Tra le forniture russe in diminuzione e la Cina che si riaffaccia sul mercato, i Ventisette dovranno affrontare una possibile carenza di offerta, il caro-energia e il rischio deindustrializzazione a colpi di accordi, contanti e riforme
Nel 2022 il dossier energia e le sue ripercussioni strategiche hanno dominato la stampa come non succedeva dai tempi della crisi del petrolio negli anni Settanta. La Russia di Vladimir Putin ha utilizzato le esportazioni di gas come leva geopolitica contro l’Europa, nel tentativo (finora fallimentare) di piegare la volontà europea di supportare l’Ucraina. La risposta dei Ventisette si è tradotta in un’intensa attività di diplomazia energetica (che ha visto l’Italia in testa) per disassuefarsi dalle esportazioni di gas russo. Nel mentre, i Paesi europei hanno diminuito del 90% le importazioni di petrolio russo e adottato tetti al prezzo per limitare i proventi energetici del Cremlino.
Tutto questo dinamismo – specie l’aumento improvviso delle importazioni europee di gas naturale liquefatto – ha sconvolto gli equilibri del mercato energetico globale e provocato una fiammata nei prezzi dei combustibili fossili. Oggi il gas europeo è tornato ai prezzi pre-invasione, ma non è stato un processo indolore. Assieme alla riduzione volontaria dei consumi europei (meno 10% rispetto al 2021), solo il forte crollo della domanda cinese (che solitamente equivale al 5% di quella globale), a sua volta dovuto alla politica zero Covid, ha tamponato questa tendenza.
Nel 2023, il probabile ritorno in campo dell’economia cinese “stringerà” i margini di un mercato del gas già molto tirato, dato che la Russia non dispone della capacità di ridirezionare i volumi di gas che inviava all’Europa – le condotte portano lì, quelle verso la Cina saranno pronte tra anni, e la capacità di liquefazione del metano in gnl non basta a compensare la differenza – tanto che le esportazioni di Gazprom hanno toccato il minimo del periodo post-sovietico. È per questo che negli ultimi giorni Vladimir Putin ha fatto capire di essere disposto ad aumentare le forniture verso l’Ue (attraverso il gasdotto Yamal) e stralciato la norma che imponeva ai “Paesi ostili” di pagare il gas in rubli.
Tuttavia, è improbabile che l’Ue riprenda ad acquistare gas russo come se niente fosse. Nel 2022 i Paesi Ue hanno dimezzato la quantità di gas che importavano dalla Russia (anche al netto di un leggero aumento degli acquisti di lng russo), e il piano RePowerEu prevede l’abbandono totale delle forniture russe entro il 2025. Per farcela, oltre alla diversificazione delle fonti di gas e gnl, l’Ue intende aumentare la produzione interna e catalizzare l’installazione di impianti di generazione rinnovabile. Insomma: investimenti nei combustibili fossili inquinanti in cambio di sicurezza energetica nel breve termine (incluso l’inquinantissimo carbone, la cui domanda è tornata ai massimi storici) e la scommessa sulla transizione energetica nel lungo.
Tutto questo non significa che nel 2023 i mercati energetici saranno meno brutali, anzi: l’Europa rischia di dover affrontare un “buco” pari al 7% del suo fabbisogno energetico, secondo le stime dell’Iea, e gli analisti del settore ritengono che i prezzi rimarrano alti per diversi anni. Molto dipenderà dalle temperature invernali (la relativa calma dei prezzi europei si deve anche al caldo inusuale degli scorsi mesi), e un inverno particolarmente mite lascerà le riserve europee più piene, permettendo agli Stati di arrivare all’inverno 2023-2024 più preparati. La differenza, con la Cina in campo e il gas russo in costante diminuzione, è che dovranno combattere sui mercati per i volumi di gnl necessari – pur potendo contare su diversi nuovi rigassificatori – e affidarsi alle forniture via gasdotto dai Paesi come Norvegia, Algeria e Qatar.
Parte della soluzione europea per proteggere la popolazione dal caro-energia ha a che fare con una serie di misure cruciali, tra cui la riforma del mercato elettrico in arrivo. Il piano, ha spiegato la commissaria Ue per l’energia Kadri Simson, consisterà nel prioritizzare la generazione di energia rinnovabile (e nucleare) a buon mercato. Questo implica “sganciare” il prezzo dell’elettricità da fonti rinnovabili da quello della commodity più costosa – attualmente, il gas – e dunque impedire alle aziende che forniscono energia elettrica pulita di venderla a un prezzo molto superiore del costo di produzione. Secondo la stessa ratio, la Commissione sta pensando di allargare la tassa sugli extraprofitti anche a queste realtà.
Sul versante delle rinnovabili, la partita europea si incrocia anche con il tema delle sovvenzioni statali cinesi e statunitensi. La necessità di aumentare le installazioni per compensare il progressivo allontanamento dai combustibili fossili andrà accompagnata con una politica in grado di proteggere la base industriale europea – specie sul versante del green tech –, rilanciare i posti di lavoro e la produzione nazionale. Questa è già la strategia vigente in Cina, India e Stati Uniti, ed è inevitabile che l’Ue segua l’esempio di questi stati per proteggere le proprie industrie. L’alternativa – visto che i costi dell’energia in Ue hanno già reso le aziende locali meno competitive delle concorrenti internazionali – è la deindustrializzazione.