Alleanza privilegiata con Stati Uniti e Regno Unito, partnership tecnologica e incremento della capacità di deterrenza sono i tre pilastri della nuova dottrina di sicurezza nazionale giapponese, nella quale l’Ue non ha un ruolo di rilievo, se non per una marginale presenza italiana. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale in Digital Marketing nell’Università di Chieti-Pescara
Lo scorso 16 dicembre 2022 il Giappone ha aggiornato la propria strategia per la sicurezza nazionale; più o meno nello stesso periodo viene annunciata la notizia dell’ingresso del Giappone nel progetto anglo-italiano per la costruzione di un nuovo aereo da combattimento, destinato a sostituire l’Eurofighter Typhoon. Circa tre settimane dopo, nell’incontro bilaterale del 11 gennaio 2023, il primo ministro inglese Rishi Sunak e il premier giapponese Fumio Kishida hanno annunciato di avere finalmente raggiunto un accordo di cooperazione militare che diventerà operativo una volta recepito dai rispettivi parlamenti. In termini più generali, dunque, le relazioni fra i due Paesi si traducono nella comunanza di visione geopolitica sul Far East, nella creazione di un asse militare e nello scambio di tecnologia di altissimo livello. Se a questo aggiungiamo l’interesse del Giappone ad accedere al network dei Five Eyes – e dall’altro lato la disponibilità degli interessati a consentirlo – è difficile non vedere il complesso di questi rapporti come una vera e propria alleanza militare di fatto.
La contiguità temporale degli eventi è troppo stretta per non vedere il disegno geopolitico che li unisce e che si può sintetizzare in un concetto: si è sciolto il vincolo che confinava la capacità militare nipponica in un ambito esclusivamente difensivo. Questa conclusione emerge abbastanza chiaramente sia già dal titolo della nuova dottrina giapponese (che fa riferimento alla “sicurezza” e non alla “difesa” nazionale), sia leggendola fra le righe pur non consentendo la traduzione inglese di apprezzare le sottigliezze del testo originale.
La identificazione delle minacce
Qualsiasi strategia, offensiva o difensiva che sia, deve partire dall’identificazione delle minacce. Solo in questo modo è possibile definire gli obiettivi, i tempi, i metodi e le risorse necessarie allo scopo— raggiungere la vittoria. Memori della celebre considerazione del generale prussiano Helmuth von Moltke, certamente nessun piano resiste all’impatto con la battaglia, ma questo non fa venire meno la centralità della pianificazione.
Dunque, non stupisce che il primo punto della strategia di sicurezza nazionale nipponica sia l’individuazione dei (potenziali) avversari. Uno è accusato di avere overtly trampled il proprio mandato di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace internazionale. Un altro è accusato di essere uno di quegli Stati che “not sharing universal values, are exploiting unique approaches to rapidly develop their economies and science technologies, and then, in some areas, are gaining superiorities over those states that have defended academic freedom and market- economy principles”. Difficile non associare a queste anonime dichiarazioni le politiche di aggressione militare della Russia e di economic warfare della Cina, tanto è vero che nelle pagine successive questi Paesi sono chiaramente citati. Nulla di realmente nuovo se consideriamo che Cina, Russia e Corea erano considerate potenze nemiche, limitandoci a tempi recenti, già dalla fine del XIX secolo.
La formalizzazione degli interessi nazionali
Contrariamente ad altri Paesi – Italia per prima – il Giappone ha definito chiaramente quali sono gli interessi nazionali che la nuova strategia è incaricata di proteggere. In termini formali, la scelta è importante perché costituisce allo stesso tempo una guida chiara e una linea invalicabile per l’esecutivo nel perseguimento dell’azione politica. Dunque, ricadono nell’ambito della sicurezza nazionale:
- la difesa dell’indipendenza, della sovranità e del territorio, nonché – aspetto non marginale – la preservazione della propria identità culturale;
- l’uso dell’economia come strumento per garantire la prosperità del Paese, nell’ambito di una cooperazione internazionale quantomeno paritaria;
- l’impegno a cooperare, non solo nell’area indopacifica, a mantenere e sviluppare un free and open international order.
Pur temperato dal richiamo al diritto internazionale, questi obiettivi sono in sostanziale continuità con quelli teorizzati nel 1890 da Yamagata Aritomo (feldmaresciallo e due volte primo ministro) secondo il quale: “The independence and security of the nation depend first upon the protection of the line of sovereignty and then the line of advantage. . . . If we wish to maintain the nation’s independence among the powers of the world at the present time, it is not enough to guard only the line of sovereignty; we must also defend the line of advantage . . . and within the limits of the nation’s resources gradually strive for that position”.
La definizione dei principi
I principi che regolano l’azione politica sono basati sulla presa d’atto della crisi dell’attuale ordine internazionale e sulla necessità di una leadership forte che lo ripristini. “Due to the changing power balances and diversifying values around the world”, dice testualmente il documento, “strong leadership is being lost in the global governance structure at large … At the same time, however, it is becoming increasingly difficult for the United States, Japan’s ally with the world’s greatest comprehensive power, and international frameworks such as the G7 to manage risks in the international community and to maintain and develop a free and open international order”.
- Contribuzione proattiva alla pace basata sulla cooperazione internazionale cioè, ancora una volta, riaffermazione della possibilità per il Giappone di operare anche al di fuori dei propri confini nazionali, ma nell’ambito del diritto internazionale.
