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Una trama divina. Francesco e Scorsese nel nuovo libro di padre Spadaro

“Gli artisti, gli scrittori, proprio per  la natura della loro ispirazione, sono in grado di custodire la forza del discorso evangelico”. La prefazione di Papa Francesco al nuovo libro di padre Antonio Spadaro, Una trama divina(Marsilio), è un testo ricco e molto importante. La lettura di Riccardo Cristiano

È un testo ricco e molto importante quello che Francesco propone come prefazione al nuovo libro firmato da padre Antonio Spadaro e parzialmente pubblicato oggi, in occasione dell’arrivo in libreria del volume Una trama divina. Scrive Francesco: “A volte siamo oppressi da immagini di Gesù che sono, in realtà, più immaginette che ritratti efficaci. Tendiamo ad addomesticare Gesù, a renderlo amabile, ma in modo da rendere il suo messaggio inutilmente dolce”. Altrove, nello stesso volume, scrive il famoso regista americano, Martin Scorsese: “Come milioni di altri bambini in tutto il mondo, sono cresciuto circondato da immagini di Gesù, tutte basate su un’idea  comune del suo comportamento: bello con meravigliosi capelli lunghi e barba, ascetico, pio… “ Poi Scorsese ricorda il Gesù di Pasolini, “ci mostrava un Gesù spesso infervorato, arrabbiato”.

Tempo addietro Papa Francesco ha parlato dei “santi della porta accanto”. Alle volte questi santi della porta accanto saranno o saranno stati infervorati, arrabbiati? Di questo si è parlato poco, si parla di più di scristianizzazione: un’Europa secolarizzata, scristianizzata. E i santi della porta accanto?  L’idea di un mondo cattivo, nemico di Dio, ha sempre costituito la base di riferimento di forze integraliste, esclusive rappresentanti del bene, e di Dio, quindi. L’ostilità del mondo a Dio, al bene, ha portato addirittura al terrorismo, specie quello apocalittico: distruggiamo il mondo cattivo per accelerare l’arrivo del Regno di Dio. Certo, esiste anche il terrorismo del mondo, nelle sue scelte o azioni. Ma  gli uomini in preda ai loro problemi, alle loro lotte per resistere al male?  Nessuno vuole illudere che il mondo sia il Paradiso Terrestre, ma può esserci un’altra visione di come agire per renderlo un luogo migliore. Ad esempio, vedendoli e parlandone, dei santi della porta accanto Francesco diceva: “Non si diventa santi con il muso lungo: ci vuole un cuore gioioso e aperto alla speranza”. C’è un modo di agire, di essere, ma anche un modo di comunicare.

Oggi, sabato 14 gennaio, appare su Robison, della Repubblica, la citata prefazione di papa Francesco al nuovo volume di padre Antonio Spadaro, “Una trama divina”, (Marsilio, 15 euro) che raccoglie un anno di commenti domenicali ai brani evangelici pubblicati dal direttore de la Civiltà Cattolica sul Fatto Quotidiano. Già in questa scelta, il luogo di pubblicazione, vedo una novità. Per parlare a un pubblico non necessariamente “affezionato” al fatto religioso bisogna usare un linguaggio diverso? È quello che Spadaro fa normalmente, ad esempio parlando di Dio nell’opera artistica di Andy Warhol, o della musica jazz come chiave di lettura del criterio con cui Francesco sta formando il nuovo Collegio cardinalizio, una jam session nella quale si suona senza nulla di preordinato. Quando c’erano le sedi che comportavano la porpora qualcosa di preordinato si poteva percepire.

