Il Paese ha davanti a se obiettivi sfidanti di transizione energetica. Detto, si parva licet, alla maniera di Seneca… non possiamo dirigere il vento, ma possiamo orientare le vele. Il commento di Massimiliano Atelli
É sempre difficile fare previsioni su questioni complesse, e tuttavia non farlo può talora essere peggio. Perché la fiducia è un fattore essenziale per i Paesi, come il nostro, alla ricerca di un assetto più avanzato, e dunque di conoscere elementi in grado di generare fiducia (ponderata, s’intende, non ottimistica) abbiamo bisogno. Ecco, se dovessi fare una previsione sul 2023, ora che è iniziato da settimane e si comincia a poterne cogliere la linea di tendenza, direi che – senza trascurare affatto il resto dei compiti affidati dalla legge alle Commissioni ministeriali che si occupano di valutazione di impatto ambientale – sarà probabilmente uno degli anni destinati a essere ricordati con riferimento alle rinnovabili in generale, e a all’eolico, in particolare.
A quest’ultimo riguardo, è il caso di rammentare che l’eolico offshore, pur rappresentando per l’Italia un settore ad elevato potenziale, ad oggi registra ancora in Italia una potenza installata pari a “zero MW”, a differenza di quanto accaduto in diversi paesi dell’Ue, anche grazie all’impiego di nuove tecnologie. I numeri, sono importanti: il Pniec approvato dal Governo Italiano ha previsto quale obiettivo di crescita dell’eolico offshore una potenza di 900 MW al 2030, mentre il potenziale dell’eolico offshore nei mari italiani stimato dall’Anev, associazione di categoria fra i produttori, quota circa 5,5 GW al 2030 (dati 2021). In questo, un ruolo fondamentale lo giocheranno le piattaforme flottanti, che consentono di istallare turbine – al netto di fattori vincolistici o comunque sfavorevoli sul piano materiale – in zone a molti chilometri dalla costa, dove la risorsa vento è disponibile e gli impianti risultano poco visibili da terra.
Gli impianti di eolico offshore sono mediamente di taglia grande: alcuni arrivano, singolarmente, a potenze pari anche a 2,5 GW. Richiedono progetti complessi, e impiego di capitali ingenti, con coinvolgimento più o meno diretto di primari players bancari e/o finanziari, non solo italiani. Ed è quindi comprensibile che si usi, al riguardo, la prudenza del caso, e che la domanda di permitting si manifesti in queste situazioni, in prima battuta, sotto forma di istanza di scoping. Che non dà avvio a un iter pre-autorizzativo a sfondo vagamente esplorativo, ma è invece lo schema procedimentale utile per comprendere appieno e approfonditamente – prima – quel che caso per caso c’è da comprendere e approfondire, appunto, prima.
Ed è, in una parola, lo stadio preliminare in cui si esprime, oggi, una domanda di permitting che si è fatta negli anni “matura”, cioè consapevole della complessità della contemporaneità e responsabile tanto rispetto alle norme UE (stranote, ormai, ai tecnici delle imprese proponenti) in tema di VIA, quanto nell’ascolto dei territori. Perché mi soffermo sull’eolico offshore? Perché il 2022 è stato l’anno dello scoping (per progetti dell’ordine di circa 11 GW), ma il 2023 sarà – è ormai abbastanza chiaro – l’anno in cui per tanti di quegli stessi progetti si passerà dall’istanza di scoping all’istanza di Via. Sta già accadendo. In numeri, a quanto consta, nel 2023 dovrebbero essere formalizzate istanze di VIA per almeno 9 GW circa.
Poi, c’è l’eolico a terra. In questo caso, il tema prevalente è un altro. Che va affrontato, anche a livello normativo, con tempestività e consapevolezza. Le installazioni dei primi impianti eolici a terra, nelle aree del nostro Paese in cui c’è oggi la maggiore concentrazione, risalgono a metà anni Novanta del secolo scorso. Sono passati quasi tre decenni. In un importante e interessante appuntamento organizzato sul tema eolico da Legambiente in Campania nei giorni scorsi, sono definitivamente emerse con evidenza tre cose:
1) che molti di quegli impianti sono ormai a fine ciclo, cioè stanno esaurendo o hanno esaurito la loro vita utile
2) che molti di essi – dal punto di vista del consumo di suolo e anche dell’impatto visivo – sono stati, al tempo, disposti sul terreno secondo uno schema più incidente rispetto a quello che oggi si ritiene preferibile (a parità, nel minimo, di risultato finale), e, infine;
3) che oggi le nuove tecnologie consentono di ottenere una produzione di energia molto maggiore perfino, in diversi casi, con un sostanziale dimezzamento del numero delle pale.
Vengo al punto. Nel mentre si continuerà a lavorare – riguardo all’onshore – sull’eolico “nuovo”, occorrerà parallelamente avviare un lavoro, approfondito, sull’eolico vintage. Sarà necessario dotarsi di un quadro regolatorio più avanzato, o perfino ad hoc? Probabilmente, sì. Non perché la norma migliore sia sempre la prossima (secondo un pensiero che, seppure molto diffuso, resta un pò ingenuo), ma perché a oggi il permitting in materia di revamping e repowering è poco e mal disciplinato (del resto, a onor del vero, in questi anni di istanze di tale tipo se ne sono viste ben poche ed è dunque mancata anche l’occasione perché il tema venisse a porsi).
Ma ora è diverso. Ora, infatti, la questione del revamping e del repowering sull’eolico vintage è tempo di porsela non meno di quella dell’eolico “nuovo”. Con le prescrizioni e i correttivi del caso, quando occorrenti, produrre più energia di prima con minor consumo di suolo e minor carico visivo è da considerare obiettivo strategico e primario. “Dove togliere” qualcosa sul vintage, è diventato insomma non meno importante di “dove non mettere” sul “nuovo”. Ed è appena il caso di aggiungere che – nelle stesse aree – la traiettoria del revamping e del repowering, da un lato, e quella del “nuovo”, dall’altro lato, in tanti casi potrà essere probabilmente convergente, con implicazioni di intuitiva delicatezza.
Sul piano del permitting, sarà quindi necessario ricercare, caso per caso, nuovi equilibri, o, come preferisco dire, equilibri più avanzati. Certamente – quando si tratti di revamping o repowering – non rifacendo daccapo la Via, ma neppure sempre escludendola. Iter veloci (senza essere frettolosi) e semplici (senza essere semplicistici), pensati appositamente per revamping e repowering: questo ci occorre nella fase 2 (ormai già sdoganata – proprio dall’eolico offshore – con le prime istanze di Via del 2023 a valere sugli scoping fatti nel 2022) della rincorsa, che impegna un Paese intero, agli obiettivi sfidanti di transizione energetica. Detto, si parva licet, alla maniera di Seneca…. non possiamo dirigere il vento, ma possiamo orientare le vele.