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Nel 2023 la parola chiave non sarà recessione. Il cauto ottimismo di Emilio Rossi

Di Emilio Rossi

Il nuovo anno si configura come un passaggio finale, e cruciale, verso un nuovo standard, fatto di politiche monetarie e fiscali divergenti. E crescita intorno allo zero e inflazione ancora elevata pur se in forte rallentamento. L’analisi di Emilio Rossi, Senior Advisor, Oxford Economics, direttore Osservatorio del Terziario, Manageritalia, all’interno dell’approfondimento del Gruppo dei 20 su equità e sviluppo

Gli articoli di Alessandro Minuto Rizzo, Gloria Bartoli, e Adriano Giannola, all’interno di una rubrica del Gruppo dei 20 per un programma di legislatura su Equità e Sviluppo. Qui la presentazione del volume curato da Luigi Paganetto

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Al netto di ulteriori cigni neri, il 2023 si presenta per le economie avanzate come un anno di transizione verso un nuovo standard di crescita strutturalmente moderata (dopo oltre due anni di forte rimbalzo) ma con inflazione più vicina e forse leggermente più alta rispetto ai target delle Banche centrali dei decenni pre-pandemici. Per valutare questo percorso è utile inquadrare il nuovo anno all’interno degli sviluppi non solo recenti dell’economia globale e dei paesi avanzati.

Gli effetti economici della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si sono inseriti nel contesto globale degli anni 2000 caratterizzato, quantomeno nei paesi avanzati, dai fattori della stagnazione secolare: invecchiamento della popolazione, transizione tecnologica caratterizzata da scarsi effetti sulla crescita della produttività, savings glut e tassi di interesse naturali reali negativi. Negli anni precedenti la pandemia, a questi fattori si è aggiunta la spinta verso una più rapida transizione energetica.

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno significativamente peggiorato il momentum globale, acuendo fattori quali il rallentamento della globalizzazione e il peso montante del debito e aggiungendone di nuovi quali l’inflazione, la difficoltà di accesso a risorse energetiche e di materiali e l’organizzazione della logistica.

Un nuovo standard – Complessità

Negli ultimi tre anni si sta assistendo al passaggio da uno standard almeno ventennale di difficile gestione (bassa inflazione/bassa crescita) a un sistema socio-economico caratterizzato da elevata complessità, determinata dall’interazione forte ed intertemporale di fattori geopolitici, economici (transizione industriale, digitalizzazione, IA, concorrenza tecnologica) e ambientali (transizione energetica). La gestione della complessità necessiterà di maggiore attenzione a tutti gli aspetti del risk management, al fine di ottenere maggiore stabilità e resilienza del sistema economico e imprenditoriale ma al prezzo di un riflesso inflazionistico combinato ad una compressione dei margini di profitto.

Il fattore chiave per la gestione della complessità risulterà ancora una volta la tecnologia in tutti i vari aspetti che includono (tra gli altri) Ia, Big Data, IoT, Machine learning, Cloud, FinTech, Security, mitigazione delle emissioni o net zero emissions, utilizzo di nuove fonti energetiche e connessi nuovi processi industriali, gestione delle reti energetiche e di telecomunicazioni incluso la tecnologia satellitare, nuovi farmaci e tecnologie di diagnosi e di cura, ecc. Non a caso in queste aree si sta sviluppando un forte confronto di stampo protezionista tra le potenze economiche del pianeta su tasse e barriere all’entrata e all’uscita di queste tecnologie. Ed è quindi in atto un ridisegno degli scambi internazionali anche in funzione di un ridisegno della affidabilità e diversificazione dei propri fornitori. Il risultato rischierà di essere la riorganizzazione degli scambi mondiali ben oltre il 2023; un tema che andrebbe approfondito.

Il 2023

Il nuovo anno si configura come un passaggio finale (e cruciale) verso il nuovo standard – con politiche monetarie e fiscali divergenti, una prima parte dell’anno con crescita intorno allo zero e inflazione ancora elevata pur se in forte rallentamento. La seconda metà del 2023 vedrà invece un miglioramento della crescita, la fine dell’emergenza inflazionistica e il ritorno della sostenibilità del debito sovrano al centro dell’attenzione dei policy makers.

Secondo le previsioni di Oxford Economics (più pessimiste di Fmi e di Consensus), la prima parte dell’anno sarà caratterizzata a livello globale da crescite molto deboli – e in alcune aree da recessioni – accompagnate ancora da inflazione e politiche monetarie restrittive; con un moderato recupero della crescita nella seconda metà dell’anno determinato da una marcata riduzione dell’inflazione e dalla conseguente maggior fiducia e positivo andamento dei redditi reali. In media annua il Pil globale vedrà un raffreddamento dal 3% del 2022 a valori intorno a 1-1.5% nel 2023, con il Nord America e il Regno Unito a soffrire maggiormente e la Cina in recupero in funzione del superamento dei lockdowns.

Anche in Eurozona e in Italia nel 2023 la crescita sarà in media annua intorno allo zero dopo un primo semestre debole. L’Italia peraltro non potrà contare nel 2023 -così come negli anni seguenti – su una politica di bilancio significativamente espansiva come motore della crescita, a meno di voler mettere il paese in rotta di collisione con i partner europei e soprattutto con i mercati che tra non molto tempo metteranno di nuovo il debito/Pil come variabile chiave da monitorare. Diventa quindi cruciale l’utilizzo appropriato delle risorse del Pnrr e in particolar modo l’attuazione delle riforme ad esso collegate. Rimane l’esigenza di una revisione profonda del bilancio dello Stato, sia dal lato delle entrate che delle spese, in modo da tener conto sia della semplificazione che dell’utilizzo efficiente delle risorse pubbliche (riduzione degli sprechi e dell’evasione fiscale). Da tale esigenza non è peraltro esente neanche il bilancio della Ue.

Raffreddamento dell’inflazione

In particolare, ci si può attendere una crescente attenuazione del fenomeno inflattivo – e quindi una posizione meno hawkish della Bce – a partire dal secondo trimestre dell’anno, in congiunzione con l’esplicitarsi dell’effetto base dei prezzi energetici, delle commodity e dei noli del trasporto marittimo. A questo proposito è importante tenere presente che:

a) La fiammata inflazionistica dell’ultimo trimestre 2021 fu dovuta principalmente a una serie di fattori concomitanti ma temporanei, tra cui la riduzione delle riserve di gas europeo al 74% fatta dal gestore Gazprom (una leggerezza irripetibile….), la chiusura del flusso del gas russo dall’Ucraina, vari eventi atmosferici avversi e quasi contemporanei in Usa (uragano), Cina (siccità), Uk e Nord-Europa (debolezza dei venti), una ripresa della domanda post-Covid più veloce delle attese pur se ancora debole rispetto ai livelli pre-Covid – e i cui effetti combinati furono enfatizzati dalla ridotta dimensione del mercato Ttf

b) i servizi rappresentano i tre quarti dell’economia e l’inflazione nei comparti dei servizi, pur in aumento di recente, è meno esposta ai prezzi energetici e tipicamente meno volatile di quella della manifattura

c) gli effetti della stretta monetaria inizieranno a farsi sentire sui meccanismi di trasmissione classici della politica monetaria ai prezzi, con la Bce che, pur completando il ciclo di aumento dei tassi nel primo trimestre 2023, continuerà nel suo percorso di riduzione della dimensione del suo bilancio.


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