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Lo “scandalo” buono sul sistema delle spoglie. Scrive Tivelli

Sarebbe utile che la classe politica ricordasse l’articolo 97 della Costituzione che stabilisce due piccole cose: l’imparzialità dell’amministrazione e la separazione tra politica e amministrazione. L’intervento di Luigi Tivelli

Oportet ut scandala eveniant, un brocardo latino talvolta può servire, anche per chi, se cita frasi in latino o in qualche lingua straniera, traduce per il lettore. La traduzione è semplice: è opportuno che emergano scandali, o problemi, se accettiamo una traduzione meno letterale. Il problema, o lo “scandalo”, emerso negli ultimi giorni, è quello relativo allo spoils system, anzi, meglio, al sistema delle spoglie. Credo di avere qualche requisito o referenza per occuparmene (a dire il vero per l’ennesima volta) visto che, sempre, facendo ricorso al latino, mi sono sentito spesso come una sorta di vox clamans in deserto (la traduzione è semplice: voce “clamante” in un deserto di voci) rispetto a questo tema.

Ho provato a suonare l’allarme sin da 1998-1999, dopo che il ministro della Funzione pubblica di allora, in un governo di centrosinistra, Franco Bassanini aveva varato il “sistema delle spoglie all’italiana”. L’ho sempre definito “all’italiana”, in tanti saggi e articoli, perché mi sembrava una sorta di copiatura di comodo del modello degli Usa, dove però c’è una piccola differenza rispetto all’Italia, anche in quanto là è vigente una forma di governo presidenzialista. In Italia (almeno da quei momenti ai giorni nostri) non è ancora vigente un modello presidenziale: una differenza non piccola. Certo, da più di un centinaio di anni oltreoceano si pratica quel modello e quel sistema, ma i “dirigenti pubblici” che vengono mandati a casa dal nuovo presidente in posizione in larghissima parte prestabilite, vengono sostituiti da quelli nuovi. Ma i primi vanno davvero a casa. Da noi la prima introduzione del sistema delle spoglie è servita soprattutto ad aggiungere tanti dirigenti pubblici a quelli che erano in carica, che magari potevano cambiare funzione, ma sempre dirigenti pubblici (di prima o seconda fascia) rimanevano, di qui la definizione di “sistema delle spoglie all’italiana”.

Sono cose e temi che ho avuto anche occasione di scrivere in due successivi libri del 1999 e del 2000, firmati insieme al ragioniere generale dello Stato allora in carica Andrea Monorchio. Una questione che viene evidenziata e trattata ora, con un approccio di sintesi e plastico in un libro a breve in libreria, scritto sempre con Andrea Monorchio, “Memorie di un Ragioniere Generale dello Stato. Tra scena e retroscena”(Rubbettino). Ma per l’appunto finalmente è opportuno che gli “scandali” emergano perché da vari giorni la questione del sistema delle spoglie è giunta (era ora) all’attenzione degli organi di stampa.

Ci ha pensato per primo il ministro della Difesa Guido Crosetto, che è un uomo molto attento alle questioni dell’alta amministrazione pubblica, a fare un po’ da rompighiaccio, un po’ da schiacciasassi in una intervista al Messaggero, in cui ventilava in qualche modo “l’uso del machete” verso una certa parte della dirigenza pubblica che a suo dire rema contro questo governo ed è un po’ troppo ideologicamente affine al centrosinistra. Problema che dovette affrontare, già dalla seconda metà del 2001, l’allora ministro della funzione pubblica, Franco Frattini (purtroppo da poco scomparso), quando dovette varare una normativa “contro il sistema delle spoglie” perché il centrodestra andato da poco al governo, si trovava qualche centinaio di dirigenti pubblici, in qualche modo nominati sulla scia del sistema delle spoglie dal centrosinistra.

