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Dallo Spazio all’Intelligenza artificiale. L’analisi di Valori

È tornato in auge con il nuovo millennio l’interesse a raggiungere la Luna non solo attraverso missioni umane, ma anche attraverso stazioni dotati di mezzi robotici. L’analisi di Giancarlo Elia Valori autore del volume “Cyberspazio e Intelligenza Artificiale fra Occidente e Oriente”, edito da Rubbettino

Nel cercare di comprendere i presupposti agli scontri epici per la conquista dello spazio, verso cui l’Intelligenza Artificiale oggi si pone come alternativa di condivisione di responsabilità in merito alla curva discendente delle risorse ancora a disposizione sul pianeta Terra, mi sovviene un libro di oltre venticinque anni fa scritto da Paolo Cortesi, ove si analizzano i veri scopi della corsa allo spazio avviatasi a fine anni Cinquanta.

A quel tempo tutti erano convinti (o almeno lo davano ad intendere) che con il raggiungimento del genere umano oltre l’atmosfera terrestre e sulla Luna si stava aprendosi un’epoca nuova per il genere umano. Tutti dichiaravano che la conquista della luna avrebbe avuto conseguenze decisive nella evoluzione culturale e tecnologica del nostro pianeta. A decenni di distanza da quel giorno, possiamo verificare quanto poco esatte erano le previsioni enfatiche di quel tempo. L’umanità purtroppo non è cambiata in meglio se non in peggio, e l’evoluzione non ha avuto svolte repentine se non nel comparto tecnologici, e la luna è tornata ad essere remotissima e fra gli anni Sessanta e i primi anni Duemila ha interessa molto meno di cento anni fa.

La vicenda della cosiddetta conquista dello spazio – lo spazio è ben altra cosa – è emblematica di tutta la storia dell’astronautica. Si trattò di una ubriacatura tanto intensa quanto rapida, voluta dalle due potenze egemoni Stati Uniti d’America ed Unione Sovietica che vi spesero quantità enormi di denaro. Washington solo per il programma che si concluse con l’allunaggio spese 24 miliardi di dollari. Pensate che il bilancio della Nasa per il vicino anno 1962 era fissato in un miliardi e 784 milioni di dollari; e nello stesso periodo, l’ente aerospaziale statunitense aveva ben 21.422 dipendenti.

Questi investimenti vertiginosi erano giustificati da esigenze scientifiche: l’uomo – si propagandava – stava affacciandosi allo spazio, iniziava l’era in cui l’umanità avrebbe lasciato, almeno idealmente, il pianeta su cui era costretta da sempre, l’astronautica avrebbe condotto l’uomo alla sua piena maturità. Ma la realtà dei fatti non era affatto così.

La corsa allo spazio fu invece un ampliamento della guerra fredda, ma a dirla fra gli anni Sessanta e Settanta del sec. XX sarebbe stata vista una blasfemia medievale. Si preferiva presentare (talvolta imporre) la versione eroica: l’uomo prometeico che vuole strappare al cielo il suo dominio, l’estrema conquista dello spazio esterno. L’occidentale con il pretesto che il liberalismo e il capitalismo avrebbero condotto alla felicità di tutti; il socialista che s’avviava verso il sole dell’avvenire dal paradiso in terra.

La verità era molto più triste: i satelliti russi spiavano gli Stati Uniti d’America, e questi ultimi col segretissimo progetto Corona – di cui solo a fine anni Novanta si è rivelata l’esistenza – aveva lanciato dispositivi fotografici sofisticatissimi che guardavano l’Unione Sovietica dall’alto, e non solo.

Tutti i razzi e vettori scientifici erano pensati, studiati e usati per scopi militari; lo spazio si affollò in modo inquietante: al 30 aprile 1969, i satelliti in orbita erano addirittura 3.950. I satelliti russi Cosmos furono lanciati per un nuovo vasto programma di “ricerche spaziali” virgolettato: questo, ufficialmente e molto vagamente, era quanto dichiarò la Tass in occasione del primo lancio (16 marzo 1962).

