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Emissioni, attenti ai falsi miti. L’analisi di Chiaramonti

Di David Chiaramonti
Emissioni CO2

Secondo il vicerettore del Politecnico di Torino, per passare da Carbon Neutral a Carbon Negative bisogna fare chiarezza su Carbonio e CO2, sui diversi sistemi di rimozione e, soprattutto, su quello di cui abbiamo davvero bisogno. Perché l’ottimo è nemico del bene

Dietro la cortina fumogena degli slogan della sostenibilità siamo purtroppo messi ancora piuttosto male. L’ultimo studio del CLICCS (Cluster di Eccellenza su Climate, Climatic Change and Society) lancia un ulteriore allarme: è “poco plausibile” contenere gli effetti del riscaldamento globale entro 1.5 °C. Ovviamente, bisogna operare su più fronti. Uno, fondamentale, è sviluppare e diffondere le tecnologie innovative sostenibili e le infrastrutture che devono accompagnarle. Ma un altro, pari e altrettanto importante, è sociale e culturale: è necessario creare consenso alle azioni, seguendo un approccio pragmatico e non ideologico. Altrimenti si alza solo inutile rumore e si agisce poco, secondo il ben noto detto “l’ottimo è nemico del bene”.

Carbonio e CO2, non è la stessa cosa

Per esempio, quanti oggi distinguono tra Carbonio e CO2? La confusione regna sovrana e non è certo un tema molto dibattuto, pur essendo la differenza enorme. Il Carbonio è un componente “solido” di varie tipologie e caratteristiche che è fondamentale per la vita ed indispensabile in numerosissime attività. Abbiamo enorme bisogno di Carbonio “buono”, di origine biologica (ed altrettanto bisogno di nutrienti di origine organica per i nostri suoli) ed allo stesso tempo necessitiamo di recuperare tutto il Carbonio possibile attraverso filiere Smart Carbon. La CO2, invece, è un gas difficile da recuperare che possiamo riutilizzare ricorrendo a processi tecnologicamente complessi (CCU cioè Carbon Capture and Utilization) e che è prevalentemente destinata allo stoccaggio geologico (soluzione CCS, Carbon Capture and Storage, da cui difficilmente potremo prescindere, almeno nel transitorio dei prossimi anni). Nella realtà dei fatti, è la CO2 fossile rilasciata in atmosfera ad essere il nostro nemico, non quella di origine biologica (come ad esempio quella ottenuta dalla separazione del biometano).

Insomma, di sicuro non è il Carbonio il problema, ma casomai la nostra difficoltà se non incapacità, nel recuperarlo ed impiegarlo. Ancor di più: come ormai evidente sin dalla COP di Parigi, è essenziale procedere nella direzione dei processi Carbon Negative e non solo Carbon Neutral, ormai non più sufficienti per raggiungere gli obiettivi climatici… Non dobbiamo solo togliere Carbonio dall’atmosfera, ma riportarlo là dove ne abbiamo più bisogno, a partire dai suoli da cui otteniamo food, feed, prodotti ed energia sostenibile.

…ma davvero il DACS è l’unica soluzione? O ve ne sono sono altre, quali Biochar e Compost, che costano meno e offrono altri benefici?

Come detto, per arrivare ad essere Carbon Negative bisogna rimuovere CO2. E forse non stiamo andando nella direzione migliore. Grande attenzione è ad esempio oggi posta sulla tecnologia DACS (Direct Air Capture). L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) a settembre ha dedicato un report specifico a questa soluzione. Alla data del report IEA vi erano 18 impianti DACS in funzione nel mondo, con la possiblità che se ne realizzino molti altri entro il 2030. Per stessa ammissione della IEA, rimuovere CO2 dall’atmosfera è però energy-intensive. Secondo IEA, oggi i crediti di offerti da alcune aziende del settore DACS si collocano in un range compreso tra 600 e 1000 $/tCO2. Altre fonti, più ottimistiche, stimano una forchetta tra 250 e 600 $/tCO2 nel medio-lungo termine. Insomma, costi ancora molto alti e con ricadute in ambiti diversi dal clima abbastanza modeste. Nonostante ciò, negli Usa il sistema DACS già gode di incentivi dell’ordine di 60$/tCO2 (con uso della CO2), ed assorbe grandi risorse da parte di investitori privati ed istituzionali, tra cui Bill Gates. Ed anche in Europa è al centro dell’attenzione.

