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Largo al nuovo Patto di stabilità. All’Ecofin prove generali di svolta

Dalla riunione dei ministri delle Finanze non esce tanto un accordo politico, quanto una certezza di fondo. Per fronteggiare le emergenze presenti e future bisogna rimettere gli Stati in condizioni di spendere. I paletti della Germania e la spinta di Giorgetti 

Se tre indizi fanno una prova, allora in Europa qualcosa è, finalmente, cambiato. La pandemia prima e la guerra poi, hanno spazzato via un decennio abbondante di rigore sui conti pubblici, aprendo la strada a nuove regole, decisamente più accomodanti. Al momento è stata posata solo la prima pietra e difficilmente Maastricht e i suoi dettami verranno spediti in soffitta. Ma a voler fare gli ottimisti, il meccanismo avviato dall’Ecofin odierno non dovrebbe incepparsi, almeno nel medio termine. I ministri delle Finanze approdati a Bruxelles hanno formalmente posto le fondamenta per un Patto di stabilità a prova di shock energetici e di sussidi americani.

VERSO (NUOVE) REGOLE DEL GIOCO

E gli indizi poc’anzi menzionati vanno ricercati nella parole di Paolo Gentiloni, Valdis Dombrovskis e Christian Lidner, ovvero il commissario all’Economia, il vicepresidente della Commissione europea e il ministro delle Finanze tedesco. Da Roma si registra il ruolo di Giancarlo Giorgetti, titolare dell’Economia e promotore della prima ora di una revisione dal profondo degli assetti che finora hanno governato le finanze nazionali in Europa.

Il filo conduttore sancito dall’Ecofin è più o meno questo: nessun tana libera tutti, ma bisogna rimettere gli Stati nelle condizione di spendere le proprie risorse, per fronteggiare le emergenze presenti e future. Come a dire, nessuno o quasi si aspettava la pandemia, ed è arrivata. Lo stesso vale per la guerra in Ucraina e per l’inflazione ad essa connessa, la peggiore degli ultimi quarant’anni nel Vecchio continente; e per il guanto di sfida lanciato dagli Stati Uniti, sul terreno della competitività. E allora, occorre farsi trovare pronti, con i bilanci sovrani pronti a pompare denari nell’economia qualora ce ne fosse bisogno, ad aprirsi e chiudersi come una fisarmonica in base alla congiuntura internazionale.

IL TIMING DI GENTILONI

Gentiloni su questo è stato chiaro, aggiungendo anche un elemento di fretta. Chiedendo di fare progressi sulla revisione del Patto in modo da far ratificare l’eventuale accordo tra i governi dall’attuale parlamento europeo, prima che scada il suo mandato tra 15 mesi e ne venga eletto uno nuovo. “Per questo spero che raggiungeremo delle conclusioni entro la fine del mese prossimo. Dobbiamo dare al Parlamento europeo il tempo necessario alla discussione sul consensus che raggiungeremo. Il tempo non è infinito”.

E comunque, la strada è tracciata. “Penso che possiamo dire di avere alcuni elementi importanti, dove un accordo si sta delineando. Da una parte la necessità di avere più gradualità sulla riduzione dei debiti, assieme a un rafforzamento della crescita e al sostegno agli investimenti. Secondo, la necessità di avere un approccio di medio termine, dobbiamo proseguire una discussione su un approccio ai piani nazionali assieme alla necessità di regole comuni. Il bilanciamento di queste due istanze è qualcosa in cui ci servono progressi”.

L’OTTIMISMO DI BRUXELLES

Anche un falco come Dombrovskis, ed ecco il secondo indizio, ha aperto a una ridiscussione delle vecchie regole, senza ovviamente sbilanciarsi troppo. “Le discussioni sulla revisione del Patto di stabilità e di crescita stanno andando avanti e alla Commissione europea vediamo ampio accordo su alcuni aspetti tra i paesi dell’Unione Europea. Al tempo stesso permangono alcuni elementi da definire e in particolare le discussioni si stanno anche approfondendo a livello tecnico”.

Il numero due della Commissione ha comunque ricordato come il tutto vada gestito senza strappi e fughe in avanti. “Abbiamo bisogno di regole credibili che assicurino stabilità dell’Unione europea. Ci sono elementi su cui serviranno altre discussioni, per esempio su come raggiungere il bilanciamento giusto tra piani di bilancio di medio termine tagliati sulla caratteristiche dei singoli stati, da una parte, e prevedibilità e parità di trattamento tra paesi, dall’altra, in generale abbiamo gettato solide basi per la discussione”.

I PALETTI DELLA GERMANIA, LA GRINTA DI GIORGETTI

Una delle posizioni più rigide, ma anche più pesanti, è quella della Germania. La quale, terzo indizio, non preclude per nulla a un superamento dei vincoli di bilancio per così dire, storici. “È nostra responsabilità per le giovani generazioni avere di nuovo finanze pubbliche sostenibili”, ha detto Lindner . “Siamo aperti a una maggiore flessibilità in una prospettiva di medio termine ma abbiamo bisogno di un percorso affidabile di riduzione dei disavanzi all’interno dell’Unione europea”.

Berlino è comunque contraria all’idea avanzata dalla Commissione di piani di rientro dal debito diversificati per singoli Paesi. Cosa di cui è invece fermamente convinta l’Italia. “Vogliamo che sia valorizzata la responsabilità nazionale non solo in termini formali ma anche sostanziali. Condividiamo il fatto che debba essere considerata la situazione specifica di ogni Paese. Il percorso di rientro deve essere concordato simultaneamente da Stati e commissione”, ha chiarito Giorgetti. “Per l’Italia la riforma del Patto e delle norme sugli aiuti di Stato si tengono insieme: vorrei insistere, come sottolineato dalle ultime conclusioni del Consiglio europeo al paragrafo 18, sul fatto che il dibattito sulla revisione della governance economica dovrebbe avanzare rapidamente e andare di pari passo con le discussioni in corso sul piano industriale del Green Deal e sul quadro temporaneo di crisi e transizione”. L’accordo politico ancora non c’è, ma la strada pare tracciata.

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