Gli Accordi di Abramo e il Negev Forum hanno un valore strategico fondamentale per la regione Mena. A dicembre, il controverso neo-ministro Ben-Gvir è stato ospitato dall’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti a Tel Aviv. E il nuovo ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha dichiarato di voler partecipare a marzo a un vertice in Marocco con le controparti dei Paesi arabi che hanno normalizzato i legami con Israele
Con il nuovo governo israeliano appena insediato, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha già annunciato di avere in programma una visita ufficiale negli Emirati Arabi Uniti per il suo primo viaggio all’estero da leader dello stato ebraico.
I dettagli sono ancora in fase di definizione, ma per quanto noto il premier dello stato ebraico potrebbe visitare gli Emirati Arabi Uniti già la prossima settimana. L’agenda sarà fitta e prevedrà incontri di massimo livello. Tra l’altro, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohamed bin Zayed, ha già chiamato Netanyahu sabato 1 gennaio per congratularsi con lui dopo la cerimonia di giuramento. Già in quell’occasione (stando al readout israeliano) si è parlato della visita.
Un viaggio negli Emirati Arabi Uniti sarebbe una vittoria simbolica per Netanyahu, che si è presentato, vincendo per l’ennesima volta le elezioni, come uno statista indispensabile per Israele. Durante il suo precedente mandato, Netanyahu ha firmato gli Accordi di Abramo, sostenuti dagli Stati Uniti, che hanno normalizzato le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan.
Un processo diplomatico che segna presente e futuro della regione Medio Oriente e Nord Africa, ottenuto anche grazie al sostegno della precedente amministrazione statunitense guidata da Donald Trump e senza dover cedere terreno sul conflitto con la Palestina. Il clima a Washington non è cambiato: gli accordi vengono considerati un fattore chiave della stabilità regionale — e dunque di parte della strategia statunitense.
Tuttavia, l’amministrazione di Joe Biden sembra maggiormente interessata a tornare sulla questione palestinese, come ha dimostrato il segretario di Stato Antony Blinken che nel raccontare la sua recente telefonata con il nuovo ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha sottolineato “il continuo impegno degli Stati Uniti per una soluzione a due stati e l’opposizione alle politiche che ne mettono in pericolo la fattibilità”.
Nel readout americano tra l’altro non si parla degli Accordi di Abramo direttamente, ma del più ampio formato del Negev Forum, un tavolo di confronto diplomatico e securitario che mira anche ad allargare la partecipazione ad altri Paesi arabi oltre quello degli Accordi di Abramo, offrendo un sistema multilaterale e senza che essi debbano accettare la normalizzazione con Israele, ma offrendo la possibilità per un colloquio diretto con Gerusalemme. Anche perché alcuni Paesi, come recentemente l’Oman, mostrano ostilità ideologiche davanti alla formalizzazione dei rapporti con Israele.
Mentre la normalizzazione con Bahrein e Sudan è stata lenta, i legami di Israele con gli Emirati Arabi Uniti sono fiorenti. I turisti israeliani sono affluiti a Dubai e l’anno scorso i due Paesi hanno firmato uno storico accordo di libero scambio.
Netanyahu ha dichiarato di voler fare dell’espansione degli Accordi di Abramo una priorità del suo nuovo governo. Tuttavia, analisti ed ex funzionari statunitensi avvertono che la sua dipendenza da alleati di estrema destra e religiosi sionisti potrebbe ostacolare l’impegno, in particolare con l’obiettivo di Netanyahu di normalizzare i legami con l’Arabia Saudita.
Il tentativo di Netanyahu di visitare gli Emirati Arabi Uniti nel marzo 2021 è stato considerato da alcuni come uno stratagemma per prendersi il merito dei risultati di politica estera di Israele a pochi giorni dalle elezioni che avrebbero rimosso Netanyahu dal potere. Il suo viaggio è stato infine cancellato dopo che la Giordania ha ritardato l’approvazione del suo percorso di volo come ritorsione per la cancellazione da parte di Israele del viaggio del principe ereditario giordano alla Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme.
Tuttavia, al di là di misure e posizioni più di rito che di sostanza, il tema palestinese ha finora pesato poco sulle dinamiche in corso, Tant’è che il governo israeliano apre la sua rinnovata politica estera con la visita di Abu Dhabi. E nonostante Netanyahu ha già dichiarato che l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, considerati illegali dal diritto internazionale, è uno dei principali obiettivi del suo governo.
Prima delle elezioni dello scorso anno, il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed, avrebbe messo in guardia Netanyahu dall’includere nel suo governo persone di estrema destra. Alla fine Netanyahu ha nominato come ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e come ministro delle finanze Bezalel Smotrich, due figure con posizioni radicali.
A dicembre, Ben Gvir è stato comunque ospitato dall’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti a Tel Aviv per l’evento del 51° National Day degli Emirati. Sempre lunedì, il nuovo ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha dichiarato di voler partecipare a marzo a un vertice in Marocco con le controparti dei Paesi arabi che hanno normalizzato i legami con Israele. Lo scorso marzo, Israele ha ospitato i ministri degli Esteri di Emirati, Bahrein, Marocco ed Egitto, insieme al segretario di Stato degli Stati Uniti, per un evento simile, denominato “Vertice del Negev”. Un incontro successivo è stato previsto.
L’allineamento nell’ottica della normalizzazione arabo-israeliana è un interesse condiviso da tutte le parti. Nella sostanza, la visita stessa di Netanyahu — e l’importanza che essa assume come prima tappa diplomatica del premier israeliano — rappresenta un segnale su come la regione abbia intrapreso un processo di dialogo e distensione per provvedere in modo autonomo alle esigenze, sia di sviluppo e sia (presupposto) di sicurezza. Il valore strategico degli Accordi e del Negev Forum è confermato da questa consapevolezza raggiunta dagli attori regionali che c’è da superare differenze e divisioni — che tuttavia resteranno, almeno nel brev termine — per guardare a un’ottica più ampia.