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Senza un mercato forte, l’arte italiana sarà esclusa dalle piazze globali

Nel nostro Paese non esistono politiche finalizzate allo sviluppo del mercato dell’arte, ma politiche finalizzate allo sviluppo degli artisti. Secondo il legislatore fiscale, la vendita di un’opera d’arte da parte di una galleria è soggetta alla stessa aliquota di un bene ordinario. In caso di successioni, non importa il valore dell’opera d’arte in sé, ma il suo utilizzo: se è utilizzata in casa avrà una fiscalità meno onerosa rispetto a un’opera che è invece custodita in un caveau. Stefano Monti, partner di Monti&Taft, sulle piazze globali dell’arte

Quali sono le città più interessanti per acquistare opere d’arte di artisti affermati al mondo? Secondo il report Arts Economics del 2022, i collezionisti preferiscono, nell’ordine, Londra, Parigi e New York, mentre New York, Londra e Los Angeles sono le migliori città per guardare e comprare arte emergente.

Il report raggruppa inoltre tali preferenze sulla base del Paese d’origine dei collezionisti intervistati. Emerge dunque che i collezionisti italiani preferiscono vedere e comprare opere d’arte di artisti affermati a Londra, Parigi e New York, mentre emergenti ed esordienti vanno invece cercati e acquistati a New York, Londra e Parigi, esprimendo dunque preferenze in linea con i collezionisti degli altri Paesi.

E proprio come i collezionisti degli altri Paesi, non pongono alcuna città italiana tra le best-3.

Sia chiaro, l’Italia è tutt’altro che estranea ai mercati dell’arte: sebbene il suo peso specifico non sia tale da competere con le grandi potenze mondiali né per volume del venduto, né per fatturato, il nostro Paese è comunque sempre “presente” nella geografia globale.

E sempre per chiarezza, è anche giusto ribadire che questa presenza tutto sommato residuale è anche frutto di una scelta specifica del nostro Paese che tende, data la mole di eredità culturale di cui disponiamo, ad avere posizioni tra le più restrittive in termini di mercato e in termini di esportazioni.

Il punto, quindi, non è tanto comprendere il motivo per cui il nostro Paese non rivesta la stessa importanza di Cina, Londra e USA all’interno dell’intero mercato dell’arte globale. Il punto è piuttosto comprendere i meccanismi che determinano la relazione che collega la presenza di un mercato solido con la presenza di artisti esordienti o emergenti che si contendono l’attenzione dei collezionisti globali.

I fattori che concorrono a rendere tale dinamica così evidente sono numerosissimi al punto che è quasi impossibile analizzarli in modo totale. Senza dubbio, tuttavia, ci sono alcuni fattori ben noti: la presenza di ricchezza, ad esempio, gioca un ruolo fondamentale per qualsivoglia mercato, e per il mercato dell’arte (che si posiziona tra i cosiddetti luxury goods) ancor di più. Accanto a tale fattore c’è la naturale relazione tra la presenza di un mercato florido e la presenza di molteplici soggetti che concorrono per poterne far parte.

In altri termini, se c’è una grande domanda, stimolata anche dall’importante presenza di grandi capitali, allora tale offerta richiamerà necessariamente molteplici soggetti che intendono far parte della cosiddetta offerta.

A sua volta, questa grande presenza di offerta potenziale, si traduce in una concorrenza sempre più specializzata: questo significa che quanti più artisti ci sono in una determinata città, tanto più difficile sarà emergere e, in genere, si ritiene che coloro che riusciranno ad emergere saranno dunque i migliori.

Accanto a questi elementi di concorrenza “divisiva”, tuttavia, concorrono anche fattori di concorrenza “unificante”: la presenza di molti artisti e di molte produzioni funge da stimolo per altri artisti, genera collettivi, e relazioni, che a loro volta influiscono su molteplici aspetti della produzione artistica di un determinato luogo e di una determinata epoca.

Si tratta di elementi ben noti, che nei secoli hanno fatto la fortuna delle grandi capitali dell’arte: da Roma a Firenze, da Parigi a Londra, da New York a Taipei.

Pur essendo dinamiche ben chiare, tuttavia, in Italia le politiche tendono a distinguere in modo molto chiaro l’approccio nei confronti dell’arte dall’approccio nei confronti del mercato: l’artista va tutelato sin quando l’arte non diviene opera.

Nel nostro Paese, in altri termini, non esistono politiche finalizzate allo sviluppo significativo del mercato dell’arte, ma politiche finalizzate allo sviluppo degli artisti. Tale distinzione può avere una validità etica nel momento in cui si assume che l’arte e il mercato dell’arte rappresentino due dimensioni separate. Vale a dire sin quando sia opinione comune che l’arte sia una dell’espressione più importanti della creatività umana, e il suo commercio invece possa essere equiparato al commercio di un qualunque altro prodotto.

Secondo il legislatore fiscale, per essere chiari, la vendita di un’opera d’arte da parte di una galleria è soggetta alla stessa aliquota di un bene ordinario. Sempre secondo il legislatore fiscale, in caso di successioni, non importa il valore dell’opera d’arte in sé, ma il suo utilizzo: se è utilizzata all’interno dell’abitazione avrà un trattamento meno oneroso rispetto ad un’opera che è invece custodita in un caveau.

Tali scelte possono essere corrette o inique a seconda del proprio punto di vista. E senza dubbio l’approccio protezionistico del nostro Paese ha sicuramente tutelato l’esportazione di numerose preziose testimonianze artistiche del nostro passato.

Sulla base delle considerazioni svolte, tuttavia, hanno anche nei fatti limitato l’emersione dell’espressione della cultura contemporanea: inibendo il mercato, e di fatto la concorrenza, e facendo sì che le principali “ricchezze” del nostro tempo sviluppassero in realtà le proprie carriere proprio in una di quelle piazze che ancora oggi vengono considerate come le più interessanti da parte dei collezionisti.

Altre strade sono sicuramente possibili. Ma sono possibili se e solo se c’è una volontà politica e collettiva tesa ad incrementare il mercato dell’arte italiano, e a favorire il posizionamento del nostro Paese all’interno degli itinerari globali.

Senza questa volontà politica, tutte le possibili soluzioni sono in realtà tecnicismi che complicherebbero il dibattito senza farne emergere la reale natura politica: perché è politica la natura delle scelte che sinora sono state condotte, ed è quindi politico il dibattito che deve affrontare il tema.

Anzi. È politica anche soltanto la volontà di strutturare un dibattito al riguardo.

Foto di Roberto Contreras su Unsplash


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