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L’Italia vuole la sua rete (nazionale). La strategia di Urso sulle Tlc

Il ministro per le Imprese e il made in Italy ascoltato in audizione alla Camera. Il mercato delle telecomunicazioni in Italia soffre di troppa concorrenza, in 11 anni persi 14 miliardi di ricavi, ora serve una nuova politica industriale. La rete ancor prima che unica deve essere nazionale e a controllo pubblico, gli investitori credono all’operazione

Non c’è un minuto da perdere. Se davvero la sfida delle sfide per il governo di Giorgia Meloni è la messa a terra del Pnrr, al netto degli obiettivi già raggiunti e degli investimenti già in cantiere, allora non si potrà prescindere da un intervento sulle telecomunicazioni. La digitalizzazione è uno dei cuori pulsanti del piano di resilienza europeo. Senza di essa, verrebbe meno la stessa ragione d’essere del Pnrr.

Nell’attesa che l’esecutivo chiarisca come e quando dare vita alla società per la rete unica – fornendo anche un prezzo di massima, via Cdp, per la rete di Tim da far confluire nell’infrastruttura a controllo pubblico, frutto della fusione con Open Fiber – il ministro per le Imprese e il made in Italy Adolfo Urso ha provato a ricalibrare il tiro. Ascoltato in audizione alla Camera, l’uomo che ha in mano il futuro della rete unica in raccordo con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle tlc, Alessio Butti, ha dettato la linea per i prossimi mesi.

TRA RETE UNICA E RETE NAZIONALE

Punto di partenza, la rete unica che sancirà il salto di qualità del Paese. “Il governo intende sostenere la realizzazione di una rete di telecomunicazioni a copertura nazionale che consenta al Paese di realizzare al più presto gli obiettivi che si è prefisso in un sistema ad alta competitività internazionale, salvaguardando i livelli occupazionali”. Di qui, un aggiornamento sul timing.

“Nel corso dell’ultimo mese si sono svolte proficue riunioni con tutti gli attori coinvolti per avere una fotografia chiara della situazione cosa che prima tale non era, e per approfondire tutti gli strumenti che il governo può mettere in campo per sostenere il comparto oggi fortemente sotto pressione delle telecomunicazioni. I colloqui proseguono in modo franco e cordiale con tutti gli attori, come confermato positivamente dai mercati che nell’ultimo mese hanno premiato il titolo di Telecom Italia con un aumento del 18% e un aumento di capitalizzazione di 1 miliardo È arrivato momento di lavorare insieme”. Tradotto, il mercato scommette ancora una volta sull’operazione rete unica, apprezzando il titolo Telecom in Borsa, nell’attesa di una decisione politica, ancor prima che industriale.

Ma ecco la precisazione. Più che di una rete unica, in senso puro, l’Italia ha bisogno di un’infrastruttura nazionale, a controllo pubblico. Poi, se unica e cioè in grado di racchiudere tutti i vari asset, lo si vedrà in un secondo momento. L’obiettivo del governo “è la realizzazione non di una rete unica, ma di una rete nazionale che copra al più presto tutti gli ambiti del nostro territorio soprattutto quelli svantaggiati, una rete nazionale, non una rete unica, ma una rete nazionale a controllo pubblico. È stata sempre questa la nostra formulazione. Rete nazionale a controllo pubblico che deve, a mio avviso, interconnettersi con la rete internazionale. Abbiamo una possibilità strategica significativa”.

LA QUESTIONE OPEN FIBER

Come sarà gestita Open Fiber, la società della fibra controllata (60%) da Cdp e i cui asset dovrebbero finire a sistema con quelli dell’ex monopolista? L’azienda ha come missione il cablaggio con banda ultralarga dell’intero Paese, spianando la strada alla rete unica. Ma il governo si dice “preoccupato per il grave ritardo nella attuazione del progetto da parte del concessionario Open Fiber nel cablaggio delle aree bianche”, secondo le parole di Urso.

“Il governo ha ereditato un fatto abbastanza noto a tutti gli operatori e tanto più a questa commissione, quello del grave ritardo nella attuazione del progetto. L’originale piano prevedeva la chiusura dei lavori delle tre gare tra giugno 2020 ed aprile 2022. Tra il 2019 e il 2022 quindi Open Fiber ha presentato 4 diversi piani di avanzamento e l’ultimo prevede il completamento di 12 regioni entro il 2023 e le rimanenti entro il 2024. Tutto ciò a causa di una iniziale sottovalutazione del tema dei permessi e di errate politiche industriali nella quantificazione delle offerte e nell’avvio dei lavori e anche per responsabilità politiche”.

Ma il governo farà di tutto per rispettare la tabella di marcia. “Questo è un ritardo che ovviamente ci preoccupa e sul quale il ministero ed il governo sono pienamente coinvolti, attraverso diverse azioni, che mettano nelle migliori condizioni possibili il concessionario di realizzare quanto dovuto da un lato con una azione di stimolo verso Open Fiber a rispettare il cronoprogramma dei lavori, dall’altro lavorando a stretto contatto con le regioni e la Conferenza delle regioni per consentire alle stesse di spendere i fondi comunitari entro i termini previsti dalla Commissione europea. Non possiamo fallire”.

TLC A CORTO DI RICAVI

Il responsabile delle Imprese ha poi allargato lo spettro del discorso, all’intero settore delle tlc. Le quali vivono da diversi anni una crisi di fatturato, complice anche l’elevato livello di concorrenza tutto italiano. “I ricavi mercato europeo delle telecomunicazioni sono in flessione da diversi anni. L’Italia, a causa della corsa al ribasso dei prezzi è il Paese che ha più sofferto il fenomeno della contrazione ricavi. Negli ultimi 11 anni i ricavi sono scesi di 14 mld euro, pari al 33% del valore iniziale sul totale mercato delle telecomunicazioni. La Francia ha perso il 15%, la Germania il 7%, il Regno Unito l’8%”. Non è tutto. “Mentre i ricavi scendono in in tutta Europa e soprattutto in Italia e ininterrottamente dal 2010, i volumi di traffico crescono a ritmo sostenuto. Negli ultimi due anni il traffico da dati mobili ha registrato un +117% e il fisso del 75%”.

Di qui Urso ha colto la palla al balzo per fare un confronto con il mercato delle telecomunicazioni americano, tirando in ballo la poc’anzi citata iper-concorrenza italiana. “In Italia ci sono 5 operatori di settore, negli Stati Uniti 3 e tutto questo evidenzia che serve un cambio di passo nella politica industriale delle tlc in Europa e in Italia per consentire uno sviluppo significativo del settore a supporto della transizione digitale”.


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