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L’importanza di essere inclusivi. La lezione storica per il governo di oggi

La Dc di governo aveva al suo interno e ascoltava tutte le voci del Paese, per affrontare e svuotare in anticipo le obiezioni altrui. Ciò vale anche per l’ordinaria amministrazione. Se vuole governare, anche senza pensare alle grandi riforme, Meloni premier non deve temere obiezioni, anzi le deve portare dentro il suo gabinetto. Se non lo fa, al di là di ogni numero, sbanderà sempre di più. L’analisi di Francesco Sisci

C’è un elemento sottile, delicato ma importantissimo nelle democrazie: la differenza di comportamento tra partiti in quanto tali e in quanto con un ruolo di governo. I partiti devono essere di parte, altrimenti perché uno li sceglie? Ma il governo deve essere inclusivo, perché altrimenti ha mezzo Paese contro.

La Democrazia Cristiana (Dc) che ha governato l’Italia per quasi mezzo secolo, ha nei fatti scritto il manuale sulla gestione di queste differenze. Da partito faceva la guerra a nemici, alleati, e anche avversari di corrente. Ma da governo, includeva repubblicani, liberali, social democratici e poi anche socialisti e comunisti nella condivisione e gestione del potere. Lo fece tanto e tanto bene, che alla fine non c’era più opposizione vera, ma consociativismo, appunto.

Oggi in Italia sembra che FdI e Pd, rispettivamente governo e opposizione, si comportino all’opposto di come dovrebbero. Il governo persegue politiche divisive, il Pd cerca di essere inclusivo. Entrambe le strategie sono perdenti. Naturalmente, perde di più chi non è al potere, cioè il Pd, ma anche FdI non è messo bene se persevera su questa strada.

Innanzitutto FdI. Ha proposto tre grandi riforme – giustizia, presidenzialismo e autonomia regionale spinta. Ciascuna obbedisce a obiettivi politici diversi. Giuste o meno, su ciascuna di queste dovrebbe cercare consensi trasversali, larghissimi, interni e internazionali, visto che ciascuna ha un impatto enorme. Se cerca di sfondare, contando solo i numeri peraltro teorici in Parlamento, si sfracella. Ciò sta accadendo in queste ore sulla meno controversa delle tre riforme, quella sulla giustizia, dove in teoria ci sarebbe maggiore accordo. Le altre due sono entrambe più complicate. L’Italia è fragile, complicatissima, nessuna grande riforma resiste se spinta solo da una parte. Quindi gli aggiustamenti dopo le critiche, la “retromarcia su Roma” del premier Meloni sono giuste. Sta imparando facendo, deve riordinarsi le idee e il modo di fare. Ma fare avanti e indietro dopo un po’ non basta più. Bisogna cercare di evitare gli errori all’origine. Ciò forse dipende anche dal dibattito e preparazione interna al governo.

Oggi intorno al premier c’è una squadra fatta di fedelissimi, persone di cui lei si fida forse ciecamente. Ma per governare bisogna pensare con la testa degli altri, coinvolgere opinioni diverse, perché una discussione in più dentro una stanza è meglio che una polemica sui giornali. La Dc di governo aveva al suo interno e ascoltava tutte le voci del Paese, per affrontare e svuotare in anticipo le obiezioni altrui. Ciò vale per le grandi riforme ma, si è visto con le battaglie coi benzinai, anche per l’ordinaria amministrazione.

Se vuole governare, anche senza pensare alle grandi riforme, Meloni premier non deve temere obiezioni, critiche, anzi le deve portare dentro il suo gabinetto. Se non lo fa, al di là di ogni numero, sbanderà sempre di più.

Il Pd ha il problema opposto e si muove al contrario di quello che dovrebbe. È all’opposizione e dovrebbe fare guerra, sia al governo che ai suoi avversari a sinistra, il M5S. Ciò solo per sopravvivere. Invece in preparazione del congresso un documento con 84 (!) saggi è diventato dopo una elaborazione dei vertici di 15 pagine (!!!) per essere inclusivo (sic). Ma il Pd non è al governo, deve essere di parte, non inclusivo. Se si comporta da governo essendo all’opposizione è già clinicamente morto, con l’encefalogramma piatto. Certo, il Pd, figlio per tanti versi del Pci, potrà volere evitare lo scontro con il M5S in nome della vecchia tradizione delle alleanze. Ma tali alleanze si basavano sull’egemonia culturale del Pci e sul dominio delle piazze. Ora entrambe sono sfuggite al Pd, e difficilmente sono recuperabili nei termini passati. Bisognerebbe cercare altre strade.

Il M5S ha una visione più chiara: opporsi al governo e tagliare l’erba sotto ai piedi del Pd. Poco importa se i suoi slogan e le sue promesse sono irrealistiche e distruttive per il Paese, pochi le contestano efficacemente. Così, tra governo e opposizione, sembra di ascoltare un rimbalzo di note stonate, oggi senza grande eco all’estero per il fragore della guerra e delle tensioni internazionali. Ma ciò potrebbe non essere un vantaggio. Se i pasticci dell’Italia non sono importanti, forse l’Italia smette di essere importante.


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