Alcuni non hanno fatto propria la lezione di questi dieci anni vissuti insieme da papa Francesco e dal papa emerito, Benedetto XVI. Esistono due poli nella vita, nel mondo, nel pensiero, nella realtà. Questi due poli costituiscono un asse indispensabile per produrre energia, e quindi per procedere. Il loro compito è quello di integrarsi, completarsi. È la visione della tensione polare tanto cara a Romano Guardini
Quale visione del mondo, della vita, emerge da una giornata così importante per la Chiesa? Il mio timore è che alcuni, non pochi, non abbiano capito e fatto propria la lezione di questi dieci anni vissuti insieme da papa Francesco e dal papa emerito, Benedetto XVI. La lezione che a me appare evidente è stata questa: esistono due poli nella vita, nel mondo, nel pensiero, nella realtà. Questi due poli costituiscono un asse indispensabile per produrre energia, e quindi per procedere. Il loro compito è quello di integrarsi, completarsi. È la visione della tensione polare tanto cara a Romano Guardini, il principale intellettuale cattolico amato e citatissimo da Francesco e Benedetto, anche se il primo ha citato più il Guardini filosofo e il secondo l’intellettuale europeo immerso nel Novecento.
Questa visione guardiniana comunque elimina l’idea di una contrapposizione tra l’uno e l’altro polo, e quindi elimina anche il bisogno di fingere una identità, un’uguaglianza che tra i due, che non c’era. Piuttosto ci presenta un panorama nuovo, che riconoscendo le differenze non le elimina. Il confronto che ha accompagnato queste ore successive alla morte di Benedetto ha rimosso la sua storia di primo pontefice dell’epoca moderna ad essersi dimesso, consapevole che nulla di meno tradizionalista potesse darsi, per di più da un papa ritenuto riferimento dei tradizionalisti. E Francesco dicendo di sapere di avere accanto “un nonno” non ha fatto altro che fare sua la visione della tensione polare di Guardini, facendo di Benedetto parte della sua famiglia, pur sapendo che il papa è uno, dal giorno dell’elezione al giorno della morte o delle dimissioni.
Ripresentare l’idea di un conflitto tra due visioni incolmabili è invece lo schema vecchio, per cui ci sono i buoni e i cattivi, i progressisti e i conservatori, divergenze, incompatibilità. La storia di questi anni ha detto altro. Dal giorno in cui Francesco andò a salutare Benedetto XVI a Castel Gandolfo e ricevette da lui due casse di documenti segreti, la storia di questa convivenza nella diversità complementare è stata sotto gli occhi di tutti. La stessa vicenda della riforma liturgica lo conferma. Quanti anni sono passati tra quella di Benedetto e la presa d’atto di una sua difficoltà attuativa da parte di Francesco? Ma del governo di Benedetto sono stati trascurati altri passaggi, come la nomina del nuovo presidente dello Ior, addirittura dopo l’annuncio delle sue dimissioni. Non certo un gesto di sfiducia verso il futuro, ma forse verso il passato.
La fatica di vivere il conflitto non è merce per tutti. Ci si ritira più facilmente nel certo, nel programmato, nel contrapposto. Si arriva a vedere incompatibilità o a vaneggiare identità, addirittura tra un uomo profondamente europeo e introverso e un uomo profondamente sudamericano ed estroverso. Ma queste opposte semplificazioni ( “sono uguali, sono incompatibili”) non danno merito alla storia che abbiamo vissuto, nella tensione polare evidente e accettata che ha arricchito questa fase del pontificato di Francesco e il senso dell’ultima fase della vita di Benedetto.
Che cosa ha detto Francesco nella sua omelia, molto spirituale, di oggi? Ha detto: “San Gregorio Magno, al termine della Regola pastorale, invitava ed esortava un amico a offrirgli questa compagnia spirituale: «In mezzo alle tempeste della mia vita, mi conforta la fiducia che tu mi terrai a galla sulla tavola delle tue preghiere, e che, se il peso delle mie colpe mi abbatte e mi umilia, tu mi presterai l’aiuto dei tuoi meriti per sollevarmi». È la consapevolezza del Pastore che non può portare da solo quello che, in realtà, mai potrebbe sostenere da solo e, perciò, sa abbandonarsi alla preghiera e alla cura del popolo che gli è stato affidato”.
Per questo ha ragione il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin: “La contingenza storica che ha visto convivere nello stesso tempo due Successori di Pietro ha configurato per la Chiesa una situazione istituzionale inedita, che poteva anche essere delicata. Qualcuno magari ha pensato di approfittarne, e magari ci ha anche provato, per spargere confusione. Ma non è riuscito nel suo intento”. È evidente che l’intento non si è estinto e queste ore, anche in alcuni commenti, lo confermano. Il fallimento della confusione, per Parolin, è derivato dalla “fede del Papa e del Papa emerito e per le preghiere del Popolo di Dio, che li ha sempre abbracciati e sostenuti tutti e due e la prossimità fraterna tra papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI l’abbiamo vista tutti. L’affetto espresso nei loro abbracci, negli sguardi e nelle parole che si scambiavano nei loro incontri è stato per tanti motivo di commozione e di consolazione. Certo, loro hanno avuto temperamenti, sensibilità, idee, preferenze, percorsi esistenziali diversi. Anche questo fa parte della bellezza della Chiesa e dello stesso ministero dei Successori di Pietro”. Fa parte anche di una cultura, quella della tensione polare, che Francesco propone dall’inizio del suo pontificato. La sua certezza che il tempo sia superiore allo spazio, e che quindi la Chiesa debba occuparsi più di avviare processi che di gestire spazi, appare però troppo lontana per i tradizionalisti, ancorati alla gestione come è sempre stata. È su questo rischio umano e culturale che chi non ha seguito con interesse la vicenda storica di questi anni coinvolgenti appare orientato a tornare a schemi vecchi.