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Elogio dell’intesa e di chi andò Oltre il Polo. Così Violante ricorda Tatarella

“Tatarella pensava a un partito conservatore moderno, ovvero quello che sta cercando di mettere in piedi oggi Giorgia Meloni”, commenta con Formiche.net l’ex presidente della Camera. La sua lezione? “In Parlamento siedono persone che la pensano diversamente e che però devono trovare una soluzione che non sia imposta dal pugno sbattuto sul tavolo, ma figlia della capacità di cedere su alcuni punti per arrivare al risultato”

L’intesa non è una parolaccia, ma la naturale utilità di una fase che porti alla soluzione dei conflitti, dice a Formiche.net l’ex presidente della Camera Luciano Violante, ricordando la figura di Pinuccio Tatarella, nel 24esimo anniversario della sua scomparsa. E osserva che la visione più lungimirante del “ministro dell’armonia” fu quella di lavorare per andare Oltre il polo: “Credo che lui pensasse a un partito conservatore moderno, ovvero quello che sta cercando di mettere in piedi oggi Giorgia Meloni”.

Tatarella, già vicepremier e ministro delle Telecomunicazioni nel primo governo Berlusconi, verrà ricordato in Senato mercoledì 8 febbraio dallo stesso Violante assieme al presidente del Senato Ignazio La Russa, al sottosegretario Alfredo Mantovano, al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e al direttore del Tg2 Nicola Rao.

Come valorizzare la richiesta che il Paese fa di moderazione? Non solo partitica o politica, ma sotto tutti i punti di vista, nella consapevolezza che è l’armonia che funziona, più dei muri e dei veti, come cemento: sia per governare, sia per coesistere.

Il conflitto è ineliminabile nella vita politica e nelle società, quelle che non hanno conflitti sono società morte. Il problema non è tanto che ci siano o no conflitti, ma come risolverli. Se il conflitto serve soltanto a definire la propria identità per scontrarsi con l’altro è un conflitto dannoso. Se, invece, va verso la moderazione delle aspettative di ciascuno e l’individuazione della soluzione, allora il conflitto è una cosa positiva. Compito della politica è manifestare le posizioni di ciascuno al fine di trovare quel punto di decisione. Un conflitto che non si riesce a chiudere è un conflitto micidiale: questa è l’armonia che apparteneva a Pinuccio Tatarella, ovvero la capacità di trovare un punto d’incontro tra gli opposti. Credo che questa sia una delle missioni della politica: in Parlamento siedono persone che la pensano diversamente, che però devono trovare una soluzione che non sia imposta dal pugno sbattuto sul tavolo, ma figlia della capacità di cedere su alcuni punti per arrivare al risultato.

Quale il senso della visione politica di Tatarella, dal Msi ad An e da An a Oltre il polo (quest’ultima un’intuizione che non sempre, dopo la sua prematura scomparsa, venne perseguita adeguatamente)?

Quella di andare Oltre Polo: credo che lui pensasse a un partito conservatore moderno, ovvero quello che sta cercando di mettere in piedi oggi Giorgia Meloni. Mi riferisco ad un partito conservatore, democratico e moderno che tagliasse i ponti con un passato discutibile e costruisse un’ ipotesi moderna di forza conservatrice. Attenzione, quando parlo di una forza conservatrice non mi riferisco ad una forza retriva, ma ad una una forza che tende a individuare i punti di conservazione di alcuni valori: questo è il punto di fondo, essere conservatori non significa essere retrivi. Poi però, a mio avviso, la natura stessa di una forza politica conservatrice è quella che individua i punti di non correzione, laddove invece i progressisti sono coloro che individuano tutti i punti da correggere progressivamente.

Sono trascorsi 24 anni da quell’intuizione di Tatarella e il centrodestra ne discute ancora. Per quali ragioni?

In Italia ci sono tre centrodestra: il primo paleo-capitalistico-mercantile che fa capo più o meno a Forza Italia; il secondo quello localistico che fa capo alla Lega di oggi; e quello conservatore-moderno che dovrebbe far capo, nel prossimo futuro, a Giorgia Meloni. Vedo tre visioni diverse, in quanto la visione mercantile non si sposa con una visione social-conservatrice, come il localismo non si sposa al mercantilismo. Trovo che il problema non sia quello di un punto d’incontro delle diverse destre, ma del predominio di una sulle altre. É accaduto in passato per Forza Italia e per la Lega: adesso accade con Fratelli d’Italia. Vedo sempre uno schema in cui uno predomina sugli altri e non c’è il dato di trovare una sintesi tra le diverse posizioni, laddove invece all’interno della sinistra la fatica è determinata dal fatto che non si accetta che sia uno solo a esercitare l’egemonia nei confronti degli altri.

