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Il conflitto ha accelerato la transizione energetica. Ma ora da che parte si va?

Pannelli solari

Mentre l’Ucraina resisteva al tentativo d’invasione, l’Ue ha fronteggiato con successo la guerra ibrida del Cremlino con diversificazione e rinnovabili. Ora la sfida è mantenere la competitività nel settore dell’energia verde: occhio a Ira ed Ets

Il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin dava ufficialmente inizio all’invasione dell’Ucraina, sconvolgendo l’equilibrio internazionale e trent’anni di relativa pace nel continente europeo. La mossa era stata pianificata con attenzione, almeno per quanto riguarda il settore dell’energia, da mesi, se non anni. Su queste colonne, a settembre 2021, vi abbiamo dato conto della strategia russa per lasciare l’Europa a corto di gas l’inverno successivo. Poche settimane dopo, un rispettato manager nel mondo del gas (passato, e poi allontanatosi, da Gazprom) ci aveva avvertito del “comportamento discutibile” del fornitore russo.

A distanza di oltre un anno, la strategia di Putin è ancora più evidente. In qualità di fonte di quasi il 50% del gas importato dall’Europa, lo zar era certo che la logica mercantilista dei Paesi Ue avrebbe ovattato l’opposizione all’invasione dell’Ucraina e frammentato il fronte occidentale. La propaganda del Cremlino ha alimentato la tensione dipingendo scenari terrificanti di città europee senza energia, nella morsa del gelo. Ma le capitali europee hanno risposto condannando l’invasione e optando per la diversificazione, portando le importazioni di gas russo poco sopra al 10% del totale.

L’ACCELERAZIONE VERDE

I governi europei si sono subito accorti che il proprio vento e la propria luce solare erano una scommessa più sicura del gas di Gazprom. Più dei miliardi e dei pacchetti di armi donati all’Ucraina, è stata la velocità senza precedenti della transizione energetica dell’Ue a fare la differenza nello sforzo di contrasto alla macchina bellica del Cremlino, o perlomeno ai suoi finanziamenti. Il piano europeo RePowerEu non è ancora stato interamente attivato, ma i Paesi europei non hanno perso tempo a scommettere con il loro portafoglio sulle rinnovabili per tamponare l’allontanamento dal gas russo.

L’anno scorso le installazioni di energia solare in tutta Europa hanno raggiunto la cifra record di 40 gigawatt, con un aumento del 35% rispetto al 2021. Questo aumento, scrive Bloomberg, “è stato determinato principalmente dai consumatori che hanno visto nei pannelli solari a basso costo un modo per ridurre le proprie bollette energetiche”, anticipando di qualche anno la diffusione dell’energia solare. Anche la siccità, con le ripercussioni sull’idroelettrico e sul nucleare, e i venti relativamente deboli del 2022 non hanno impedito alle fonti rinnovabili di diventare, per la prima volta nella storia, la principale fonte di energia in Ue.

Aiuta che l’Ue fosse già proiettata sulla strada della decarbonizzazione. Questo è uno dei motivi per cui, anche se i Paesi europei hanno dato priorità a qualsiasi fonte di energia che non fosse russa (carbone incluso), le emissioni nel 2022 sono leggermente diminuite invece di aumentare. Inoltre, il clima caldo (dividendo agrodolce del cambiamento climatico) ha ridotto la domanda di riscaldamento. Infine, molte industrie inquinanti hanno chiuso i battenti perché non potevano permettersi di pagare l’energia necessaria al loro funzionamento.

COMPETITIVITÀ, DALL’IRA AI CARBON CREDITS

Sempre nel 2022, con l’approvazione dell’Inflation Reduction Act, anche gli Stati Uniti hanno ufficialmente iniziato un massiccio processo di transizione energetica – condito dalla volontà di competere, e vincere, nei vari settori delle tecnologie pulite. E immediatamente le industrie Ue (già piegate dal caro-energia) hanno visto come una minaccia esistenziale i massicci sussidi statunitensi (quasi 370 miliardi di dollari) per imprimere un’accelerazione. Ma sebbene Washington e Bruxelles si siano mosse per evitare una guerra commerciale con l’Ue, la Casa Bianca sta tenendo la barra dritta.

Parlando al Financial Times, John Podesta (oggi consigliere senior di Joe Biden per l’innovazione e l’implementazione dell’energia pulita, nonché uno degli ideatori del maxi pacchetto di leggi per la transizione) ha ribadito che gli Usa “non si scuseranno” per aver dato priorità all’occupazione interna. “I dollari dei contribuenti americani dovrebbero essere destinati a investimenti e posti di lavoro americani”, ha detto, invitando l’Europa ad assumersi la responsabilità di concentrarsi sul proprio settore cleantech. “Speriamo che la base industriale europea abbia successo, ma spetta all’Europa fare una parte del lavoro. Non faremo tutto noi al posto loro”.

Da parte europea c’è consapevolezza. Dall’ultimo summit del Consiglio europeo è emersa “l’intenzione della Commissione di proporre un fondo europeo per la sovranità prima dell’estate 2023”, per sostenere gli investimenti nei settori strategici. Un progetto, dunque, più che una risposta concreta (anche se si registrano movimenti Ue-Usa a monte della catena di produzione). Il rischio, dunque, è che le realtà industriali europee non possano disporre di fondi per livellare il campo di gioco (che oggi pende spaventosamente verso oriente) per altri mesi.

Nel frattempo, il prezzo del gas tornato ai livelli prebellici dovrebbe dare una misura di sollievo alle industrie europee. Anche se sulle bollette finali peserà una voce inaspettata ai più: i permessi di emissione scambiati sul mercato Ets, che questa settimana hanno sfondato per la prima volta la soglia dei 100 euro. E in ottica di competitività, finché non entrerà in azione il sistema anti-dumping europeo, questa carbon tax non rappresenta certo un vantaggio per l’Ue. Per ora, le voci riguardo all’utilizzare i proventi Ets per finanziare le industrie rimangono, appunto, voci.


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