Però se consideriamo il clima politico internazionale dei giorni in cui furono lanciati i satelliti Cosmos, scopriremo coincidenze molto significative. I primi satelliti di questa serie sono stati messi in orbita quando stava maturando la crisi di Cuba e quando, questa, era nel suo drammatico sviluppo. Nel 1968, la media mensile dei lanci aumentò in concomitanza con la crisi sino-sovietica.

Nel marzo 1969, avvennero ben sei lanci, ed è proprio in questo mese che si verificarono i sanguinosi scontri tra sovietici e cinesi lungo il fiume Ussuri per la conquista dell’isola Zhenbao Dao (in russo Damanskij). Nei mesi successivi, i lanci rientrano nella routine, ma in giugno, quando vi furono scontri alle frontiere occidentali della Repubblica Popolare della Mongolia, si registrò il lancio ravvicinato di cinque Cosmos. Quando iniziano le conversazioni tra Kossighin e Zhou Enlai, i satelliti messi in orbita diminuirono fino a soli due al mese.
Il parallelismo satelliti-eventi internazionali era troppo puntuale per essere una coincidenza. Come succede da sempre nella civiltà tecnocratica, gli aspetti esteriori, giornalistici, popolari sono filtrati da un’oligarchia di politici e militari per coprire i veri fini: ossia controllo, conquista, preparazione alla guerra, commissioni alle industrie amiche.
Negli anni pionieristici dell’astronautica, le spese militari furono una voragine senza fondo che ingoiò fiumi di denaro: nel 1962 in tutto il mondo si investirono 121 miliardi di dollari dell’epoca per gli armamenti; nel 1967 la cifra salì a 197 miliardi di dollari. Nel 1970, la somma era arrivata a 240 miliardi di dollari. L’intreccio armi-astronautica era indissolubile.

Nel 1961, l’Aeronautica statunitense firmò con la Raytheon un contratto per l’impiego bellico dei fulmini globulari (plasmoidi sferici ad alta energia). Oltre a questo torbido rovescio della medaglia, vi è un’altra storia segreta dell’astronautica. È la storia degli esperimenti mai dichiarati, dei fallimenti nascosti e negati, delle anomalie di volo top secret, delle reticenze e delle assurdità. Ancora oggi molte verità ci sono precluse; gli archivi delle due superpotenze, nonostante i grandi cambiamenti avvenuti in questi anni, sono ancora tutt’altro che aperti e trasparenti.

Ma ora possiamo rileggere meno ingenuamente un’epoca che è il nostro passato più prossimo, ma che ormai ci appare quasi estranea, assolutamente remota, talvolta incomprensibile.

La militarizzazione dello spazio ha comunque una storia più antica dello sbarco sulla Luna. Dal 4 ottobre 1957 all’estate del 1964 – ovvero in poco meno di sette anni – furono lanciati nello spazio 235 satelliti artificiali, 95 dei quali, nel luglio 1964, erano ancora in orbita: 74 statunitensi, 18 sovietici, due britannici ed uno canadese. Oltre a questi ordigni, orbitavano attorno alla terra 328 frammenti di razzi e navi spaziali, quasi tutti di fabbricazione statunitense. Gran parte di questa flotta spaziale, era composta da satelliti militari, sui quali era mantenuto il più stretto segreto, con buona pace dei soliti illusi che ritenevano che il progresso tecnologico sia a beneficio dell’umanità. In effetti, almeno metà dei razzi e satelliti che furono lanciati nei primi anni dell’astronautica era destinata ad uno scopo poco umanitario: spiare il nemico, mettere in orbita testate nucleari capaci di precipitare sugli obiettivi, che in questo caso non erano caserme o fortini, ma città popolate da centinaia di migliaia di inermi esseri umani.
Negli anni Sessanta, le spese militari delle due superpotenze erano colossali: nel bilancio USA per il 1964/65 esse erano pari a 55.211 milioni di dollari (si noti che le spese complessive erano di 97.900 milioni di dollari, il bilancio militare era quindi ben superiore alla metà dell’intero bilancio nazionale). La voce “difesa” incise nella finanza pubblica statunitense secondo i dati di seguito riportati, espressi in milioni di dollari:
1962/63: 52.800 milioni di dollari
1963/64: 55.300 milioni di dollari
1964/65: 55.200 milioni di dollari

