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Alla Cina conveniva rimanere aperta. I numeri di Goldman Sachs

La progressiva riapertura del Dragone, dopo due anni e mezzo di lockdown indiscriminati e fallimentare gestione della pandemia, porterà a una crescita annua del 6,5%. E anche il mondo ci guadagnerà​

Se la Cina riapre, ci guadagna il mondo intero. Ne sono convinti gli analisti di Goldman Sachs, i quali prevedono una crescita del Pil cinese del 6,5% nel 2023. Inoltre, la riapertura e la ripresa della domanda interna del Dragone potrebbero aumentare il Pil globale dell’1% entro la fine del 2023.

Un report della banca d’affari americana, firmato da Joseph Briggs e Devesh Kodnani mette in luce i possibili benefici della fine della zero Covid policy in Cina, dopo due anni e mezzo di chiusure indiscriminate e crisi industriali. Come a dire, Pechino nel suo ostinarsi nel relegare i cittadini a casa, ha cagionato un danno oltre che al Paese anche all’economia mondiale. “Stimiamo che la riapertura dovrebbe aumentare la domanda interna fino al 5% in Cina. Si tratta di una notizia positiva, poiché le economie dell’Asia-Pacifico, ma non solo esse, esportano beni in Cina”, scrivono i due economisti.

Non è tutto. L’uscita della Cina dalla sua politica di zero Covid dovrebbe anche stimolare la domanda di viaggi internazionali. Prima della pandemia, la Repubblica popolare era un gigantesco hub mondiale di servizi di viaggio. Sebbene questo comparto sia stato penalizzato dalle rigide restrizioni, una normalizzazione è ormai imminente, con Briggs e Kodnani che prevedono una ripresa del settore dei viaggi in Cina nella seconda metà del 2023.

Attenzione però, perché sempre secondo Briggs e Kodnani, dato il previsto aumento dei prezzi del petrolio in seguito al taglio della produzione da parte della Russia, la riapertura della Cina potrebbe anche aumentare l’inflazione globale, con una spinta di 0,5 punti percentuali.  Tutto questo mentre, sempre secondo Goldman Sachs ma relativamente alla prima economia mondiale, gli Stati Uniti, cala la probabilità di una recessione per l’economia statunitense dal 35% al 25% nei prossimi dodici mesi, oltre la metà rispetto alla stima del consenso del 65% emersa dall’ultima indagine del Wall Street Journal.

E questo perché la resilienza del mercato del lavoro accompagnata dai primi segnali di miglioramento emersi dalle indagini congiunturali suggeriscono che il rischio di un crollo nel breve termine si è notevolmente ridotto. “Stimiamo per il primo trimestre di quest’anno un andamento del Pil ancora debole, intorno a +0,4%, mentre ci aspettiamo una crescita più sostenuta a partire dalla prossima primavera, grazie all’aumento del reddito reale disponibile, alle minori condizioni finanziarie restrittive e ad una crescita più rapida di Cina e Europa che sosterrà il settore manifatturiero statunitense”.

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