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Da che parte starà il Pd? I dubbi di Cazzola

Il futuro prossimo porrà scelte importanti tali da qualificare l’azione di ogni forza politica. Se il Pd non sarà in grado di misurarsi “in avanti” con le prove che lo attendono, incalzando il governo nella direzione giusta, al gruppo dirigente che uscirà dalle primarie e sarà confermato nel Congresso resterà un ultimo disperato tentativo… Il commento di Giuliano Cazzola

Il Partito democratico si sta arrabattando con le date degli eventi a cui ha affidato la fine della crisi di nervi contratta lo scorso 25 settembre, rivedendo il calendario degli impegni come se fossero appuntamenti dal dentista. Anche in questa circostanza deve solo lamentarsi con se stesso. Non era un mistero che a febbraio si sarebbe votato nelle due più importanti regioni italiane: la Lombardia, la locomotiva d’Italia; il Lazio, il centro del potere politico e burocratico del Paese, con Roma, l’unica diceva Ennio Flaiano – sprovvista di una Metropolitana decente.

C’era quindi da presumere che ci sarebbero state interferenze tra le iniziative del Circo Barnum del Pd (le doppie primarie, il Congresso) e le scelte e la conduzione della campagna elettorale, per non parlare del risultato delle elezioni che non si annuncia sereno per i dem e i loro alleati.

Immaginiamo che i gruppi dirigenti del Pd siano consapevoli del rischio che stanno correndo: quello di essere trascinati in un dibattito congressuale limitato al tema delle alleanze; un tema che poi non sarebbe altro che decidere (magari a maggioranza) a quale partito arrendersi e consegnarsi.

Hanno un bel da dire i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse – che concorrono per la segreteria del Pd – che il partito deve darsi una propria identità, addirittura costruirsene una nuova attraverso la revisione dei valori del 2007; solo dopo questa “rifondazione’’ e sulla sua base si potrà aprire il confronto sulle alleanze. Sono state, invece, le esigenze concrete della campagna elettorale in Lombardia e nel Lazio a smentire questi propositi “politicamente corretti’’, giacché la questione delle alleanze è divenuta prioritaria in ragione del “primum vivere’’. E si è visto chiaramente che – anche per motivi oggettivi – il Pd privilegia le alleanze con il M5S di osservanza contiana. Laddove questo obiettivo non si realizza – come nel Lazio – è il Movimento a rifiutare l’intesa, nonostante Alessio D’Amato fosse assessore in una giunta condivisa con i pentastellati. Ma anche in questo caso il Pd ha subito una pressione esterna da parte del Terzo Polo (anzi direttamente da Azione che nelle elezioni del Comune di Roma risultò il primo partito). È bastata, però, qualche parola subito smentita per indurre D’Amato a dichiararsi pronto ad abbandonare Calenda e a consegnarsi a Conte.

Ma ha un senso rifiutare ogni possibile intesa – anche solo tecnica per via della legge elettorale – con il M5S, perché responsabile della caduta del governo Draghi e mettersi, un minuto dopo la sconfitta del 25 settembre, alla ricerca di una nuova alleanza? Tanto più che gli ex grillini dimostrano di perseguire un solo obiettivo: logorare i dem a proprio vantaggio, sottraendo loro consenso e voti. Diventa, poi, sempre più chiaro che l’attrazione masochistica per il sadismo di “Giuseppe’’ comporterà di pagare anche dei seri oneri politici a favore delle posizioni del M5S.

L’attuale maggioranza non ha concesso consistenti spazi di critica alle opposizioni: la legge di bilancio è stata per due terzi la stessa che avrebbe fatto il precedente governo, mentre i tentativi di piantare qualche bandierina identitaria sono stati ridimensionati ad opera della stessa maggioranza. Ma adesso viene il difficile; è in vista una differente politica monetaria da parte della Bce allo scopo di contenere la fiammata inflazionistica; l’Unione europea sta cominciando a pensare a nuove regole fiscali che consentano di superare il clima da libera uscita adottato per sostenere le famiglie e le imprese nella sequela di emergenze degli ultimi anni. Non è questa una prospettiva che raccoglierà un’adesione entusiastica del governo di destra.

E allora, quale sarà la linea di condotta del Pd? Diventerà il cane da guardia dell’Europa (come nel 2018) oppure seguirà il M5S su di un orientamento contrario all’avvio di una normalizzazione nella gestione dei conti pubblici? Poi verrà il momento delle politiche sociali. Si comincerà dalle pensioni. Nella legge i bilancio il tema è stato affrontato in modo schizofrenico, accompagnando le aperture al pensionamento anticipato, cosiddetto flessibile con importanti disincentivi, mettendo insieme in uno stesso pacchetto di norme-misure tra loro contraddittorie.

Quale sarà la linea del Pd in questa materia? Incoraggerà il governo a perseguire una strategia di riforma che tenga conto degli andamenti demografici, della sostenibilità e l’equità del sistema oppure seguirà, sulla strada dei passi perduti, le posizioni convergenti tra M5S e Cgil?

Le stesse domande potrebbero essere fatte per le modifiche al Reddito di cittadinanza: il Pd è consapevole dei difetti di questo istituto, ma seguirà Conte sulla via dell’intransigenza? Per ultimo viene il lavoro. La maggioranza ha mandato dei segnali fin troppo chiari su cosa intende fare “per non disturbare chi produce’’, sia per quanto riguarda il RdC, sia quei rapporti che vengono ricondotti nella “Cajenna’’ della precarietà, rispetto ai quali la filosofia è cambiata: per il centrodestra ogni lavoro è dignitoso.

Quando il governo riproporrà, in tema di contratti a termine, la normativa introdotta dal decreto Poletti (ministro del Lavoro di un esecutivo a direzione Pd), come reagiranno al Nazareno? Difenderanno, insieme al M5S, i contenuti del decreto Dignità?

Infine, ecco la domanda da un milione: il governo sembra essere intenzionato a condividere, con altri Paesi, un progetto di escalation per l’assistenza militare all’Ucraina, fornendo armamenti più sofisticati e tali da determinare una capacità offensiva dell’esercito di Kiev. È nota la posizione che assumerà il M5S. Forse, anche all’interno della maggioranza, sorgerà qualche problema. Da che parte starà il Pd? Mi pare che il futuro prossimo porrà scelte importanti tali da qualificare l’azione di ogni forza politica. E sappiamo che i problemi elencati sono ineludibili e persino divisivi anche all’interno del Pd. Ma se non sarà in grado di misurarsi “in avanti’’ con queste prove, incalzando il governo nella direzione giusta, al gruppo dirigente che uscirà dalle primarie e sarà confermato nel Congresso resterà un ultimo disperato tentativo: organizzare un pellegrinaggio a Lourdes.



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