E fra queste le spese per la corsa allo spazio furono:

1962/63: 2.600 milioni di dollari
1963/64: 4.400 milioni di dollari
1964/65: 5.300 milioni di dollari

Come si vede, gli investimenti erano in costante aumento. Ovviamente, la nobile sete di pura conoscenza non sarebbe bastata, da sola, a giustificare e imporre finanziamenti così corposi. Lo spazio era il nuovo “campo di battaglia” sul quale si confrontavano i due blocchi egemoni. Dell’Urss non disponiamo ancora di cifre ufficiali sulle spese spaziali; un dato di provenienza occidentale è molto eloquente: il solo programma Sputnik ogni anno costò all’Unione Sovietica 48 miliardi di dollari (dati 1961).

L’astronautica fu, per più di un decennio, il versamento di denaro pubblico per le ossessive “ragioni di sicurezza nazionale” che si sostituivano ai fini scientifici, facendo dell’astronautica un esempio veramente perfetto di cosa intendano i governi con la magica parola tecnologia non a caso tutti i primi astronauti: Gagarin, Glenn, Titov, Cooper, Carpenter, Leonov, White erano ufficiali delle forze armate dei loro Paesi.

Nei primi anni Sessanta, i satelliti segreti erano come un nugolo di moscerini che orbitava attorno alla terra. E non occorre precisare che “segreto” qui è sinonimo di “militare”. Gli Stati Uniti d’America (sui quali abbiamo maggiori informazioni) lanciavano questi satelliti dalla base Vandenberg in California. I vettori impiegati in quegli anni erano quasi tutti dei Thor-Agena, un missile alto 19 metri che sviluppava oltre 68.000 chili di spinta. Fra il 30 ottobre 1963 e l’8 ottobre 1964, i satelliti segreti statunitensi furono sei. Un’attività molto più frenetica si ebbe nei primi quattro mesi del 1966.

Fra il gennaio 1966 ed il 26 aprile dello stesso anno, furono lanciati 36 veicoli spaziali: 13 di questi erano satelliti segreti statunitensi. Molto spesso si trattava di satelliti-spia, che avevano il compito di fotografare installazioni militari dell’Unione Sovietica e di altri Paesi considerati “non amici”. Vi erano, però, anche diversi satelliti che portavano a bordo materiale radioattivo, sia per le batterie che per usi non dichiarati. Queste autentiche bombe atomiche vagavano attorno alla terra, rappresentando un reale pericolo non solo per le navi spaziali ma anche per la vita sul pianeta: un satellite radioattivo che precipiti al suolo non è molto meno devastante di una testata nucleare. Ma la fantasia delirante dei tecnici militarizzati si spinse ancora oltre, disegnando – con apparente lucidità e rigore – scenari apocalittici di vera guerra nello spazio. Lo Scudo spaziale o Guerre stellari (Strategic Defense Initiative-SDI) del presidente Reagan fu solo il passo successivo.

Già nel 1959, l’americano De Seversky scriveva: «Il potere aereo e il potere spaziale sono sinonimi. Lo spazio al disopra della terra è il naturale dominio dell’aviazione militare che dovrà conquistare il dominio dell’aria e dello spazio in una eventuale guerra futura, con un’offensiva ben coordinata, e accuratamente condotta, a mezzo di velivoli, missili e, se necessario, satelliti e astronavi».

Nel 1961 la francese «Revue militaire générale» scriveva che dopo la prima fase di utilizzo bellico dei satelliti, come osservatori per spiare le mosse del nemico, «potrà ben presto fare seguito una eventuale lotta che si svolga interamente nello spazio». In quest’ottica, ad esempio, la rivista statunitense «Air University Quarterly Review» dell’estate 1959 si occupava del potenziale militare della Luna in una serie di articoli. Gli articoli ricordavano un ufficiale dell’US Air Force, Homer A. Boushey, il quale – fin dal 1958 – aveva sostenuto la tesi di «usare la Luna come base di missili dalla quale poter eventualmente lanciare un attacco di rappresaglia contro l’Unione Sovietica». I punti di maggior vigore dimostrativo del generale Boushey erano i seguenti: «Dal punto di vista della potenza, dobbiamo ricordare che per lanciare un proiettile dalla Luna sulla Terra, è sufficiente 1/5 od 1/6 della potenza necessaria per compiere l’operazione inversa. La Luna presenta il vantaggio che ha, secondo la vecchia tradizione militare, chi occupa la posizione più elevata. Un missile lanciato verso la Terra dalla Luna può essere osservato e guidato dal momento della sua partenza fino al momento dell’impatto. Il contrario non è vero.