Esistono però altre opzioni, forse più efficaci e naturali, per il Carbon Negative. Infatti si può far fare alla natura il lavoro di recuperare e convertire la CO2 dall’atmosfera attraverso il processo fotosintetico. Un esempio è quello del Biochar, il prodotto della carbonizzazione delle biomasse che, grazie alla sua natura porosa, consente di aumentare la ritenzione idrica nei suoli (di cui abbiamo assolutamente bisogno), oltre a riportare Carbonio organico nel terreno. Ma può essere impiegato in moltissime altre applicazioni, anche molto avanzate dal punto di vista tecnologico (batterie, materiali a base carbonio, cosmetica, mangimistica, etc). Il costo di rimozione tramite il biochar è notevolmente inferiore, indicativamente stimabile in una forchetta tra le 50 e le 150 €/tCO2: quindi ben inferiore del DACS (fino a un decimo in meno).

Creazione di mercati del Carbonio per il biochar: dove siamo e cosa è necessario fare?

Certo, per adottare questa soluzione a larga scala è necessario creare meccanismi di mercato che riconoscano il valore del Carbonio sequestrato ed impiegato. La Politica Agricola Comunitaria può certamente essere uno strumento, ma forse non il più immediato per caratteristiche (pagamenti per unità di superficie e non per unità di carbonio rimosso) ed assenza di un mercato di Carbonio già sviluppato. La Commissione Europea sta comunque già lavorando in questa direzione. Esistono invece mercati già oggi esistenti, alcuni volontari (di valore unitario ancora contenuto) ed altri riservati a soggetti obbligati e non del tutto accessibil, ma già interessanti (ETS).

Dato che una quota di compensazione (offsetting) sarà comunque necessaria in futuro, anche nel caso degli scenari più positivi ed ottimistici, perché non collegare queste Negative Emission Technologies di tipo nature-based ed i mercati obbligati? Ovviamente, regolando l’afflusso di crediti così generati, in modo da non distorcere il mercato, ed al contempo non deprimere la spinta alla riduzione delle emissione da parte dei grandi emettitori.

Il ruolo di regolazione potrebbe essere svolto da soggetti istituzionali in ciascun Stato Membro. In Italia, per esempio, dal GSE. Quest’ultimo potrebbe porsi tra il mercato dei crediti obbligati (domanda) ed i fornitori (offerta – ad es, i produttori di biochar) ed assicurare che i volumi di prodotto oggetto di crediti ed introdotti sul mercato obbligato non alterino il valore unitario dei crediti stessi. Uno schema di questo tipo è peraltro già stato molto ben illustrato dalla International Carbon Action Partnership, che monitora l’andamento del sistema ETS e propone soluzioni per collegare Negative Emission Technologies e crediti di carbonio.

Il dibattito sulla compensazione (offset) e sulla credibilità delle soluzioni proposte è molto caldo e molto critico, come nel caso del Guardian, che addirittura ipotizza un effetto contrario alle intenzioni. Senza entrare in questo contesto nel merito della discussione, deve essere ben chiaro come sviluppare soluzioni “solide” di offset di CO2, nel senso di rimozioni stabili nel tempo come nel caso del biochar. Non è una opzione, ma una necessità perché una compensazione delle emissioni sarà necessaria in qualsiasi scenario. E lo sarà tanto più quanto meno saremo in grado di raggiungere gli obiettivi fissati, in particolare al 2030.

La strada per la decarbonizzazione è certamente difficile, lunga e piena di ostacoli. Se non valorizziamo tutte le opzioni sostenibili che sono a disposizione, diventa impossibile: e dato che le risorse economiche disponibili sono limitate, vanno investite bene. Per esempio, invece di investire così tanto nel DACS, non avrebbe più senso farlo su misure nature-based come il biochar ed il compost, che lasciano molti più benefici ai territori? Perché non distinguere tra Carbonio e CO2 e non sviluppare sistemi che integrino i mercati esistenti (EU ETS) con le misure nature-based? La transizione ecologica ha bisogno di concretezza, di condivisione sociale e tecnologica, di chiarezza nella comunicazione, e di determinazione nello sviluppo e di applicazioni di policy precise. Piuttosto che di slogan fuorvianti necessitiamo di una ecologia che non sia materia divisiva (e talvolta terreno di competezione) ma piuttosto una visione comune e condivisa.

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