Francesco presenta il volume con altre affermazioni importanti, ma io qui vorrei sottolinearne solo altre due: l’appello agli artisti a “gridare al mondo il messaggio evangelico, a farci vedere Gesù” e la sollecitazione a “non usare il linguaggio dell’abitudine”. Il discorso è chiaro: “Gli artisti, gli scrittori, proprio per  la natura della loro ispirazione, sono in grado di custodire la forza del discorso evangelico”. Che cosa dice Francesco? Dice che “Sant’Ignazio di Loyola nei suoi esercizi spiritual chiede di contemplare i Vangeli con gli occhi dell’immaginazione: con gli occhi, non con l’astrazione mentale”. Questo metodo mi ha fatto vedere Gesù intrattenersi in pubblico con donne – al tempo accadeva poco –  con peccatori, sedersi a tavola con i pubblicani (esattori esosi). Ma mi ha fatto vedere anche il grande teologo Karl Rahner sedersi al suo tavolo di lavoro e scrivere: “ Vedo intorno a me migliaia e migliaia di uomini, vedo interi sistemi culturali, vastissime epoche storiche che esplicitamente non sono affatto cristiani. Guardo con occhi attoniti sorgere un’era in cui il cristianesimo non rappresenta ormai più un elemento ovvio e pacifico in seno all’Europa e al mondo. Ne sono consapevole; ma in fondo in fondo, nemmeno questo fatto riesce a scuotere la mia fede. Perché? Per la semplice ragione che io vedo dappertutto pulsare un cristianesimo anonimo; per il motivo che, nel mio cristianesimo esplicito, non scorgo un’idea affiancata a tante altre ad essa contrastanti, bensì null’altro fuorché la presa di coscienza già attuata di tutta quella fioritura di verità e d’amore che anche fuori dall’aiuola cristiana sboccia e può sbocciare dappertutto. I non cristiani non li considero né creature più ottuse di me, né gente animata da minori buone intenzioni delle mie”.

Ovviamente il discorso riguarda tutti, ma Rahner affermava che vedeva pulsare un “cristianesimo anonimo”. Perché è così difficile vederlo, o vedere anche questo? Forse tra i motivi di questo insuccesso c’è la certezza di un mondo tutto scristianizzato, tutto e soltanto dedito al peccato, e questo induce a chiudersi, a scrivere solo per i propri, a insegnare teologia solo nelle università pontificie, a ritenere il mondo esterno un mondo nemico e quindi a usare un linguaggio che a questo mondo deve essere lontano. Occorre invece costruire un sapere che rafforzi chi è dentro.  E così torno a Francesco: “In questo tempo di crisi dell’ordine mondiale, di guerra e di grandi polarizzazioni, di paradigmi rigidi, di gravi sfide a livello climatico ed economico, abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti, di scrittori, poeti, artisti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico”. Un linguaggio nuovo… Questa sfida forse ci porta a domandarci se non ci siamo convinti che oltre ad essere scristianizzata la nostra società non sia de-artizzata. L’arte moderna non viene considerata “arte” da molti. Ma siamo noi a non leggere la poesia, non è la poesia che è morta. Forse dovremmo noi riaprire le porte.

Il volume, sorprendentemente, ci offre un esempio concreto: quella sceneggiatura evangelica inedita di Martin Scorsese alla quale abbiamo fatto un fugace cenno. Ne propongo un brano per rendere l’idea di cosa sia: “Stacco alla Grand Central Station di New York. Movimento costante da ogni direzione, persone che scendono e salgono dai treni, persone che corrono verso la metropolitana, persone che cercano altre persone e alcune persone che semplicemente…vanno… Una testa di Bruegel in movimento, che minaccia di tracimare dall’inquadratura e avvilupparci.  Voce: Gesù contiene moltitudini. È costante. È presente nei nostri sforzi quando sentiamo l’impulso di agire mossi anche se non ci riusciamo. È presente in ogni vaga avvisaglia di amore. Non l’amore per una cosa o una persona specifiche, l’amore come una fonte di potere. La telecamera vola attraverso la folla e rallenta su questo viso, poi su un altro e un altro… singole vite che vengono vissute qui e ora… Una giovane donna entra nella metropolitana, dove ognuno si ritaglia un suo spazio, tira fuori il telefonino e comincia a scorrere col dito… lei non fa eccezione”.

Certo, di Martin Scorsese non se ne trovano ad ogni angolo di strada, ma riaprire le porte dell’arte e all’arte, portare l’arte per strada e non tenerla chiusa a casa, sottoposta a controlli sfibranti di classicità, di autenticità, è forse il modo migliore per vivere. Vale anche per il linguaggio, ovviamente. L’epoca dei compartimenti stagni trova in questo volume e nel suo linguaggio accessibile, aperto, ibrido, il modo di sentirsi sfidata.


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