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Calenda, Fontana e la lezione delle regionali. L’analisi di Frosini

Di Tommaso Edoardo Frosini

Le elezioni regionali appena passate hanno eletto due presidenti pienamente legittimati a governare, nonostante il dato non certo rassicurante dell’astensione. Questa formula, forse, potrebbe suggerire che strada intraprendere anche nelle riforme del sistema istituzionale. L’analisi del costituzionalista Tommaso Edoardo Frosini, ordinario all’Università Suor Orsola Benincasa

Gli elettori hanno sempre ragione? Alla risposta negativa di Carlo Calenda, ha fatto seguito, nei giorni scorsi sulle colonne del Corriere della Sera, l’opinione contraria del (confermato) presidente lombardo Attilio Fontana. A dire il vero, questo tema, in democrazia, non avrebbe motivo di essere nemmeno sollevato. Infatti, laddove è previsto in Costituzione il principio di sovranità popolare (art. 1), gli elettori votano e decidono. Anche e nonostante le liste bloccate, e quindi la privazione della possibilità di scelta dei rappresentanti parlamentari da parte dei cittadini.

La polemica tra Calenda e Fontana, però, origina da una divaricata lettura delle recenti elezioni regionali. Dove, a differenza che a livello nazionale, l’elettore vota e sceglie i consiglieri regionali attraverso le preferenze e, aspetto ben più significativo, sceglie, vota ed elegge il presidente della Regione. Credo che i due duellanti, nel disquisire sulla ragione degli elettori, non abbiano tenuto conto di questo elemento decisivo. Laddove vi è elezione diretta del vertice dell’esecutivo, gli elettori hanno sempre ragione. Vuoi perché è il modo più completo di esercitare la sovranità popolare, vuoi perché è compito dell’elettorato decidere da chi farsi governare oltre che rappresentare.

Certo, le elezioni regionali hanno evidenziato un preoccupante astensionismo elettorale: questo sì che è un tema centrale per il buon funzionamento di un sistema democratico. È pur vero, però, che queste elezioni hanno confermato un altro aspetto assai significativo, di cui si accennava prima. L’importanza di eleggere a suffragio universale il vertice dell’esecutivo regionale. È da trenta anni (l. n. 81 del 1993) che gli elettori lo fanno per i vertici degli esecutivi comunali (i sindaci) e da oltre venti anni che gli elettori scelgono e decidono chi deve essere il capo del governo regionale. Un sistema che ha dimostrato, ancora da ultimo poche settimane fa, la sua efficienza e efficacia. Che ha costruito un sistema istituzionale, sia pure a livello locale e territoriale, in grado di valorizzare la ragione dell’elettore nel rispetto del principio della sovranità popolare.

Si tratta, a questo punto, di completare questo sistema istituzionale, introducendo l’elezione diretta del capo del governo nazionale. L’ho già proposto qui su Formiche.net e la proposta ha avuto interesse e seguito. La formula istituzionale è: un governo scelto dal popolo, un governo di legislatura. Questa, credo, che sarebbe la formula presidenziale, che dovrebbe adottare Giorgia Meloni. Un presidenzialismo parlamentare, ben diverso dal semipresidenzialismo alla francese pieno di incognite di funzionamento, in cui l’elettore vota ed elegge il presidente del consiglio e la sua maggioranza. Come è stato nel Lazio e in Lombardia. Perché no in Italia? Si tratta, piuttosto, di affermare, con convinzione, che gli elettori hanno sempre ragione, quando votano, scelgono ed eleggono il capo del governo insieme ai loro rappresentanti politici.

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