In tutti i governi di coalizione le tensioni sono fisiologiche. Ma alleati e competitor dovrebbero cominciare a preoccuparsi delle elezioni europee della primavera del 2024, e degli appoggi più o meno sovranisti che Meloni sta già trovando… Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica
La notizia è che, letti giornali sul suo Black Berry, Giuseppe Garibaldi mi ha mandato un sms assicurandomi che l’Italia è già stata fatta e che non saranno né Calderoli né Ronzulli a disfarla. Ha aggiunto che nutre qualche timore in più sui comportamenti dei balneari e dei distributori. Più che europeista molto ante litteram, anzi globalista di sinistra, ma non ditelo al ministro Sangiuliano, l’eroe dei due mondi sostiene anche che i bastoni fra le ruote del governo Meloni non sono soltanto quelli messi da alcuni forzitalioti in cerca di sopravvivenza e di Salvini in cerca di se stesso prima del Papeete, ma quelli che si trovano in proposte elettoralistiche imbarazzanti sulle quali adesso bisogna che il governo Meloni faccia marcia indietro. Lo ho scritto con grande nettezza Emanuele Felice (“Come si evolverà la destra di governo” in Domani, 15 gennaio 2023). Da italiano che ne ha viste tante, rimanendo con la schiena diritta e rifiutando di farsi ingabbiare nello spoils system, Garibaldi afferma che in tutti i governi di coalizione le tensioni sono fisiologiche. L’opposizione fa il suo mestiere a esagerarne l’importanza, ma la sorpresina è che, denunciando i nervosismi degli alleati, la Presidente del Consiglio un po’ li mette alla berlina un po’ li disinnesca. Questa strategia funzionerà poiché né Forza Italia né la Lega sanno dove andare.
Ciò detto, poiché da Caprera si riesce a vedere molto lontano, all’orizzonte si stagliano due momenti della verità. Il primo è costituito dalle riforme costituzionali; il secondo dalle elezioni per l’Europarlamento. Combinare l’autonomia differenziata con il semi-presidenzialismo finora indefinito non sarà un giochino da ragazzi poco esperti. Spiegare ad una parte almeno degli elettori patrioti che approfondire i solchi, non quelli tracciati dall’aratro, del regionalismo, rafforza la Patria, richiederà più di qualche conferenza stampa a reti unificate. Quanto al semi-presidenzialismo, l’unica certezza è che gli oppositori stanno dimostrando di non sapere cosa contrapporvi se non allarmismi e formule inesistenti e sbagliate: Sindaco d’Italia o Premierato, di recente diventato flessibile, ma sempre immaginario. Poi toccherà all’elettorato nel quale sicuramente Meloni sembra fare molta più breccia di qualunque competitor.
Alleati e competitor dovrebbero altresì cominciare a preoccuparsi delle elezioni europee della primavera del 2024 e degli appoggi più o meno sovranisti che Meloni sta già trovando. Una coalizione fra Popolari arrendevoli e Conservatori arrembanti sembra destinata, sulla base di loro varie avanzate elettorali nazionali, ad avere successo. Però, disfare l’Europa, ovvero ridimensionare le aree di collaborazione, non soltanto non servirà a fare né l’Italia né gli italiani, ma avrà contraccolpi pesanti sull’economia. Allora, davvero, finirà per tutti la pacchia.