Secondo l’economista, il governo “deve assolutamente recedere” dal memorandum sulla Via della Seta e “riallinearsi agli altri Paesi europei”. Xi mediatore sull’Ucraina? “Vuole solo compensare il crollo verticale di consenso interno”. E sulla Conferenza di Monaco: “Bisognava invitare anche i russi per intavolare trattative di negoziato”
Dall’Italia arriva un messaggio forte e chiaro rivolto alla Cina sulla “necessità di esercitare pressioni sulla Russia per favorire le condizioni di una ‘pace giusta’”. L’incontro dei giorni scorsi tra Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, e Wang Yi, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, si è mosso essenzialmente su questa direttrice, al netto di rimarcare la volontà di un rilancio complessivo dei rapporti tra il Dragone e l’Unione Europea. Sull’effettiva ricaduta che le pressioni di Pechino possano sortire su Vladimir Putin, però, Giulio Sapelli, economista, docente alla Statale di Milano e presidente della fondazione Germozzi, nutre più di una perplessità.
Perché ritiene che Xi Jinping non possa esercitare in effetti una pressione efficace su Mosca?
L’ambizione della Cina è avere un ruolo nella risoluzione del conflitto in Ucraina solamente per compensare il crollo verticale di consenso che Xi sta vivendo internamente. Il dissenso, nonostante la volontà di affogarlo, serpeggia in maniera piuttosto pervasiva ormai. I Comuni in Cina sono in crisi profonda e i pensionati stanno organizzando decine e decine di manifestazioni. Per cui Xi, attraverso il suo delfino Wang Yi, cerca un accreditamento internazionale utilizzando il grimaldello del conflitto. Ma le possibili pressioni di Pechino non sortiranno alcun effetto. La Russia vede la Cina come un competitor.
In chiave geopolitica su quali versanti Mosca teme le insidie di Pechino?
Mosca teme la Cina esattamente come teme gli Stati Uniti. D’altra parte c’è una competizione diretta per il controllo del’Asia centrale. La Cina “serve” alla Russia solo perché sta cercando di depotenziare le sanzioni su gas e petrolio. Al contempo però il Dragone si allarga in Europa: il traffico ferroviario sulla Via della Seta verso l’Ungheria, quest’anno, si è intensificato in maniera esponenziale ed è ormai da tempo che l’attenzione cinese si è concentrata sui porti di Trieste e Taranto.
In questo contesto l’Italia come si deve muovere?
L’Italia, ed è questo uno degli obiettivi su cui si dovrebbe concentrare il Governo, deve assolutamente recedere dal memorandum d’intesa che ha sottoscritto con la Cina sulla Via della Seta e riallinearsi agli altri Paesi europei. Non c’è nessun altra nazione nell’Unione europea che abbia un accordo così stringente come il nostro. E questo non va bene. Specie a fronte del fatto che Giorgia Meloni a più riprese ha dichiarato la sua fede atlantista.
Uno spostamento del baricentro verso gli Stati Uniti piuttosto che verso Oriente.
Ma certo. In questi anni abbiamo ceduto, in virtù di quel memorandum, quote di aziende strategiche alla Cina. Invece dovremmo tornare all’Italia di Giulio Andreotti e Aldo Moro: alleati degli americani e con un ruolo propulsivo verso i paesi arabi. Non certo verso la Cina. Peraltro segnalo che è molto grave il fatto che si sia ricevuto un dirigente del Partito comunista cinese al Quirinale: la diplomazia ha bisogno di segretezza e un summit del genere non sta in nessun protocollo.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sostiene che il Golia russo possa perdere entro quest’anno. Che idea si è fatto dei primi elementi emersi nel corso della Conferenza della sicurezza di Monaco?
A mio giudizio c’è stata troppa spettacolarizzazione, ed è stato un errore non aver invitato i russi. Premesso che è giusto sostenere la resistenza ucraina in tutti i modi, anche la Conferenza di Monaco poteva diventare un’occasione per intavolare una trattativa che gettasse le basi per un negoziato di pace. Così, più che altro, è parso tutto un grande spettacolo. Senza però che si sia raggiunto un obiettivo concreto.