Abbandonate le titubanze, anche Amsterdam e Tokyo si uniscono a Washington e riducono l’export di macchinari tecnologici a Pechino. Non era scontato, vista la portata dell’accordo, i cui dettagli rimangono segreti proprio per la sua importanza. Ma è un passo in avanti che potrebbe spingere altri a compierlo
Ora è ufficiale: sulla scia delle restrizioni tech imposte dagli Stati Uniti alla Cina, si aggiungono anche Paesi Bassi e Giappone. L’accordo trilaterale, di cui Formiche.net aveva già dato notizia, segna un punto fondamentale che renderà più complessa la produzione tecnologica di Pechino, privata di importanti macchinari che vengono realizzati in Occidente. È una vittoria di Joe Biden, che dopo mesi di negoziati è riuscito a convincere la controparte olandese e quella nipponica a compiere questo grande passo, segnando una rottura ancor più evidente con la Cina.
I limiti alle esportazioni vedranno coinvolte società importanti, come Asml, che controlla il mercato dei macchinari a litografia ultravioletta estrema (Euv), una tecnologia essenziale per l’incisione dei transistori sui wafer di silicio, poi sfruttati nelle fonderie più sofisticate, ma anche la Tokyo Electron e la Nikon Corporation. Senza le loro tecnologie, la Cina farà davvero fatica a sviluppare il proprio settore dei chip come vorrebbe.
Alla base di questa decisione, partorita in America per essere successivamente accettata da altri due importanti hub, uno in Europa e uno in Asia, c’è la volontà di non partecipare alle attività illecite del Partito Comunista Cinese. Non si vuole infatti dare modo a Pechino di utilizzare le tecnologie occidentali per i suoi scopi poco chiari, che siano armi all’avanguardia o un controllo serrato della sua popolazione. Ma, si sa, i principi delle volte si scontrano con l’economia e per tale ragione ad Amsterdam e a Tokyo ognuno si faceva i suoi conti, che inizialmente non tornavano.
I due governi comprendevano le ragioni statunitensi, ma erano spaventati dall’impatto che queste misure avrebbero provocato alle loro aziende. Due giorni prima della decisione di seguire Washington lungo la sua strada, l’amministratore delegato di Asml, Peter Wennink, ha sottolineato ancora una volta le conseguenze di questa politica commerciale e, soprattutto, ha messo in guardia sul fatto che la Cina, prima o poi, sarà in grado di produrre quella tecnologia autonomamente. “Ci vorrà del tempo, ma alla fine ci arriveranno”, aveva affermato.
Probabile che abbia ragione ma in ogni caso a Washington non intendon contribuire allo sviluppo sfrenato del principale rivale globale. Stessa considerazione del primo ministro olandese Mark Rutte, che al Financial Times ha spiegato come certi macchinari occidentali non dovrebbero cadere nelle mani di alcuni Paesi, come la Cina, che li utilizzano anche per scopi bellici. “Sono assolutamente convinto”, ha aggiunto, che sia possibile arrivare a “una soluzione con i tanti partner con cui stiamo discutendo”.
Quella a tre con Washington e Tokyo è ormai siglato, anche se i dettagli non sono stati resi noti. “È un argomento talmente delicato che il governo olandese sceglie di comunicare diligentemente”, ha sottolineato Rutte. “Ciò significa che comunichiamo solo in modo molto limitato”. Così come sarà molto più limitato l’export tecnologico in Cina.