Rinchiudere i cittadini solo nella sfera del voto e non nel coinvolgimento, non può appartenere all’ambizione di un Paese evoluto. Si parla di governabilità con il presidenzialismo che verticalizza, e invece il nostro proposito è ripristinare la partecipazione dei cittadini, allargando la base del consenso al sistema attraverso la responsabilizzazione
La volontà dichiarata da molti soggetti di storica appartenenza all’area centrista di essere interessati al processo di costruzione di un grande partito che raccolga forze liberali, popolari e riformiste è per più ragioni una buona notizia per chi desidera il cambiamento. A influire su questo proposito ha contribuito l’esperimento dell’ultima competizione politica nazionale dal terzo polo guidato da Carlo Calenda, che non schierandosi né a sinistra né a destra ha conseguito nella sua prima apparizione nello scenario politico italiano un risultato prossimo a due cifre.
È a portata di mano lo scenario politico nazionale con un soggetto autonomo alternativo all’attuale bipolarismo dominato dai populisti. Una presenza nuova e diversa che può mettere a nudo le debolezze delle attuali forze egemoni, loro stesse sfiancate dalla loro stessa demagogia che li porta al successo con la stessa velocità del loro rapido e successivo esaurimento. Infatti, questi due fronti del bipolarismo italiano, nella sempre più opaca alternanza, sono indotti sempre più frequentemente a ricorrere agli espedienti più rudimentali della demagogia per restare a galla e fronteggiare ogni nodo venuto al pettine dal fallimento della seconda repubblica.
È davvero preoccupante la pratica corrente di stare lontani dai grandi dossier economici e sociali mentre si sfornano senza sosta bonus di ogni tipo da distribuire ai clientes in dispregio delle ragioni dei contribuenti, del debito pubblico, delle primarie esigenze di sostegno allo sviluppo. D’altronde questo carattere distorsivo è la causa principe della crescita senza sosta del debito pubblico che conduce alla crescita delle tasse di ogni tipo e grado.
Ma il cambiamento dipenderà non solo dal rifiorire delle filosofie più nobili del Paese, ma anche dal ripristino delle regole del gioco delle regole costituzionali relativi al funzionamento dei partiti. Le forze politiche odierne, nel loro funzionamento interno, si sa, si sono molto discostate sensibilmente dallo spirito costituzionale che le reclama trasparenti riguardo la democraticità e la propria volontà e capacità di offrire ai cittadini occasioni di partecipazione. Infatti, alcuni sono di proprietà dei loro fondatori, altri hanno sostanzialmente organismi interni chiusi a una cerchia ristretta di eletti nelle istituzioni. In tale modo la vita democratica interna è limitata grandemente nelle potenzialità che che invece proprio i partiti politici dovrebbero esprimere come soggetto intermediario che si pone tra persona e autorità, e dunque svolgere la sua funzione primigenia: favorire la partecipazione è l’accesso di tutti alla possibilità di determinare la vita politica della Nazione con metodo democratico.
L’articolo 49 della Costituzione doveva regolare la vita interna delle associazioni politiche ma all’inizio della esperienza repubblicana, la forte la remora dell’esperienza fascista che aveva con il controllo dello Stato regolato le associazioni sociali e la politica, ha favorito la scelta della non regolazione. Ma tanta acqua è passata sotto i ponti e ora siamo giunti al ribaltamento delle preoccupazioni: dal rischio della ingerenza dello Stato nelle attività dei partiti, si è giunti alle preoccupazioni della occupazione delle istituzioni dello Stato da parte della partitocrazia, trasformando i diritti in favori e regalie, degenerando la stessa concezione, oltre che funzione, dei partiti nel nostro ordinamento.
Le leggi elettorali odierne che affidano ai leader la possibilità pressoché totale nella scelta delle candidature e il danno degli elettori di scegliersi con preferenza il proprio candidato in parlamento, come l’abolizione del finanziamento pubblico che ha ancora più ristretto il campo partecipativo per le persone non abbienti, sono da collegare alle forzature ormai sin troppo vistose della degenerazione in corso. Cosicché la nostra democrazia parlamentare ha difficoltà, priva della sua linfa della partecipazione, ad assicurare la piena moralità ed efficienza della Repubblica. E allora la regolamentazione del funzionamento dei partiti deve diventare la preoccupazione di chiunque tenga alla Repubblica e alla partecipazione dei cittadini alla vita democratica.
Rinchiudere i cittadini solo nella sfera del voto e non nel coinvolgimento, non può appartenere all’ambizione di un Paese evoluto. Si parla di governabilità con il presidenzialismo che verticalizza, e invece il nostro proposito è ripristinare la partecipazione dei cittadini, allargando la base del consenso al sistema attraverso la responsabilizzazione.