Al di là degli impegni che verranno presi (o confermati), spicca la diversità oggettiva dei tre interlocutori: Ankara è player primario nell’area che va dal Mediterraneo al Medio Oriente e di conseguenza è attore attivo su molteplici fronti; Tripoli e Tunisi stanno affrontando una delicatissima fase caratterizzata dalla iper-debolezza delle singole istituzioni, quindi bisognose di un approccio diverso
Non sarà evidentemente una missione di semplice routine quella che attende il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, impegnato in un triplo tour mediterraneo che lo porterà da domani in Turchia, Libia e Tunisia. Non fosse altro per i temi da trattare, tutti pregnanti, come geopolitica, energia, Nato, Ucraina e migrazioni. Ma altamente strategica per le policy italiane.
Al di là degli impegni che verranno presi (o confermati), spicca la diversità oggettiva dei tre interlocutori: Ankara è player primario nell’area che va dal Mediterraneo al Medio Oriente e di conseguenza è attore attivo su molteplici fronti; Tripoli e Tunisi stanno affrontando una delicatissima fase caratterizzata dalla iper debolezza delle singole istituzioni, quindi bisognose di un approccio diverso.
Qui Ankara
Oltre alle solide relazioni commerciali tra Roma e Ankara (si pensi alla voce difesa), i temi legati alla geopolitica nel Mediterraneo e nel Caucaso da un lato, e alle azioni in ambito Ue e Nato sono densi di significati per i due Paesi.
Come osservato su queste colonne dall’ambasciatore Gabriele Checchia, sarà per il governo fondamentale sia “mantenere aperto l’esistente canale di dialogo con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan (attore, ci piaccia o meno, cruciale nella regione anche per quanto riguarda la gestione e il controllo dei flussi migratori dall’area balcanica e mediorientale) nonostante i forti condizionamenti esercitati da Ankara sul governo di Tripoli e la sua azione di contrasto delle attività della nostra Eni al largo di Cipro; dall’altro, continuare a operare, nelle condivisibili parole del presidente Meloni, perché ci sia più Europa nel fronte Sud come l’Italia rivendica da tempo, non potendo gestire da sola flussi migratori di dimensioni ingestibili”.
Tra l’altro lunedì prossimo il ministro dell’Interno italiano sarà nel Paese: Matteo Piantedosi incontrerà il suo omologo Suleyman Soylu per approfondire i temi della sicurezza e dei migranti, oltre che per ribadire la centralità del Mediterraneo. Il viaggio si inserisce nella strategia del governo per la gestione dei flussi migratori basata su accordi con paesi di partenza ma anche di transito.
Il doppio appuntamento Tunisia-Libia, ambiti geopolitici dove si snodano dossier connessi anche alle attività turche nel Mediterraneo, disegna così parte delle attenzioni italiane alla sponda nordafricana. Visita che si abbina a un altro doppio passaggio, Libia-Algeria in questo caso, che la presidente Giorgia Meloni sta preparando “entro fine mese”, come spiegano le fonti di Palazzo Chigi.
Qui Tripoli
Il caso della Libia è un buon paradigma delle sovrapposizioni tra i tre dossier trattati dal viaggio del capo della diplomazia italiana. Ankara, ai tempi della guerra con cui il capo miliziano di Bengasi, Khalifa Haftar, ha cercato di conquistare Tripoli col sostegno di alcuni attori esterni, ha fornito supporto militare al governo onusiano presente nella capitale. Una mossa — guidata soprattutto contro i sostenitori esterni di Haftar — che ha permesso però ai turchi di costruire e mantiene influenza in Libia, soprattutto in Tripolitania.
Ora che il flusso degli affari regionali del Mediterraneo ha virato verso una sostanziale distensione, Ankara è un interlocutore per gli interessi nazionali italiani proiettati sulla Libia. Il Paese è tornato vittima di divisioni interne tra Est e Ovest (e Sud) e il tentativo di riconciliazione proposto dal Consiglio presidenziale e dall’Onu — attraverso la costruzione di un governo terzo con lo scopo della stabilizzazione e delle immediate votazioni — appare l’unica via per evitare un complicato caos, come spiegato da Daniele Ruvinetti.
Se infatti la preoccupazione politica italiana riguarda i flussi migratori e il contesto securitario (anche connesso alla potenziale propagazione di gruppi armati come quelli attivi nel Sahel), d’altra parte senza un quadro interno stabile tutto diventa più complesso. Stabilità che invece potrebbe aprire ulteriori possibilità, anche commerciali, anche legate al tema cruciale della sicurezza energetica. Questioni che toccano in modo analogo la Tunisia.
Qui Tunisi
L’iniziativa di iper-presidenzialismo lanciata dal capo di Stato Kais Saied si è in parte arenata — come dimostrato anche dalla scarsa affluenza alle elezioni parlamentari, che dovevano essere un punto chiave della road map presidenziale. Il problema tunisino è doppio: da un lato le contestazioni alla stretta sul potere mossa da Saied, con le opposizioni politiche e alcune importanti parti sociali che hanno fortemente criticato e in parte ostruito l’attività presidenziale. Dall’altro la crisi socio-economica. Fattori che se sommati (o meglio moltiplicati) rischiano di essere nuovamente — dopo la Primavera araba — elemento di destabilizzazione interna a riflesso regionale.
Su questo, l’impegno dell’Italia ruota attorno a un’assistenza di carattere politico che riguarda anche l’accesso di Tunisi al sostengo del Fondo monetario internazionale, ma — come ricordato da Tajani in una recente conversazione col suo omologo tunisino — la cooperazione si spinge in molti campi. Tra l’altro, mentre l’Italia spinge per il controllo dei flussi migratori, anche i rapporti economici potrebbero aumentare notevolmente grazie al progetto dell’elettrodotto Tunisia-Sicilia.