Situazione per certi versi simile a quella in cui si trova oggi il centrodestra (o destracentro?) visto che si parla (anche su qualche giornale) di un totale di 400 dirigenti, tra prima e seconda fascia, che secondo Giorgia Meloni potrebbe essere coinvolta per l’appunto dal sistema delle spoglie in senso largo. C’è poi il nodo di quella quarantina circa di posizioni apicali, tra capi dipartimento, segretari generali e direttori delle agenzie, per i quali scade fra pochi giorni il termine per la conferma o per la decadenza dei loro ruoli. Mi pare che fin qui, quanto alle agenzie, l’unica nuova nomina è quella di Roberto Alesse, già dirigente generale della presidenza del Consiglio, alla agenzia delle dogane, che per fortuna sembra abbastanza felice, visto che il predecessore, supersponsorizzato dai cinquestelle, in alcuni non avrebbe lasciato bei ricordi per una serie di fattori e motivi.

Ma tornando alla emersione dello “scandalo”, a seguito della posizione assunta da Crosetto, c’è stata un’ottima intervista del professore Sabino Cassese su Repubblica e un suo splendido editoriale sul Corriere della Sera su come e perché occorre tornare a contare sul principio di imparzialità della pubblica amministrazione, superando il modello del sistema delle spoglie. Un modello che il professor Franco Bassanini, in una lunga intervista a La Stampa, tra l’intervista di Cassese e l’editoriale, aveva cercato di difendere il più possibile, rischiando una di quelle classiche eterogenesi dei fini, tipiche della nostra vita politica. Quella per cui di un modello un po’ con la clava (o con le cesoie) varato dal centrosinistra si può avvalere oggi (come già avvenne nel 2002 in un governo Berlusconi in qualche modo) il centrodestra.

Oltre ai ministri, agli amministrativisti, ai costituzionalisti (tra i quali sembra si sia scavato un solco), anche gli economisti si sono dedicati al tema, visto che pure Tito Boeri e Roberto Perotti su Repubblica si sono dedicati al tema nei giorni scorsi, con dotte analisi e proposte. Fra queste ne spicca una intelligente e pragmatica, quella di prorogare da 3 a 6 mesi il termine, a partire dalla nascita del governo, dell’esercizio del sistema delle spoglie per quella quarantina di posizioni apicali. Poverini, in qualche modo, gli esponenti del centrodestra si può comprendere perché si possono trovare davanti a più di qualche posizione o occupata da esponenti del centrosinistra (quasi sempre dal Pd), o apparentemente tecnici, ma in qualche modo vicini al centrosinistra.

Personalmente non ho molti problemi, salvo riflettere su come si può trovare una soluzione, tenendo conto anche degli spunti degli economisti, per i capi dipartimento, i direttori delle agenzie e i segretari generali. Non ho problemi perché spesso nella mia, pur limitata carriera attraverso l’alta amministrazione, ho sempre tenuto in tasca una copia dell’articolo 97 della Costituzione (ricordo che Antonio Maccanico di cui fui anche consigliere giuridico e portavoce, che a quell’articolo 97 teneva più di me, ironizzava su questo fatto), che stabilisce due piccole cose: l’imparzialità dell’amministrazione e la separazione tra politica e amministrazione.

Credo che il padre più nobile di questi principi dettati dalla Costituzione sia, in pieno Ottocento, Silvio Spaventa con il suo “La giustizia nell’amministrazione”, ma siamo in un Paese in mezzo ad una classe politica che in parte un po’ troppo larga sembra aver perso la memoria e fatica a ricordarsi dei principi sanciti dalla costituzione. Figuriamoci se possono aver letto, o possono ricordare, il testo di Silvio Spaventa. Eppure qualche forma di soluzione sarebbe più facile di quanto sembra guardando a qualche “buona pratica” (perdonatemi, preferisco dirlo in italiano) come, ad esempio, quella della Camera dei Deputati, in cui mentre normalmente la legislatura e la permanenza in carica di un presidente dura 5 anni, il segretario generale, nominato su proposta del presidente dall’ufficio di presidenza, dura in carica 7 anni, appunto perché non possa risultare “spoiled”. Una piccola buona pratica cui guardare alla ricerca di una soluzione almeno in parte ispirata al principio di imparzialità e della separazione tra politica e amministrazione.

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