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Perché si parla di un accordo tra Asean e Cina

Le nazioni del Sud-est asiatico si sentono esposte al dualismo Usa-Cina. Cercano intese per la gestione della sicurezza e della govenrance delle aree contese del Mar Cinese, provano vie autonome del confronto o approfondimenti delle relazioni con Washington. Nel frattempo Pechino ha in mente un progetto di ulteriore inglobamento socio-politico

I ministri degli Esteri del Sud-Est asiatico hanno promesso lo scorso fine settimana di portare a termine i negoziati con la Cina su un patto proposto per prevenire i conflitti nel territorio conteso Mar Cinese Meridionale. La decisone è stata annunciata nel ritiro annuale dell’Asean, l’organizzazione regionale, che è stato ospitato nella capitale indonesiana Giacarta sabato 4 febbraio.

La Cina e gli Stati membri dell’Asean, che comprendono quattro rivendicatori territoriali nel Mar Cinese Meridionale, hanno tenuto per anni colloqui sporadici su un “codice di condotta”, un insieme di norme e regole regionali volte a prevenire uno scontro nelle acque contese.

Quella progettata più che un accordo con la Cina è un’intesa nell’ottica della costruzione di “un Indo Pacifico libero e aperto”, una formula pensata dall’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe e fatta propria dagli Stati Uniti nell’ambito della costruzione di un insieme di regole e sistemi di contatto per evitare che la regione diventi luogo di scontri militari.

Il Mar Cinese, con le rivendicazioni multilaterali, è uno degli hotspot regionali di tensioni – che potrebbero aprirsi in conflitti anche ampi. Pechino ha militarizzato diverse zone della regione, costruendo una serie di basi su isolotti contesi. Piccole porzioni di terra emersa che però hanno un valore strategico, sia perché sono inserite lungo le principali rotte commerciali che escono dall’Asia, sia perché potrebbero trovarsi nei pressi di risorse naturali importanti.

Per la Repubblica Popolare l’area del Mar Cinese è anche un luogo su cui spingere (simbolicamente e non) il proprio desiderio di essere una potenza globale. Controllare le acque davanti alle proprie coste è una necessità per la proiezione marittima cinese — dimensione su cui Pechino sta investendo per costruire anche una forza navale militare (accompagnata da una flottiglia ibrida) di primissimo livello.

Secondo le analisi effettuate dall’Amti, l’osservatorio del Csis sulla regione, nel 2022 la Cina ha mosso nel Mar Cinese un numero mai visto prima di missioni di pattugliamento della guardia costiera. Tuttavia, rispetto l’anno precedente, non ci sarebbero stati sostanziali avanzamenti territoriali.

Pechino invia questi assetti militari per battere bandiera e cercare di dimostrare la propria supremazia. Contemporaneamente pescherecci appartenenti a una flottiglia ibrida vengono inviati nelle acque come quelle davanti alle Filippine, per attività di pesca e occupazione dello spazio conteso. Qualcosa di simile avviene attorno ai giacimenti indonesiani di Natuna. Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno condotto e condurranno operazioni di navigazioni di imbarcazioni militari con l’obiettivo di rivendicare la libertà di navigazione (il programma della US Navy si chiama “Fonops”, acronimo di Freedom of navigation operations)

Il blocco Asean ha partecipato a queste manovre militari occidentali, sempre nell’ottica di rivendicare libertà e apertura di quel mare contestato. Tuttavia ha un rapporto complesso con la Cina, anche perché innanzitutto ci sono quelle rivendicazioni contrapposte. Inoltre tutti i Paesi del Sud-est asiatico sono in una condizione di sostanziale inferiorità rispetto a Pechino, sia dal punto di vista militare che economico. Anzi, molti di questi hanno un rapporto di dipendenza commerciale dagli scambi cinesi — dipendenza imprescindibile.

In questo quadro si muove la complessità dei rapporti che gli Stati Uniti vorrebbero costruire. Gli Asean ritengono controproducente per i propri interessi lo schema binario che si sta costruendo nella regione per conseguenza del confronto serrato Washington-Pechino — che in questi giorni ha vissuto una nuova fase di tensione collegata alla vicenda del pallone spia che ha fatto saltare il viaggio in Cina del segretario di Stato Antony Blinken.

Alcune nazioni, davanti all’aumento dell’assertività cinese visto nell’ultimo decennio, hanno iniziato a progettare un aumento della cooperazione con Washington. È per esempio il caso delle Filippine: gli Stati Uniti si sono assicurati l’accesso a quattro ulteriori basi militari sotto l’amministrazione di Manila, infrastrutture chiave che offrono un posto in prima linea per monitorare i cinesi nel Mar Cinese Meridionale e intorno a Taiwan. Con questo accordo, Washington ha ricucito la falla nell’arco di alleanze statunitensi che si estende dalla Corea del Sud e dal Giappone a nord fino all’Australia a sud.

Contemporaneamente, altre nazioni iniziano attività in maggiore autonomia (pur sperando nel sostegno internazionale fornito da Washington). Nella seconda metà del 2022, il Vietnam ha per esempio dragato e poi edificato quattro zone – Namyit Island, Pearson Reef, Sand Cay e Tennent Reef – espandendo il proprio controllo su un totale di 170 ettari. Si tratta di un’inezia rispetto a quanto fatto dalla Cina tra il 2013 e il 2016, periodo in cui Pechino ha costruito dal nulla una superficie otto volte tanto quella vietnamita in mezzo al Mar Cinese. Ci sono importanti differenze legali e tecniche che rendono il lavoro di Hanoi meno aggressivo. Ma il recente lavoro è un cambiamento degno di nota.

Namyit e Pearson sono ora i maggiori avamposti del Vietnam nelle Spratly, dove la Cina ha costruito uno dei più tecnologici avamposti militari dell’area. Ma Hanoi ha anche contemporaneamente manifestato il desiderio di creare una certa distanza tra sé e Washington. A luglio dello scorso anno, il Vietnam ha annullato una visita programmata della portaerei “USS Ronald Reagan”. Il Vietnam ha anche deciso di non partecipare alle esercitazioni navali biennali “Rim of the Pacific” organizzate negli Stati Uniti. L’obiettivo è non finire schiacciati su nessuno dei due fronti, mantenendo le proprie rivendicazioni strategiche. Un equilibrio complicato mentre cresce il dualismo sino-americano.

Contemporaneamente la Cina sta lavorando per assorbire centinaia di migliaia di lavoratori delle nazioni del Sud-est asiatico all’interno della sua catena di produzione e approvvigionamento del settore tecnologico. Sarà un evento di portata enorme (forse il più grande sviluppo economico non solo regionale, ma anche globale dei prossimi 10 anni). Uno sviluppo che porterebbe una magnitudine di persone a essere inserite in catene del valore cinesi, spostandone dunque interessi, necessità, sentimenti. Pechino spinge l’inglobamento socio-culturale ed economico.

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