Un attacco di missili lanciato dalla Terra può essere osservato dalla Luna con un anticipo di 48 ore rispetto all’arrivo dei missili, il che permette di provvedere alla reazione. La Luna è una base di ineguagliabile valore ai fini delle operazioni di rappresaglia. Se noi avessimo una base sulla Luna, sia nel caso che i sovietici lanciassero dalla Russia, contro la Luna un poderoso attacco nucleare due o due giorni e mezzo prima di attaccare il territorio degli Stati Uniti (e tali attacchi non sfuggirebbero all’osservazione), sia nel caso in cui i sovietici attaccassero direttamente gli Stati Uniti, la Russia non potrebbe sfuggire alla nostra sicura e massiccia rappresaglia che la raggiungerebbe 48 ore più tardi».

A questa proposta da Dr. Stranamore rispose opportunamente il fisico, prof. Lee DuBridge, il quale ricordò una importantissima banalità che al generale, nella sua foga di allineare testate nucleari ai bordi dei crateri lunari, era sfuggita: «Se voi lanciate una bomba dalla Luna contro un bersaglio terrestre, la bomba impiegherebbe cinque giorni per raggiungere la Terra. Forse arriverebbe quando la guerra è già finita».

Allora si cercò di rimediare con le seguenti affermazioni: «E quindi possibile prendere in considerazione elementi di potenziale lunare in termini di guerra psicologica, guerra tecnologica e sviluppo di nuove dottrine militari. Ed è anche possibile pensare alla Luna come sede di guerre limitate. Le considerazioni non convenzionali riportate in questo articolo sono da ritenere incoraggianti, in quanto possono suggerire un buon investimento di capitali». Fortunatamente, non esistevano a quel tempo (nè esistono ora) capitali sufficienti per finanziare la creazione di una sia pur piccola base militare terrestre sulla Luna.

I progetti di astronautica militare illustrano ottimamente certi percorsi mentali: la scienza e la tecnologia sono docili serve delle opportunità politiche, le quali molto raramente concordano col benessere dei popoli nel cui interesse pretendono di governare. Il Progetto Able, del 1966, ne è un bell’esempio. Il Centro di Volo Spaziale Marshall di Hunsville (Alabama) elaborò un programma missilistico che aveva lo scopo di mettere in orbita uno specchio di 600 metri di diametro. Questa enorme superficie riflettente sarebbe stata posizionata e inclinata in modo tale da riverberare costantemente i raggi solari sul Vietnam, per privare i guerriglieri Vietcong del favore delle tenebre e farne sempre dei facili bersagli. Inoltre, quel «giorno artificiale illimitato» avrebbe avuto sul nemico conseguenze psicologiche destabilizzanti. Il progetto Able – che oggi ci appare quella ridicola assurdità che era – impegnò a fondo per mesi i tecnici del Marshall, sotto la direzione di Edward Gray, un alto funzionario della Nasa. La Nasa è un ente statale non militare. Il fatto che essa si sia occupata di progetti d’impiego bellico, quale il programma Able, la dice lunga sulla pretesa separazione tra enti civili e militari.

