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Quattro motivi per non alzare le barricate contro il Mes. L’analisi di Ferretti

Sarebbe molto meglio dedicare ogni sforzo a bloccare quelle decisioni europee in grado di colpire alla gola le nostre imprese. L’opinione di Andrea Ferretti, docente al master in Scienze Economiche e Bancarie – Luiss Guido Carli

È ormai ben noto che tutti i governi, compreso quello italiano, hanno già dato da tempo il loro assenso alle modifiche al funzionamento del Mes, il “Fondo salva stati” ideato nel 2010 a tutela della stabilità finanziaria dell’Eurozona. Come è altrettanto noto che tutti i Parlamenti hanno già ratificato questi accordi ad eccezione di quello italiano. E questo a causa della presenza di uno schieramento politico, dentro e fuori la maggioranza, storicamente contrario al Mes in quanto accusato di minacciare, in caso di suo intervento, la sovranità nazionale dei paesi in difficoltà. Ora il punto, banalmente, è questo: siamo proprio sicuri di perseguire l’interesse dell’Italia dando fuoco ai copertoni ed alzando improvvisate barricate contro il Mes? Oltretutto nel più totale isolamento? Probabilmente no, per almeno 4 buoni motivi cui sono associate altrettante parole chiave.

Il primo motivo è associato alla parola chiave “inutilità”. Infatti, alzare improbabili barricate appare del tutto inutile in quanto oggi non si sta affatto discutendo di un eventuale utilizzo da parte dell’Italia del Fondo Salva Stati. Si sta solo discutendo di alcune modifiche al funzionamento del Mes, la cui attivazione rimane comunque indissolubilmente legata ad una esplicita richiesta da parte del Paese in difficoltà. Tanto è vero che nel delicatissimo periodo 2010/2014 Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna chiesero l’aiuto del Fondo Salva Stati. L’Italia, invece, nonostante nel novembre 2011 fosse al limite dell’avvitamento finanziario, scelse liberamente e politicamente di andare avanti senza richiedere l’intervento del Fondo. E, probabilmente, a posteriori, fu una scelta giusta, ancorché piuttosto rischiosa.

Il secondo motivo è associato alla parola chiave “credibilità”. Come detto, il governo Conte 2 aveva già manifestato nel 2020 il suo accordo sul “nuovo Mes”. Rinnegare oggi quella decisione sarebbe tecnicamente possibile, ma costituirebbe una battuta d’arresto in quel processo di rafforzamento della nostra credibilità che, sia il governo Draghi, sia l’attuale governo stanno perseguendo. Ma il vero punto è che l’ultima cosa che deve fare un Paese con 2771 mld di debiti è quella di perdere la credibilità e quindi la fiducia di mercati ed investitori. Lo insegna la lezione del Novembre 2011 quando la sfiducia nella capacità dell’Italia, schiacciata dal debito, di gestire la situazione fece schizzare lo spread sul Bund tedesco a 573 b.p. Lo dimostra, più di recente, la “lezione inglese” quando la crisi di sfiducia sulla sostenibilità del debito britannico (molto inferiore al nostro) ha spazzato via in 45 giorni netti il governo di Liz Truss. Ma, soprattutto, non si può rischiare di perdere la fiducia dei mercati sapendo che la Bce, al fine di contrastare l’inflazione, da marzo inizierà a chiudere l’ombrello protettivo riducendo di 15 mld al mese l’acquisto di titoli europei, in particolare italiani. Con la conseguenza che dovremo lottare per conquistare (oltretutto a costi crescenti) ogni singolo Euro indispensabile per rifinanziare i 335 mld di debito pubblico in scadenza nel 2023.

Il terzo motivo, strettamente connesso al primo, è legato alla parola chiave vulnerabilità. Infatti, cercando di bloccare la partenza del Fondo Salva Stati con le nostre improvvisate barricate, accenderemmo subito i riflettori di mezzo mondo sul nostro debito pubblico. Con la conseguenza che il nostro Paese tornerebbe ad essere percepito come l’anello debole della catena rimanendo così esposto sia agli attacchi mirati della speculazione, sia ad improvvisi shock esogeni. E le avvisaglie di questa nuova percezione dell’Italia si sono già manifestate in un recente sondaggio del Financial Times dove un nutrito gruppo di economisti ci ha etichettato come il primo candidato ad una crisi finanziaria da eccessivo indebitamento.

Il quarto motivo è infine legato alla parola chiave “logica”. Infatti potrebbe sembrare un comportamento piuttosto illogico e forse anche un po’ bipolare quello di isolarci ed aprire un serio contenzioso con la Commissione proprio nel momento in cui: 1) abbiamo chiesto alla Commissione maggiore elasticità sul fronte del deficit per sostenere le nostre imprese; 2) stiamo chiedendo alla Commissione una maggiore elasticità sulla messa a terra del Pnrr a causa delle nostre inefficienze burocratiche; 3) chiederemo a breve alla Commissione di approvarci, nell’ambito del nuovo “Patto di Stabilità, un piano di rientro dal debito pubblico molto soft che tenga conto delle nostre specifiche esigenze. E allora, più che sdraiarci sull’asfalto europeo per bloccare il Mes come fossimo improbabili ambientalisti sul Raccordo anulare, sarebbe molto meglio dedicare ogni sforzo a bloccare quelle decisioni europee in grado di colpire alla gola le nostre imprese. E le casistiche non mancano: dalle etichette irlandesi sulle bottiglie che abbinano vino e tumori, alle etichette “Nutri- Score” francesi che, dal 2024, potrebbero bocciare olio di oliva e parmigiano italiani. Senza trascurare le nuove direttive europee sulle case green e le classi energetiche che, pensate da Paesi con uno scarso patrimonio immobiliare storico, potrebbero travolgere il nostro settore immobiliare.


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