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La questione dei balneari e il ruolo indispensabile del Presidente della Repubblica

Può permettersi l’Italia di perdere nell’assetto istituzionale dei poteri, nel gioco dei pesi e contrappesi, una figura forte e significativa di presidente al di sopra delle parti e che agisce molto di più con l’arma del silenzio piuttosto che con quella tanto abusata del cicaleccio? Il commento di Luigi Tivelli, presidente dell’Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini

Cosa succederebbe se non ci fosse una figura di presidente della Repubblica, “uomo del silenzio” di solito, imparziale e al di sopra delle parti in questo strano Paese? Me lo chiedo perché mentre risuona nei media l’effetto della lettera del presidente Mattarella sul decreto milleproroghe sulla questione dei balneari mi suonano nelle orecchie le odi al presidenzialismo che durano da molti mesi in una fetta politica importante del Paese.

Un Paese che fra le varie malattie soffre anche di quella della divisività, diffusa non poco nella classe politica (ma non solo in questa), che tradotta in volgare significa la tendenza a cercare, sostenere, rilanciare, le ragioni che dividono rispetto a quelle che uniscono. Nel cercare brevemente di tradurre per i lettori cosa intendo dire potrei attingere ad una delle mie dimensioni, quella di costituzionalista, magari citando qualche voce di qualche enciclopedia del diritto o qualche saggio giuridico sulla figura del presidente della Repubblica, che per fortuna ho studiato o letto.

Preferisco rifarmi non ai miei maestri del “diritto costituzionale operativo” come tra gli altri Leopoldo Elia, Antonio Maccanico o Guglielmo Negri, cui per fortuna ho attinto, ma a maestri come Indro Montanelli, Enzo Biagi e soprattutto Giovanni Spadolini, che hanno sempre insegnato a tradurre in termini più semplici possibili i concetti per i loro lettori. Cosa sarebbe successo per i nostri rapporti con la Francia e l’Unione Europea se non fosse esistito quel tanto citato e poco conosciuto Trattato del Quirinale tra i due paesi, e qualche “tocco in più” del presidente Mattarella? Cosa succederebbe oggi per i nostri rapporti con la Ue se non ci fosse stato quel richiamo forte sulle concessioni dei balneari?

Su questo mi soffermo poco perché già avevo intercettato la gravità della questione tramite un articolo da queste colonne di pochi giorni fa. Non solo c’è il fatto molto grave che si viola una direttiva europea, già da molti anni sul tappeto, resa operativa da una sentenza del Consiglio di Stato, in relazione ad un punto, quale quello delle concessioni balneari, su cui giustamente da tempo, ma ancora più oggi, siamo sotto l’attento controllo di Bruxelles. Ma c’è anche il fatto che questo paese soffre da molto tempo, tra gli altri mali anche di un altro male: il “mal di concorrenza”. Ma guarda caso sembra che alla classe politica, e ancor più da parte della destra (ma non è che la sinistra negli ultimi 15 anni abbia dato grandi prove su questa materia), l’unica questione che interessa ogni rarissima volta che è in corso l’esame di una legge sulla concorrenza è quella dei balneari (o talvolta quella dei taxisti).

Ma c’è un piccolo semplice problema: senza introdurre man mano serie iniezione di concorrenza nel sistema economico e sociale la vera crescita non può ripartire. Il presidente Mattarella nella lettera si concentra anche sulla questione dei troppi decreti legge, che vado definendo da molti anni “decretomania”. È vero che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha provato a fare un passo, emerso anche in un incontro con il presidente della Camera, su una sorta di scambio istituzionale del tipo “meno decreti-legge e corsia preferenziale per i disegni di legge del governo”.

Ma sono decenni che emergono senza esito proposte di questo tipo, ma nessuno se lo ricorda perché in questa classe politica sembra sia venuta meno la memoria storica (che è un tema fondamentale per l’Academy Spadolini). Una questione che viene scolpito nella maniera più appropriata nella lettera del presidente della Repubblica. Ebbene, i grandi maestri del giornalismo, compreso Giovanni Spadolini (che già a trent’anni dirigeva Il Resto del Carlino e dopo Il Corriere della sera) hanno sempre insegnato che è meglio essere brevi, e credo che il lettore a questo punto abbia potuto capire le vere questioni in ballo.

Può un paese come questo, che che deve stare al meglio e a pieno titolo nell’Unione Europea, permettersi cose di questo genere (“prima gli italiani” può significare molte cose, ma non mi pare che sia lo slogan migliore per il futuro del paese)? Può permettersi di perdere nell’assetto istituzionale dei poteri, nel gioco dei pesi e contrappesi, una figura forte e significativa di presidente della Repubblica al di sopra delle parti che agisce molto di più con l’arma del silenzio piuttosto che con quella tanto abusata del cicaleccio? I facili alfieri del presidenzialismo si interroghino.

In un paese ancora immerso in una sorta di divisività, in cui già troppi settarismi, da tutte le parti, ci sono, perdere una figura che rappresenta in termini imparziale il vero senso dell’unità nazionale e dell’inclusione? E pensare che vogliono anche fare l’autonomia regionale differenziata… Anche alla luce dei troppi settarismi in atto, specie ma non solo nella classe politica non mi pare sarebbe la terapia migliore per quella sorta di rianimazione e rilancio di cui lo Stato e la Nazione hanno bisogno.


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