- Sottoposizione dell sicurezza nazionale al rule of law e al rispetto dei diritti fondamentali. Come per la definizione degli interessi nazionali, anche in questo caso il formalizzare il primato della legge sugli interessi politici dell’esecutivo è, per certi versi, rivoluzionaria dal momento che consolida il ruolo del Parlamento nella gestione della sicurezza nazionale. La scelta non è banale né scontata se consideriamo che, per esempio, in Italia non c’è ancora stata una chiara “normativizzazione” della sicurezza nazionale, lasciata “semplicemente” a livello di titolo, ma senza alcuno svolgimento.
- Rinuncia, in un’ottica esclusivamente difensiva, alla dotazione di un arsenale nucleare e sostegno alla non proliferazione ma nello stesso tempo chiaro impegno ad essere parte del sistema di deterrenza statunitense. A questo proposito, tuttavia, è interessante notare —il diavolo è sempre nei dettagli— che se da un lato il Giappone dichiara di non volersi dotare di armi atomiche, dall’altro dice chiaramente di fare affidamento sulla “extended deterrence by the U.S. that is backed by its full range of capabilities, including nuclear”.
- Relazione privilegiata con gli Stati Uniti. La riaffermazione della centralità del legame con gli Stati Uniti è una indicazione chiara della scelta di campo nella gestione delle politiche della sicurezza, che dunque non necessariamente potranno o dovranno tenere conto anche delle esigenze dell’Unione europea.
- Creazione di assi strategici complementari. Per quanto centrale, la cooperazione con gli Stati Uniti non è l’unico strumento di tutela degli interessi nazionali che, dunque, possono essere perseguiti anche per mezzo di accordi bilaterali o multilaterali con altre like-minded country. La formalizzazione degli impegni alla cooperazione militare e tecnologica con il Regno Unito (peraltro non nuova, considerata l’alleanza stipulata con la Corona nel 1902) è perfettamente coerente con questo schema.
La selezione degli obiettivi e degli strumenti
- Eliminazione definitiva di qualsiasi minaccia che dovesse raggiungere il Giappone, secondo modalità favorevoli alla protezione degli interessi nazionali. Una lettura “rigida” di questo obiettivo potrebbe condurre a ritenerlo un limite a eventuali negoziazioni diplomatiche in caso di crisi, che non potrebbero consentire la stipulazione di accordi che prevedessero una limitazione degli interessi nazionali come sopra definiti. Forse è ancora aperta la ferita causata dall’intervento della “Triplice d’Oriente” (Russia, Francia e Germania) che costrinse il Giappone a rinunciare alla penisola del Liaodong, acquisita nel 1895 con il Trattato di Shimonoseki alla fine della prima guerra sino-giapponese.
- Conseguimento della sovranità tecnologica, economica e industriale. La cooperazione internazionale con Paesi like-minded (che, detto per inciso, non significa necessariamente “amici”) dovrà essere competitiva. Da un lato dovrà essere preservata l’autosufficienza della struttura economica giapponese; dall’altro gli altri Paesi dovranno essere messi in condizione di non poter fare a meno delle tecnologie nipponiche.
- Costruzione di un nuovo ordine internazionale. Autoqualificandosi come “major global actor” il Giappone rivendica un ruolo centrale nella raggiungimento di un nuovo equilibrio non solo negli scenari regionali, formalizzando il proprio impegno ad intervenire preventivamente in caso di azioni unilaterali dirette al cambiamento dello status quo.
- Assunzione di un ruolo attivo nella gestione delle global issue come il cambiamento climatico e le pandemie.
Il perseguimento di questi obiettivi è affidato all’interazione sinergica fra svariati livelli dell’azione politica e del settore privato. Il contributo pubblico è affidato al potenziamento delle relazioni diplomatiche, al rinforzo della politica della “fortezza galleggiante” e al supporto a politiche di investimento basate sul libero mercato e assunzione di un ruolo centrale nella global supply chain. Al settore privato viene richiesto di incrementare la cooperazione per lo sviluppo di tecnologie per la sicurezza nazionale e per la prevenzione del furto di informazioni critiche.
Conclusioni
La strategia di sicurezza nazionale giapponese è più un’evoluzione che una rivoluzione. Da un lato, infatti, si confronta con le conseguenze indotte dallo sviluppo tecnologico e dai cambiamenti economici, dall’altro aggiorna – ma in continuità – una visione politica costruita nella seconda metà del XIX secolo e sviluppata a partire dal secondo dopoguerra.
L’elemento di novità è sicuramente la fine della “pregiudiziale militare” che impediva al Giappone lo sviluppo di un apparato offensivo e l’intervento al di fuori dei confini. Formalmente nulla è cambiato nella Costituzione giapponese ma in termini sostanziali, seppur con (relativamente) piccoli passi, le cose stanno cambiando. Ad oggi non si può certo affermare che questa nuova strategia di sicurezza nazionale legittimi il Giappone ad una tutela dei propri interessi tramite l’invio unilaterale di expeditionary force. Nello stesso tempo, tuttavia, essa è indice della volontà politica di riprendere un ruolo che vada oltre i confini regionali e gli ambiti puramente economici, dichiarandosi fermamente schierata nel campo dei sostenitori della legalità internazionale.
Il grande assente in questa strategia politica è l’Unione europea che non viene mai citata come interlocutore, a fronte del chiaro riferimento alle singole nazioni europee che però, come nel caso dell’Inghilterra, non coincidono necessariamente con l’Unione europea.
Il ruolo strategico dell’Italia è tutto da definire. Appare improbabile la stipulazione di accordi per la cooperazione militare come quelli con il Regno Unito. Tuttavia, è possibile che la comune partecipazione al progetto Tempest possa rappresentare un primo punto di contatto per un technology transfer —meglio se si trattasse di “exchange”— nel comparto dell’altissima tecnologia, con tutte le non irrilevanti conseguenze positive in termini di ricerca, sviluppo e rafforzamento internazionale del comparto industriale della difesa.