le somme, sembra profilarsi una nuova stagione di sussidi, su scala globale. Fortis chiarisce un punto. “Anche il Recovery Fund è una forma di sussidio, tutto potenzialmente può essere un sussidio. Ora dobbiamo capire come gestire questi fondi, premesso che non è sbagliato tornare a una politica di investimento, ricordiamoci che durante la famosa austerity, la parola investimento era scomparsa dal vocabolario, mentre adesso sembra essere ritornata. C’è una guerra, la crisi cinese, l’inflazione, il momento è difficile: non è assolutamente un tabù pensare di sussidiare l’economia, l’importante è che lo si faccia in modo virtuoso”