I primi anni dell’astronautica sono tra i più misteriosi del nostro secolo. Il segreto fu la costante degli esperimenti, la cui componente militare era minimizzata in un clima artificioso di pionierismo scientifico, belle parole e spruzzi di felicità fantascientifica. Anche gli Stati Uniti d’America che si presentavano come paladini della libertà d’informazione, affollarono lo spazio di satelliti segreti. Per il regime sovietico fu più facile lavorare senza rendere conto al pubblico. Molti lanci spaziali dell’Urss non sono mai stati ufficialmente dichiarati, e di essi si apprese qualche rara notizia dai servizi di spionaggio statunitensi. La Nasa divulgò, nel giugno 1963, un documento basato su osservazioni raccolte dal comando del Norad (North American Aerospace Defense Command). Tale documento elencava alcuni insuccessi spaziali che l’Urss non aveva mai ammesso.

Una nave spaziale, lanciata in orbita il 25 ottobre 1962, esplose e si frantumò in 24 frammenti metallici che presero ad orbitare attorno alla Terra. Il primo di questi relitti si disintegrò per attrito nell’atmosfera il 29 ottobre. Gli ultimi frammenti continuarono a gravitare attorno alla Terra fino al 26 febbraio 1963. Il 12 settembre 1962 (ancora secondo fonti di Washington), i sovietici lanciarono un satellite PHI 1-7 che però ricadde sulla terra solo cinque giorni più tardi.

Una nave spaziale BXL 1-5 fu lanciata il 4 novembre 1962 e si disintegrò in una data compresa fra il 5 novembre ed il 19 gennaio 1963. Il 4 gennaio 1963, da una base missilistica sovietica furono lanciati tre satelliti artificiali dei quali il primo restò in orbita solo poche ore e gli altri due fino all’undici gennaio 1963. Questi episodi non potranno mai fare parte della storia “ufficiale” dell’astronautica, perchè ufficialmente non sono mai esistiti.

Per quanto ciò oggi ripugni all’opinione pubblica, gli esperimenti missilistici di trenta anni fa erano ideati e condotti senza il minimo effettivo controllo da parte dei cittadini che pure pagavano di tasca loro le colossali spese della corsa allo spazio. Scienziati e militari – e spesso erano tutt’uno – progettavano esperimenti senza curarsi del loro aspetto etico: è moralmente accettabile intervenire sull’intero pianeta solo perchè si hanno i mezzi tecnici per farlo? È lecito (o soltanto ragionevole) modificare l’equilibrio del pianeta compromettendolo per decine di anni o forse per secoli?

In un delirio di onnipotenza tecnologica, i maghi-scienziati immaginavano di riplasmare la Terra, come – ad esempio – certi scienziati sovietici che, ai primi del 1961, progettarono di creare una cintura di particelle di potassio attorno al globo. Si sarebbero dovute collocare 1,75 milioni di tonnellate (sic!) di potassio, ad una quota di 1200 chilometri, fra i 70 ° ed i 90° di latitudine nord. Questa cappa di potassio sarebbe servita per «aumentare l’intensità solare sulla Terra»; evidentemente, gli scienziati sovietici supponevano che l’evoluzione del pianeta fosse incompleta o inesatta, se si credevano in diritto di creare qualcosa di cui, in miliardi di anni, non si era sentita la mancanza. Per fortuna, certi progetti erano così megalomani da risultare inattuabili. Altri, purtroppo, no: abbiamo già visto il caso delle esplosioni nucleari stratosferiche degli Stati Uniti d’America.

A proposito di esplosioni nucleari, è interessante esaminarne una che, pur non riguardando direttamente l’astronautica, è un bell’esempio di quanto poco siano affidabili le certezze degli “esperti” e quanto gigantesca possa essere l’imbecillità del potere.

Nell’autunno 1968, gli Stati Uniti d’America fecero esplodere una bomba termonucleare detta “bomba terremoto”, la più potente che avessero mai realizzato. Il suo potere distruttivo era pari a quello di 1.200.000 tonnellate di tritolo: 60 volte più potente della bomba di Hiroshima. L’ordigno fu fatto esplodere in una cavità scavata a 1200 metri di profondità nel deserto del Nevada. Gli esperti avevano previsto che l’onda sismica prodotta dall’esplosione si sarebbe propagata entro un raggio di 400 chilometri; invece essa superò i 600 chilometri e fu avvertita con terrore fino a Salt Lake City, nello Utah, dove i grattacieli ondeggiarono come sotto invisibili colossali colpi di maglio. I sismografi saltarono fino a Los Angeles, e dodici scosse di terremoto “naturale” seguirono alla tremenda esplosione, che lasciò un cratere del diametro di 90 metri e profondo 20. Sarebbe interessante conoscere le pretese motivazioni di questa esplosione che, costata alcuni milioni di dollari, ebbe come sole conseguenze la devastazione del terreno in profondità e la sua contaminazione radioattiva. Ma, negli Anni Sessanta, a tecnocrati e militari sembrò di essere finalmente onnipotenti.

