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Costituzione à la carte? Proprio no. Scrive Pasquino

Si lasci la predicazione, la pedagogia della Costituzione a luoghi più appropriati nei quali il desiderio di conoscenza conti più che la audience e l’eventuale contraddittorio serva a mettere in rilievo gli errori e le manipolazioni. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore Emerito di Scienza Politica e Accademico dei Lincei

La Costituzione italiana è un documento storico-politico, prima ancora e più che giuridico, che non è mai stata ritenuta “la più bella del mondo” dai Costituenti. Su questa iperbole l’artista Roberto Benigni, al quale nessuno ha mai chiesto di spiegare i criteri a base della sua valutazione, ha costruito la sua fama di aedo della Costituzione italiana. Questa fama non è stata scalfita neppure, come ha giustamente e severamente stigmatizzato Stefano Feltri, direttore del Domani, dal suo esplicito contraddittorio, opportunistico (?) sostegno al referendum(-plebiscito) di Matteo Renzi sulle sue riforme che negavano alla radice la bellezza di una Costituzione che ne sarebbe stata profondamente cambiata (stravolta, secondo molti preparati interpreti).

La Costituzione italiana (come molte altre Costituzioni democratiche) è un sistema architettonico, così inteso dai Costituenti i quali mai sarebbero stati d’accordo con coloro che dichiarano riformabile la seconda parte: l’Ordinamento della Repubblica, e intangibile la prima parte: Diritti e doveri dei cittadini. Si incrociano; si rafforzano o indeboliscono reciprocamente. Buone istituzioni proteggono e promuovono i diritti e i doveri. Esercitati nella loro pienezza quei diritti e quei doveri fanno funzionare al meglio le istituzioni. Naturalmente, l’esercizio richiede la previa conoscenza delle norme che, di nuovo, non è solo faccenda giuridica. Per conoscere le norme la lettura deve avere attenzione al contesto, alle motivazioni, agli obiettivi.

Citando in maniera del tutto monca l’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”, Benigni ha compiuto un’operazione assolutamente scorretta e riprovevole. Senza leggere l’articolo nella sua interezza “…come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni: promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” (c.vo mio), Benigni ne ha, consapevolmente, credo, e deliberatamente sconvolto il senso. No, nessuno dei Costituenti era per cultura e per storia, per preferenza politica e personale, un pacifista assoluto. Non pochi di loro avevano combattuto, armi in pugno (armi spesso ricevute dagli alleati), per liberare l’Italia dal nazifascismo. Nessuno di loro era un “sovranista”. Anzi, la grande maggioranza di loro vedeva nelle organizzazioni internazionali un embrione di federalismo.

Certo, quasi nulla di questo può essere raccontato sulla scena di un Festival della canzone italiana, neppure se nobilitato dalla, forse non del tutto opportuna, presenza del Presidente della Repubblica che, mi consento di immaginare, quantomeno preoccupato dalle parole di Benigni. Allora, si lasci la predicazione, la pedagogia della Costituzione a luoghi più appropriati nei quali il desiderio di conoscenza conti più che la audience e l’eventuale contraddittorio serva a mettere in rilievo gli errori e le manipolazioni. Non è questione di interpretazioni di destra o di sinistra. In questione è la correttezza, totalmente assente nella affannata esibizione di Roberto Benigni.

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