Nella fase storica in cui la politica estera e di difesa assumono valore strategico ed identitario, rompere su questo terreno significa mettere a rischio la tenuta stessa del governo e il sistema di alleanze che lo caratterizza. Il commento di Andrea Cangini
È stata, anche questa, una questione di audience. Non è la prima volta che Silvio Berlusconi si lascia andare a dichiarazioni anti Zelensky. Lo aveva fatto a margine di una convention forzista a Napoli, poi a Porta a Porta, poi incontrando gli eletti di Forza Italia, quando l’agenzia Lapresse diffuse l’audio delle sue parole. Perché l’ha fatto? Per due ragioni: è realmente convinto di quello che dice, ma soprattutto è convinto che quello che dice sia popolare. I sondaggi, purtroppo, gli danno ragione. Sia Euromedia Research sia Ipsos hanno di recente certificato che solo il 30% degli italiani condivide la scelta del governo di armare il popolo ucraino. La maggioranza, dunque, non intende pagare i costi né accettare i rischi del conflitto.
Non c’è, pertanto, da stupirsi se, intendendo come al solito violare il silenzio elettorale al momento del voto, Silvio Berlusconi abbia scelto proprio questo argomento. È stato un modo per contenere l’annunciato tracollo elettorale di Forza Italia nel voto regionale di Lazio e Lombardia. Obiettivo analogo a quello di Matteo Salvini quando ha criticato la Rai per aver offerto al leader ucraino la ribalta di Sanremo. Ma Berlusconi si è spinto oltre. Quel “io Zalensky non lo avrei mai incontrato” è stato letto come un attacco diretto a Giorgia Meloni, che nei giorni scorsi fece di tutto per incontrare Zelensky a Bruxelles.
Si profila dunque un duplice problema. Il primo attiene ai rapporti politici interni alla maggioranza. Il voto regionale suggellerà lo strapotere di Fratelli d’Italia e la crisi di Lega e Forza Italia: ovvio che la coppia Salvini-Berlusconi farà di tutto per invertire il trend, e che lo farà a scapito dell’alleato maggiore. Ma quello che davvero preoccupa è il terreno di scontro scelto. Mettere in discussione il sostegno all’Ucraina, oltre che fare un favore a Putin, significa mettere in discussione sia la Nato sia l’Unione europea. Non solo, significa anche alimentare lo scetticismo degli italiani rispetto al conflitto ucraino. Scetticismo che già oggi fa dell’Italia la nazione più recalcitrante d’Europa nel sostegno alla causa ucraina e ai valori liberali e democratici che la caratterizzano.
Non è un dettaglio. Nella fase storica in cui la politica estera e di difesa assumono valore strategico ed identitario, rompere su questo terreno significa mettere a rischio la tenuta stessa del governo e il sistema di alleanze che lo caratterizza.