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Scontro tra potenze e conflitti in corso. Tutte le sfide del continente africano

Secondo Pollichieni (Med-Or), mentre i Paesi africani dimostrano di aver ormai gli strumenti per crescere nonostante le difficoltà, il contesto internazionale pone varie sfide interne ed esterne al continente: economia, scontro tra potenze e tra modelli di governance, sicurezza (per conflitto e azioni di gruppi armati), energia

Quando parliamo di Africa, i fondamentali economici sono un dato importante ma non imprescindibile, riflette Luciano Pollichieni, analista della Fondazione Med-Or, sottolineando che tuttavia ci sono dati indicativi, come quelli delineati da S&P, che segnalano il prosieguo della crescita economica nel continente seppur a un livello più basso dell’anno precedente. “La situazione generale è migliore rispetto al periodo della crisi del Covid, e questo fa emergere comunque una certa resilienza sviluppata dai Paesi africani, anche davanti alle problematiche innescate dalla guerra in Ucraina”, spiega Pollichieni in una conversazione con Formiche.net. “E poi – continua – va considerato come i Paesi africani stiano continuando a diventare a medio reddito, anche se restano aperte le questioni debito pubblico e inflazione”.

La questione economica è una di quelle che segnerà l’Africa anche nel corso dell’anno appena iniziato, perché si sovrappone all’attività delle potenze esterne sul continente. Per esempio, secondo Pollichieni il “prestito di Pechino sarà più selettivo, limitato, anche per via del rallentamento della crescita cinese che comporta una revisione del suo ruolo di prestatore dell’Africa. Questo riguarderà le relazioni con gli stati africani, soprattutto in un contesto in cui si vede il ritorno degli Stati Uniti”.

Washington sta facendo sul serio, è così? “Gli americani in effetti hanno fatto passi concreti, come le mediazioni importanti per il processo di transizione in Sudan e in qualche modo in Etiopia, e hanno fatto sentire il loro peso inquestioni delicatissime come quella della ripresa del conflitto in Repubblica Democratica del Congo. A queste, si abbina il vertice organizzato alla Casa Bianca e la visita di Yellen, anche tramite proposte concrete come quella di inserire l’Africa come membro permanente del G20, che è politicamente rilevante per le leadership del continente“, risponde l’analista.

Il passaggio sul G20 è per molti versi significativo: rappresenta la capacità americana di cogliere occasioni importanti per portare avanti i propri interessi. Occasione che in questo caso poteva anche essere sfruttata dall’Unione europea, visto che della membership dell’Unione Africana nel gruppo dei 20 si era iniziato a parlare al G20 di Roma. E dunque, l’Europa in Africa? “ Tutti fattori utili per rafforzare la presenza dell’Europa in Africa sono lì: il rallentamento della Cina, il rinnovato interesse degli Usa e le complicazioni per la Russia“.

Mosca resta un attore molto influente in Africa, ma secondo l’analista il suo modello di gestione delle relazioni con l’Africa è in crisi, perché la penetrazione attraverso lo strumento militare e le politiche di sicurezzaspecie tramite le attività del Wagner Group comincia a mostrarsi deboli alla luce di obiettivi promessi e non raggiunti, soprattutto quelli di stabilizzazione che i russi promettevano di conseguire proprio attraverso l’utilizzo dei contractor. Funziona effettivamente meglio la vendita di armamenti, ma sarà da vedere se essa risentirà dell’andamento della guerra in Ucraina. “In definitiva comunque – sottolinea Pollichieni – la Russia in Africa è ben ancorata anche grazie all’intensa propaganda che spinge la propria narrazione strategica”.

Su questo, il tema è lo scontro tra modelli, con la Russia che (come la Cina) attacca quello democratico occidentale. “Il tema della democrazia è di rilievo: quest’anno si voterà in Nigeria e Repubblica democratica del Congo (due dei più grandi Paesi per nel continente in termini demograficindr) con il candidato nigeriano Peter Obi che sta riuscendo nell’impresa di portare alle urne i teenager nonostante il Paese sia stretto tra diverse crisi sistemiche tra cui quelle prodotte dall’insicurezza derivata dall’attività dei gruppi jihadisti e criminali”, ricorda Pollichieni, secondo cui le elezioni diventano un fattore di valutazione delle aspettative dei giovani africani. Si va alle urne anche in Mali, e il 2023 è l’anno della transizione in Sudan (Paese fondamentale per gli equilibri del Corno e con ampio potenziale agricolo in un momento di food insecurity).

Tra le questioni da tenere d’occhio ci sono poi i conflitti in corso. L’Etiopia su tutti, con il governo che ha effettivamente sconfitto i tigrini ma con le politiche del premier Abiy Ahmed che mettono pesantemente in discussione i fondamentali del sistema del federalismo etnico e si trova a far fronte a una crisi umanitaria. Poi ci sono le attività di gruppi armati come gli Shabaab somali, che si sono spinti anche in territorio etiopico. A proposito di gruppi armati e di terrorismo, non si può non menzionare il Sahel: “C’è un peggioramento totale delle condizioni saheliane, con i governi che, fatta l’eccezione del Niger, hanno poco da dire e dimostrare, perché anche con il supporto del Wagner Group non riescono a fermare le milizie insurrezionali.”, aggiunge l’analista. C’è poi la situazione in Repubblica democratico del Congo dove Usa, Ue e Onu hanno criticato duramente le politiche del Ruanda nelle regioni orientali congolesi, mentre il Kenya su questo scenario si gioca un pezzo di credibilità perché guida la missione dell’East African Community che dovrebbe stabilizzare il conflitto sancendo il ruolo di Nairobi come agente principale per la stabilità nella regione.

A tutto ciò si aggiunge il tema energetico, con diversi Paesi europei che hanno strette intese con quelli africani (a breve o medio termine) per sganciarsi dalla dipendenza dalla Russia. Secondo Pollichieni qui si apre un altro argomento di interesse per il futuro: il mondo dei semiconduttori. “Per l’Ue ci sono spazi per innescare nuove o rinnovate collaborazioni con moto simile a quelle energetiche, perché parte del know how c’è già (per esempio in Ruanda) e la centralità dei semiconduttori è e sarà altissima negli anni a venire”.


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