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Meloni, il ritorno della politica e il metodo democristiano. Parla Rotondi

“La capacità di mediazione, di intessere rapporti e di preferire il dialogo allo scontro sono tutti elementi che hanno caratterizzato profondamente l’azione democristiana durante la Prima Repubblica”, spiega il democristiano doc e deputato Gianfranco Rotondi.  “E Giorgia Meloni le ha adottate come metodo di governo”

C’è un sapore antico, che incredibilmente riesce a travalicare gli anni e a rivelarsi moderno. C’è una visione, un orientamento, un metodo. La grande tradizione democristiana – celebrata in questi giorni nei palazzi istituzionali con gli eventi dedicati al ricordo di Misasi e Marcora, ma soprattutto con la presentazione del libro di Pier Ferdinando Casini – rivela il prepotente ritorno in scena della Politica con la P maiuscola. Perché, come riflette un altro democristiano “doc” come Gianfranco Rotondi con Formiche.net, “Giorgia Meloni è espressione della politica. Lei è un politico”.

Rotondi, c’è una grande attenzione ai padri nobili della Dc da parte di questo governo. 

L’attenzione dell’esecutivo alla storia della Dc è encomiabile. Ma da una come Giorgia Meloni che è riuscita nella mirabolante impresa di tornare a unire cultura e politica, portando la destra al governo, non c’è da meravigliarsi più di tanto.

Giorgia Meloni è diventata democristiana?

Il premier ha una storia diversa alle spalle, ma ha certamente un grande rispetto della cultura democristiana. Diciamo che, anche nell’ambito delle scelte che sta facendo a vari livelli – dalle nomine nei posti chiave dell’apparato statale al dialogo con i partner internazionali a partire dall’Ue – pare aver mutuato il “metodo” democristiano. La capacità di mediazione, di intessere rapporti e di preferire il dialogo allo scontro. Queste sono tutti elementi che hanno caratterizzato profondamente l’azione democristiana durante la Prima Repubblica. Il “metodo” di Meloni appare insolito perché, dopo anni in cui la politica di professione è stata criticata e bistrattata, ora è tornato a essere non solo utile ma necessario.

Lei è la parte “Dc” di Fratelli d’Italia…

Forse, dopo Casini, sono il democristiano per antonomasia (ride, ndr). Premesso che non sono iscritto a FdI, ma se si scorrono i curricula dei molti dirigenti del partito guidato da Giorgia Meloni, gratta gratta, viene sempre fuori lo scudo crociato. Per governare, ci vogliono i democristiani. C’è poco da fare. Ma questa mia affermazione parte da una frase che amava spesso ripetere un grande uomo che ha incarnato la destra di governo, ben prima di Meloni, e del quale mi onoro di essere stato collaboratore.

Pinuccio Tatarella?

Esattamente. Un uomo straordinario, al quale mi legava una profonda amicizia. Un’intimità e un’affinità tutt’altro che banali.

Che cosa sosteneva?

Che il 65% degli italiani non fosse di sinistra. E aveva ragione. Questo porta a un’altra considerazione: non si può governare solo con l’elettorato di destra che, per quanto in crescita, non è sufficiente. Occorre tenere assieme tante sensibilità. I democristiani in qualche modo rappresentano un punto di sintesi. Mio compito, anche in seno a questa maggioranza, è quello di fare in modo che il seme e la cultura democristiani continuino a essere vivi.

Alla presentazione del libro di Casini c’erano tutti. Ma proprio tutti. Se l’aspettava?

Certo. L’aspetto che rileva, oltre al fatto che all’evento ci fossero ministri, imprenditori, esponenti dell’imprenditoria, cardinali, giornalisti e il presidente del Senato Ignazio La Russa, è che c’era tutta la classe dirigente diffusa di questo Paese. Chi conta davvero. E, ancora una volta, a guardarci bene, si scopre che sono tutti democristiani.

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