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Contro l’omologazione per una visione del mondo conservatrice. Il commento di Pedrizzi

È necessario ora creare le condizioni perché il successo elettorale diventi la base di partenza per una nuova egemonia culturale della nostra visione della vita e del mondo di tipo conservatore

Anche le ultime elezioni politiche hanno confermato il profondo cambiamento psicologico dell’elettorato, che è passato da un voto “d’identità”, ad un voto pragmatico premiante le “capacità” di coerenza di Fratelli d’Italia. È un dato di fatto che l’elettorato nella gran parte tenda sempre più ad esprimere un voto privo di appartenenza ideologica (o anche di pregiudizio), ma questo avviene soprattutto perché è la politica ad essere scomparsa dalla scena.

La crescita elettorale tumultuosa, la comprensibile euforia per la vittoria, il passaggio dalla dimensione di movimento d’opposizione a forza di governo non è stata accompagnata né preceduta da una selezione della classe dirigente, per evidenti deficit di tempi di preparazione, anche se Giorgia Meloni ha messo in campo una squadra di governo di tutto rispetto.

Si corre però sempre il rischio concreto di appiattimento sulla prospettiva liberal-democratica, per il prevalere (non mancano, al riguardo, significativi esempi) di comportamenti che non ridiscutono ed aggiornano più la nostra identità, ma rischiano di fuoriuscire semplicemente, privilegiando il “fare” rispetto all’essere, ascoltando i cosiddetti “gnomi” di Bruxelles, come li definiva Paolo Savona, adeguandosi al politicamente corretto ed al pensiero unico.

Il mutamento delle forme di partecipazione alla vita politica risulta senz’altro una delle novità più significative del recente confronto politico, che ha visto cadere tabù consolidatisi per decenni: basterebbe valutare “la presa” pressoché nulla della cosiddetta pregiudiziale antifascista, agitata ancora dal Partito democratico, che in tal modo è andato al suicidio.

E la causa prima è sicuramente il venir meno dell’attrazione che le ideologie hanno esercitato nei confronti dell’elettorato, anche se va ampiamente ridimensionata la reale portata di quella tendenza, che descrive il nostro come il tempo del “tramonto delle ideologie”, che, dopo il crollo del comunismo, assegnerebbe automaticamente all’altro sistema di società, il capitalismo, il ruolo di modello “naturale” di organizzazione politico-sociale e chiuderebbe anche ogni residuo tentativo di proporre modelli alternativi.

Se la politica però dovesse ritornare ad essere momento alto, progettuale e non dogmatico, se riuscisse a “veicolare” valori nella società e, nello stesso tempo, ad attingerne, forse chi ha immaginato la “fine della storia” e la politica come semplice momento “tecnico”, come “fare” neutrale e indifferenziato, dovrebbe cominciare a ricredersi ed ad aggiustare il tiro…

Il problema perciò è quello di creare le condizioni perché il successo elettorale diventi la base di partenza, proprio perché la “fluidità” elettorale in questa fase si manterrà ancora a livelli pericolosamente elevati, per una nuova egemonia culturale della nostra visione della vita e del mondo di tipo conservatore.

Non va taciuto il rischio di veder manifestarsi tutto quel ritardo di preparazione, anche tutte quelle carenze di ordine culturale, che vanificherebbero il senso di novità che ha ispirato, in larga misura, il successo elettorale di Fratelli d’Italia. Bisognerà perciò iniziare un grande lavoro per fornire a chi svolge un ruolo di governo nelle istituzioni tutti gli elementi di stimolo e di valutazione in grado non solo di “far amministrare bene”, ma anche di dare una direzione all’azione politica: non si governa con la sola gestione dell’ordinario, ma fornendo un progetto di largo respiro, in grado di rendere “visibile” la diversità con i governi precedenti. Non è sicuramente la logica delle “cattedrali nel deserto” a dover ispirare il nostro agire alla “riconquista” di una identità culturale che è resa possibile da tutte le possibilità che ci si sono aperte.

Proviamo, in questi anni di governo che ci aspettano, a gettare le basi per la definizione di un nuovo senso di appartenenza comunitaria alla realtà nuova di “cittadinanza”.

Solo una saggia gestione delle competenze, da promuovere e da valorizzare, permetterà a un ambiente di “durare”; solo quest’elemento può permettere alla nostra tante volte millantata “diversità” di esprimersi fino in fondo.


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