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Lo stop all’incentivo del 110% e i veri problemi della bonuscrazia

Benvenuto allo stop per questa misura che è costata decine di miliardi e ha beneficiato pochi soggetti. Tanto più che il governo ha evidenziato che ci saranno altre forme di sostegno, meno dispendiose e speriamo più efficaci, all’edilizia, settore chiave per sostenere la ripresa. Il commento di Luigi Tivelli

Nell’Italia del presentismo (purtroppo accoppiato, specie nei governi Conte della scorsa legislatura, a qualche forma di populismo e dilettantismo) finalmente abbiamo un ministro dell’Economia serio e competente, che ha bevuto, a suo tempo, il latte buono dell’esperienza di presidente della commissione bilancio della Camera, e poi ha bevuto in diretta il latte di Mario Draghi.

Detto tra parentesi, allo studio del processo di selezione e formazione di leader e semi-leader politici o di governo mi pare non ci pensi più nessuno. Io da sempre ci dedico tempo molto volentieri. L’intelligente risveglio del ministro dell’economia Giorgetti, ovviamente condiviso dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, riguardo la questione del superbonus del 110% per l’edilizia, ovviamente. Credo sia avvenuto perché il governo mi è sembrato un po’ costretto ad intervenire per porre rimedio a quella che il ministro Giorgetti ha definito “una politica scellerata”, “usata in campagna elettorale che ha imposto a tutti i cittadini un carico di 2000 euro”. Sembra che grazie al superbonus lo Stato italiano abbia bruciato una cifra intorno a 110 miliardi, più della metà del “favoloso” contributo che viene dall’Unione europea per il Pnrr.

Un regalo avvelenato, dovuto soprattutto ai governi Conte, che in più occasioni l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha cercato di evidenziare e frenare. Non ho mai praticato né pratico moralismi, ma cerco di osservare le questioni aperte con le chiavi dell’analisi politica o giuridica o di politica economica. Credo che fui tra i primi a suonare da queste colonne l’allarme sulla fiera dei bonus, utilizzando anche i neologismi di “bonuscrazia” o “bonusmania”. Ma non mi ha mai interessato essere tra i primi quanto provare ad inseminare qualche spunto e qualche idea che chi legge può valutare ed utilizzare come vuole. A questo proposito mi pare manchi una riflessione sugli effetti sulla spesa pubblica e sulla grave distorsione nel rapporto tra Stato, amministrazioni, servizi pubblici e cittadini introdotta in quella legislatura ad opera per non poco dei Cinque Stelle, ma con non poche condivisioni della Lega e di altre forze politiche.

La politica si capisce osservando i processi top down, ma anche quelli bottom up. Per essere più semplice ho dovuto talvolta frequentare, accendendo anche lì i radar dell’analisi politica, qualche assemblea di condominio in cui si valutavano le proposte di ricorso al superbonus del 110%. La cosa che mi ha sempre colpito di più cerco di tradurla in termini molto semplici. Qualsiasi appalto o istituto similare, si basa su un contrasto di interessi tra committente e soggetto che riceve la commessa. Mi è sempre sembrato folle che le “mammelle dello Stato” (così diceva Ernesto Rossi) generassero per gli utilizzatori il 110% del latte che poteva servire. Mi sono sempre chiesto, visto che so bene che può essere utile e opportuna una politica di incentivi all’edilizia, perché non il 70 o l’80% al fine di creare una qualche parziale forma di responsabilizzazione del titolare del castello, della villetta o dei condomini. E poi, come da varie parti è stato analizzato e osservato, di questo beneficio hanno goduto in larga parte solo i ricchi e i benestanti. Non so quanti castelli, ville, condomini di lusso ne hanno usufruito, ma certamente non pochi. Mi sembra di là da venire ogni forma seria di spending review, ma certamente l’attento ed intelligente ministro dell’Economia Giorgetti ha riflettuto su quanto si sarebbe potuto fare con 110 miliardi, per dirla in modo comprensibile a tutti.

Certamente da tempo ha metabolizzato la semplice lezione di Mario Draghi sul “debito buono” e il “debito cattivo”. È forse debito buono spendere decine di miliardi per qualche decina di migliaia di beneficiari, non pochi dei quali appartenenti ai ceti medio alti? Benvenuto, quindi, allo stop dello sconto in fattura per il 110%. Tanto più che il governo ha evidenziato che ci saranno altre forme di sostegno, meno dispendiose e speriamo più efficaci, all’edilizia che è un settore chiave per sostenere la ripresa. Ma sono abituato ad attingere alla memoria storica, anche a quella a breve, (nonostante il presentismo dominante). Credo, quindi, che l’occasione dovrebbe indurci a riflettere su quella fiera di bonus che abbiamo avuto nella scorsa legislatura. Mario Draghi, sin dal gennaio del 2022 fino al discorso in Parlamento che di fatto ha annunciato la morte del governo si era pronunciato chiaramente sui rischi del superbonus, ma aveva avuto il problema che il partito di maggioranza relativa (i Cinque Stelle) che lo sosteneva era il primo alfiere della “bonuscrazia” e “bonusmania”.

Di tanti bonus hanno beneficiato tanti furbi e furbetti, abili ad arrivare primi su internet nelle richieste delle relative domande alle amministrazioni competenti. Altri bonus invece finivano per privilegiare solo benestanti e ricchi: pensiamo al cashback, che è stato un vero beneficio per gli utilizzatori di tante carte di credito, per lo più furbi, benestanti, quasi ricchi o ricchi, e che non a caso (almeno quello) fu bloccato. Non sto qui a contare o ricontare le tante decine di bonus che abbiamo avuto e che abbiamo. Lo ho fatto a suo tempo con un articolo da queste colonne, ma la questione sottostante è seria grave e più allargata: che uso si fa della spesa pubblica sostenuta dalle tasse del contribuente? Si sono rimpinzate le pance, o meglio le casseforti, da cui veniva la spesa del tipo più bieco di assistenzialismo (che si improntava sulla spesa corrente), mentre la spesa per investimenti, ancora più se seri ed efficaci, languiva. Si potrebbe andare più indietro nel tempo per cercare altri aspetti, ma credo che quanto avvenuto nella scorsa legislatura, per lo meno fino al governo Draghi, ma per certi aspetti anche nel governo Draghi, basti ad evidenziare la questione.

Visto che i Cinque Stelle erano il partito di maggioranza relativa, e più di qualche altro partito faceva sponda con loro, si è verificato un caso di studio di una “worst practice” su cui riflettere per capire e imparare man mano quello che non deve fare chi governa i cordoni della borsa della spesa pubblica.

La buona notizia è che il ministro dell’economia Giorgetti sta mostrando di averlo capito, come già (però solo in parte) si poteva comprendere dalla manovra economico finanziaria. Credo che il presidente del Consiglio Meloni, che a differenza di Giorgetti non ha certo un curriculum che evidenzi particolare competenza sulle questioni dell’economia, ma è dotata di una forte intelligenza politica e di una mano ferma lo abbia capito e lo sta capendo sempre più. Una buona notizia che bene lascia sperare. La fiera dei bonus è stata, inoltre, il più grande progetto di diseducazione ad un serio senso della cittadinanza dei cittadini, proprio mentre i loro principali alfieri, i Cinque Stelle, tendevano a definirsi “cittadini”.

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