Come bambini viziati e paranoici, i nuovi apprendisti stregoni si erano convinti di migliorare il mondo. E per far questo mettevano in pratica esperimenti da gabinetto del dottor Mabuse.

Il 9 maggio 1963, da Point Arguello, California, partì un Atlas-Agena la cui missione era definita segreta. Solo più tardi, l’Usaf rivelerà che esso pose in orbita attorno alla Terra 400 milioni di aghi di rame che si sono collocati formando una cintura di 40.000 miglia di circonferenza ad una quota di circa 2000 miglia.

Questa nuvola planetaria d’aghi di rame servirà, assicurano i soliti esperti, per esperimenti sulle comunicazioni in scala mondiale. La durata della fascia è prevista in circa cinque anni, dopo i quali essa si dissolverà senza lasciare traccia. Non sappiamo a tutt’oggi se, come e quando si sia distrutta la massa degli aghi. Conoscendo però la sedicente infallibilità dei tecnici, si può onestamente avere qualche dubbio sul programmato esito dell’esperimento.

Oggi, mentre da un lato i progressi tecnologici acquisiti durante il cosiddetto scramble for outerspace hanno fatto in modo che le superpotenze possano spiarsi l’un l’altra senza molti problemi, nel panorama geopolitico si assiste al passaggio dal bipolarismo definito dalla guerra fredda al multipolarismo della attuale comunità spaziale internazionale.

Come affrontato nel libro “Cyberspazio e Intelligenza Artificiale fra Occidente ed Oriente”, presentazione il prossimo 2 marzo all’Università La Sapienza è tornato in auge con il nuovo millennio l’interesse a raggiungere la Luna non solo attraverso missioni umane ma anche attraverso stazioni dotati di mezzi robotici.

Tra i promotori delle predette non solo gli Stati, singoli o in cooperazione, ma anche imprenditori privati, soprattutto negli Stati Uniti d’America.

Dal 1969 ad ora con la presenza di un maggior numero di attori che hanno l’intento di dimostrare la propria capacità tecnologica lo spazio diviene un centro di gravità economico, politico, militare e forse anche puramente scientifico, mentre ai primordi – come abbiamo sopra esaminato – la scienza era solo un incidentale optional.

Ciò detto, si deduce quanto segue: l’indipendenza tecnologica in tal caso intesa come disposizione di un programma spaziale completo è indice di prestigio internazionale ed elemento per affermare la propria leadership politica ed economica. Un elevato sviluppo tecnologico è volano di sviluppo economico, di solidità, dinamicità e competitività industriale.

La dirigenza statunitense nel settore spaziale attualmente sta assistendo ad un’impennata della Repubblica Popolare della Cina grazie ad una rapidissima evoluzione tecnologica e all’uso di ingegneria inversa. Molte le missioni cinesi che rivelano l’alto livello di sviluppo raggiunto dalla RP della Cina grazie ad un miscela di cooperazione e competizione. Taluni ritengono che se da un lato la RP della Cina ha spesso ribadito la propria propensione alla cooperazione, dall’altro dimostra di tradurre i benefici tecno-nazionali dei propri programmi spaziali in influenza geopolitica.

