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Innovazione e telemedicina, così la sanità può rinascere. Parla Schifone (FdI)

La deputata di Fratelli d’Italia: sul payback sacrosanto fare un correttivo, ora è tempo di una vera riforma per proteggere le imprese. Dal Pnrr sette miliardi per la telemedicina, l’esecutivo non se li faccia scappare. E sul personale servono investimenti, per il governo è una priorità

La sanità italiana è un po’ come quei pugili che nonostante i colpi ricevuti non finiscono knock out.  Lo si è visto con la pandemia, tanto per dirne una. Ma questo non vuol dire che l’attuale sistema non abbia bisogno di una cura ricostituente, che ne tonifichi i vari pilastri: dalla spesa, all’innovazione, passando per la medicina di territorio e la salvaguardia delle imprese.

Marta Schifone, una laurea in Farmacia e un posto nella società italiana di chimica cosmetologica, è deputata di Fratelli d’Italia e spiega a Formiche.net come e dove mettere le mani per una messa a punto di un sistema riconosciuto ancora oggi come tra i migliori al mondo.

Partiamo dalla questione del payback per le imprese che riforniscono la sanità di dispositivi medici. Il frontale con una spesa di oltre due miliardi che avrebbe impattato sulle aziende è stato evitato. Per ora. Ma come si riforma questo meccanismo?

La richiesta delle imprese di valutare una proroga di almeno sei mesi per valutare gli effettivi impatti sul settore e sulla sanità pubblica è stata accolta, ma già con la legge di Bilancio il governo aveva provato ad intervenire con un emendamento per rinviare i pagamenti, poi bocciato dalla Ragioneria generale dello Stato per coperture insufficienti. Questi mesi di proroga dovranno essere utilizzati per trovare una soluzione strutturale al problema, con una riforma complessiva che permetta di tutelare sia le regioni che le aziende.

Spesso si parla di sanità frammentata, tanto quante sono le singole regioni. E pensare che proprio in queste settimane si discute dentro e fuori il governo di autonomie, anche sanitarie. Come immaginare una sanità più coordinata e snella?

Bisogna immaginare interventi a più livelli. Ad esempio, spingere sull’innovazione, con incentivi allo sviluppo e alla diffusione della telemedicina. Nel nostro programma elettorale parliamo anche della necessità di promuovere le sinergie tra medici di base e sistema ospedaliero, immaginando una piattaforma centralizzata regionale di prenotazione per la diagnostica e l’ospedalizzazione. Poi è necessario implementare le cure domiciliari e i presidi territoriali, in particolare nelle aree a scarsa densità abitativa. Poi c’è un altro tema.

Ovvero?

Quello della carenza dei medici, che il ministro (Schillaci, ndr) ha definito emergenza del personale sanitario. Si agirà, in particolare, in una ottica di valorizzazione economica e professionale del personale sanitario come obiettivo. Molti progetti per un aspetto che è prioritario nell’agenda dell’esecutivo.

La medicina di territorio è uscita fortemente indebolita dalla pandemia e oggi necessita di nuovi investimenti, soprattutto in formazione. Qualche idea da cui partire?

Il tema è molto complesso e sfaccettato. Il ministro Schillaci è partito da un primo punto fermo in audizione in Parlamento, ovvero l’attuazione del decreto 77/22 sul regolamento per la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale, incluso l’aspetto relativo al personale necessario alla piena efficacia della riforma. Il sottosegretario Gemmato ha più volte sottolineato un altro aspetto: per potenziare il territorio e offrire una concreta medicina di prossimità serve puntare sui medici di famiglia e sui farmacisti. Io sono assolutamente d’accordo, 7 sono i miliardi di euro, stanziati dal Pnrr per la telemedicina, questi professionisti, se forniti di strumenti diagnostici di base possono contribuire a costituire dei veri e propri hub a disposizione degli italiani in cui fare le analisi di prima istanza, le ecografie, gli elettrocardiogrammi.

Lei è farmacista. In passato si è molto discusso circa le liberalizzazioni dei farmaci, a due anni dalla legge sulla concorrenza che ha liberalizzato la proprietà delle farmacie si contano oggi oltre 400 farmacie in mano a società di capitali con duemila addetti e un fatturato di 700 milioni: in pratica solo il 2% delle 19mila farmacie italiane. Un suo parere?

Il farmacista svolge un ruolo sociale primario oltreché sanitario, basato sulla presenza capillare nel territorio nazionale. Le farmacie assicurano a tutte le famiglie, a tutti i ceti sociali, alle classi agiate come a quelle meno abbienti dalle grandi aree metropolitane, in forza della pianta organica, alle zone rurali più disagiate, un bene di tutti, costituzionalmente garantito: l’assistenza sanitaria a tutto tondo, dalla dispensazione del farmaco ai servizi primari.

Dunque?

La capillarità delle farmacie, consente il contatto continuo e costante con il cittadino. La Croce Verde, infatti, brilla in tutti i campanili italiani e non solo nelle grandi strade e nei grandi corsi delle città. Senza dimenticare le farmacie delle aree interne, le farmacie rurali, che sono il presidio e il baluardo anche dove risiedono poche migliaia di abitanti, laddove non c’è convenienza, non c’è ritorno economico. Lì, invece, i farmacisti assicurano l’assistenza territoriale, molte volte soli, a presidiare i territori. Questa la forza delle farmacie e del modello italiano. Per noi un modello sociale e valoriale di riferimento.



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