Ai punti suddetti, possiamo aggiungere alcuni termini definitori che tento di porre in evidenza nel mio recente volume: lo spazio è il nuovo elemento di competizione; l’interesse degli Stati nel settore potrebbe dare luogo ad un riassetto delle relazioni internazionali a livello globale; si definisce il nuovo ruolo della cooperazione internazionale, in quanto se dobbiamo cercare nuove risorse energetiche non possiamo premetterle ad una guerra stellare che prima definisca un vincitore pigliatutto, anche perché in caso di conflitto bellico ben poco resterebbe del nostro pianeta; per cui si dovranno sviluppare nuovi meccanismi di collaborazione e divisione delle materie prime che sono lassù; di conseguenza la space diplomacy è sicuramente già in atto, al di là dei conflitti terresti europeo che riguardano questioni che potevano essere regolate tempo prima; ma l’imbelle Ue che aveva il dovere di agire non ha fatto nulla al riguardo se non parole vuote e vendite di armi.

Torniamo a noi.

Al rinnovato richiamo della “riconquista” virgolettato della Luna, si associa ovviamente l’individuazione dei vecchi protagonisti, nuovi Stati, agenzie spaziali nazionali e di organizzazioni internazionali ed inediti protagonisti che esamineremo in seguito.

La cosiddetta privatizzazione dello spazio è presente nella realtà statunitense e collegata al contenimento del budget che ha costretto la Nasa ad appaltare la progettazione di razzi e sonde a laboratori indipendenti ad essa collegati, Università e imprese con il know-how riconosciuto nel settore. Le aziende private operanti nel settore aerospaziale sono presenti appunto anche in altri Paesi ma negli Stati Uniti d’America la capacità si è consolidata in maniera tale da rendere gli stessi capaci di elaborare un proprio programma spaziale: tra questi La SpaceX di Elon Musk, la Virgin Galactic di Richard Branson, la Blue Origin di Jeff Bezos, la Bigelow Aerospace di Robert Bigelow e la Space Adventures di Eric C. Anderson.

E comunque il ritorno sulla Luna è il primo passo di un percorso di esplorazione di altre zone del sistema solare. Al momento la Luna appare più vicina, pare a soli tre giorni di viaggio dalla terra e per un adeguato confronto, Marte dista quasi un anno, tanto per dire che lo spazio “conquistato” virgolettato dell’Uomo è un nulla rispetto allo spazio vero, ma un molto in proporzione alle materie prime che possiamo estrarre da esso.

La Luna rappresenta un’ottima base per la sperimentazione veramente scientifica e dovrebbe fungere da stimolo per un avanzamento nel settore delle capacità tecnologiche e ingegneristiche delle nazioni coinvolte.

Inoltre l’ulteriore incentivo nell’esplorazione spaziale è dato per l’appunto dalla possibilità di avviare attività minerarie sulla Luna e su vari corpi celesti del sistema solare per ottenere minerali fondamentali e altre materie prime. Di qui si deduce agevolmente che i sostenitori dell’esplorazione spaziale a fini commerciali ritengono l’estrazione mineraria un elemento chiave per le future missioni.

A questo aspetto si aggiunge la concreta fattibilità della predetta esplorazione dati gli elevatissimi costi per raggiungere la Fascia Principale degli Asteroidi estrarre le risorse e trasportarle sulla terra, considerando che il maggiore di essi Cerere, può essere raggiunto in 28 giorni circa (259.195.741 km nel punto più vicino), con l’utilizzazione del veicolo spaziale senza pilota più veloce mai costruito, che ha toccato i 400 mila km/h circa.
L’incentivo agli investimenti e progetti deve essere pure dato dalla predisposizione degli strumenti giuridici predisposti da alcuni Paesi. Ossia la creazione di un diritto internazionale dello spazio, ovvero di una nuova terra nullius, che sia ancor meglio regolata di quanto invece è stato elaborato per l’Antartide.

Di qui la nuova corsa allo spazio si tinge di vero interesse verso l’aspetto della predisposizione di una adeguata regolamentazione per agevolare la costituzione di un clima di compartecipazione dal punto di vista commerciale e imprenditoriale tra i soggetti attori che vorrebbero muoversi verso la nuova frontiera. Quindi è necessario che il potenziale sfruttamento delle risorse spaziali apra questioni che richiedano, quanto prima, una soluzione concordata nella Comunità Internazionale.

I predetti strumenti giuridici – che si augura avviino un regime normativo ben definito – potrebbero però incentivare la nascita di regolamentazioni nazionali che nel regime di libertà concesso dall’Outer Space Treaty – risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu 2222 (XXI) del 16 dicembre 1966 – finirebbero per innescare una pericolosa corsa verso regimi di convenienza più favorevoli verso investimenti ed iniziative dei privati. Ed ecco la necessità di un vero e proprio diritto internazionale dello spazio!

Del resto vista la vicinanza alla Terra, la Luna è adatta a divenire un laboratorio sperimentale – però un laboratorio ove ogni Paese possa aver accesso e non solo le superpotenze o privati dotati di molto danaro: ci sono scienziati di chiara fama non solo statunitensi, russi e cinesi, ma di moltissimi Paesi che hanno il diritto, e noi il dovere, di fare in modo che attingano a tali risorse tecnologiche. Un laboratorio come luogo dove poter vivere e preparare le missioni per la colonizzazione di Marte, l’esplorazione e lo sfruttamento della Fascia Principale degli Asteroidi e missioni umane per recarsi in zone ancora più remote.

E non bisogna dimenticare che la Luna potrebbe essere fonte di estrazione di acqua e ossigeno, come pure di minerali come il titanio, l’alluminio, l’iridio e anche alcune terre rare quali il neodimio, anche se la risorsa lunare più importante sembra essere l’elio-3.

Questo gas prodotto dal vento solare e accumulato sulla superfìcie della Luna in miliardi di anni è presente in grandissime quantità. Lo stesso costituirebbe un buon combustibile pulito per reattori a fusione nucleare, in quanto il suo utilizzo produrrebbe una quantità irrilevante di scorie radioattive. E a questo proposito non possiamo dimenticare il complesso panorama normativo predisposto per lo sfruttamento delle risorse lunari che sancisce lo sfruttamento solo a benefìcio dell’umanità, inserendo tutta una serie di limitate attività da effettuarsi sul suolo del nostro satellite.

Nonostante i numerosi fallimenti di alcune missioni non solo lunari, ma dirette pure altrove e la consapevolezza che l’impresa non sia facile, le principali motivazioni alla base che spingono gli Stati Uniti d’America, la Repubblica Popolare della Cina e alcuni Paesi della Comunità Internazionale a tentare nel futuro prossimo il ritorno alla Luna sono in apparenza, e si auspica in realtà, di carattere tecnologico e scientifico.

La sfida è data dallo sviluppo di tecnologie che ripetendo quanto avvenuto nel passato accompagneranno l’avanzamento di nuove architetture per mantenere in orbita una stazione spaziale di ventura generazione che agevoli esplorazioni meno costose rispetto a quelle del passato. Inoltre la presenza della stazione sulla Luna agevolerebbe, come abbiamo prima sottolineato, anche le missioni verso Marte. Infine tornare sulla Luna potrebbe contribuire ad una migliore e capillare comprensione dello sviluppo dell’intero sistema solare.

Il precedente accantonamento delle missioni lunari e lo sviluppo del partenariato pubblico-privato nel settore in esame ha dato vita negli Stati Uniti d’America alla cosiddetta new space economy. Quest’ultima vedrà maggiormente presenti gli attori privati, più negli Stati Uniti – essendo nella RP della Cina e in Russia, tali attività controllate dai rispettivi Stati – privati che sostenendo economicamente le missioni lunari abbatteranno i costi sopportati dall’amministrazione pubblica, come è avvenuto negli anni Sessanta e Settanta sopra esaminati. Inoltre il settore assisterà allo sviluppo delle start up e delle venture capital impegnate in questo ambito.

Da ultimo le risorse spaziali risultano essere attrattive per il settore privato, ci riferiamo a quelle presenti sulla Luna, come pure sugli asteroidi.

La nuova era di esplorazione innanzitutto lunare ed in seguito spaziale in toto, va valorizzata e resa nota al grande pubblico adeguatamente in modo che la comunità globale si renda conto delle ricadute positive che queste missioni hanno nella vita di tutti di giorni.

A gestire tutto questo – compresi viaggi nel sistema solare con equipaggi non umani bensì robotici – ci penserà l’Intelligenza Artificiale.


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