In un editoriale intitolato “Repubblica presidenziale”, Tatarella sosteneva che stabilire il primato cronologico della tesi presidenzialista non ha incidenza né nel dibattito in corso, né per le soluzioni future. Ma occorre, invece, superate le rivendicazioni ideologiche di primato delle tesi e accantonati i motivi di divisione sull’attuazione dell’ipotizzata Repubblica presidenziale, procedere ad un’alleanza sul tema. Quanto è fattibile oggi?

Le tesi presidenzialiste si legano insieme a varie esigenze: di governabilità del sistema, di antichi echi che arrivano dal passato del capo-dominatore e del dato che il popolo ha sempre ragione. Sono tre punti messi insieme che, in un senso o nell’altro, spingono nella direzione del presidenzialismo. La mia opinione è questa: naturalmente non è una bestemmia il presidenzialismo, ma convive meglio in una società che non abbia conflitti particolarmente radicali. Negli Stati Uniti è andata bene sino ad Obama, dopo non più. Come è noto, in Francia il semipresidenzialismo sta funzionando poco ed è in corso una lunga discussione contro il sistema di poteri di governo del Presidente. Tenga presente che Macron è stato eletto con il 24%, cioè ha contro il 76% della popolazione. Quindi è evidentemente chiaro che poi i disordini si trasformano in conflitti.

Il presidenzialismo ha delle caratteristiche precise: c’è il comando, ma all’interno del sistema di bilanciamento dei poteri non c’è il mediatore. Le società non del tutto pacificate hanno bisogno di un mediatore: noi ce l’abbiamo nel Presidente della Repubblica. Non dimentichiamo quante difficoltà sono state superate grazie all’individuazione di questo meccanismo, che fa riferimento a una figura in grado di rimettere in equilibrio il sistema. Mi permetta una digressione sul punto.

Prego.

Se noi prendessimo ad esempio il sistema costituzionale italiano e quello tedesco, osserveremmo che la storia è abbastanza simile: entrambi hanno avuto dittature, entrambi hanno provocato la guerra, entrambi l’hanno persa ma le costituzioni sono completamente diverse. Quella tedesca è orientata alla decisione, quella italiana alla rappresentanza. Le istituzioni non sono fatte per decidere, ma per rappresentare. Dal momento che i gruppi che si contrapponevano l’uno all’altro, quello filo sovietico e quello filo occidentale, erano come legati da pari sfiducia reciproca, nessuno si fidava dell’altro e ciascuno temeva che l’altro arrivasse al governo e al potere. Inoltre nessuno sapeva chi avrebbe vinto le elezioni del ’48. Tenga presente che l’epoca di maggiore sviluppo in Italia è stata dal ’48 al ’56, quando c’era la guerra fredda esasperata e il muro di Berlino: in quel conflitto totale il sistema era fatto in modo tale che i partiti si scontravano nelle piazze e decidevano in Parlamento.

Ovvero?

Vi era un blocco soprattutto tra i due maggiori partiti, Dc e Pci, che si scontrava ferocemente nella società. Però in Parlamento bisognava decidere, perché si doveva andare avanti e c’era necessità del doppio standard. Quando i partiti hanno perso questa capacità, il sistema è andato in crisi perché è rimasto un sistema senza guida. A quel punto il Capo dello Stato si è dovuto assumere il compito di guida.

In un altro interessante scritto, Tatarella osservava: “Un contenitore arioso, non può essere solo partitico, deve essere aperto alle forze della cultura, del diritto, delle categorie professionali, dell’economia e del lavoro coscienti dell’effetto totale in tutti settori del cambiamento presidenzialista”. A tal fine proponeva “un’alleanza per il presidenzialismo” come collante in grado di tenere insieme forze diverse e lontane, poiché era il solo tema “interpartitico, interventista, trasversale”. Lo strumento dell’alleanza è replicabile oggi? E in che modo?

Abbiamo avuto due riforme approvate dal Parlamento e bocciate nel referendum, quella da destra di Berlusconi e quella da sinistra di Renzi. In entrambi i casi nel referendum non si è votato sulla riforma, si è votato contro Berlusconi e contro Renzi. Quindi il problema è di arrivare a una forma di testo sufficientemente condiviso per evitare di dover ricorrere al referendum. Mi chiedo: se vi sono dieci o venti articoli, come è poi possibile ricorrere al referendum? Con questo non voglio accantonare la forza della volontà popolare, ma io credo che vi sono temi che possono essere referendari, come l’interruzione della gravidanza e altri temi no. Non a caso gli esempi passati sono stati bocciati perché ha prevalso il dato della contrapposizione alla persona. Per cui, stando così le cose, io credo che se le parti politiche riuscissero a trovare un’intesa sul presidenzialismo si taglierebbero i tempi: mi riferisco a problemi che possono essere risolti anche dal punto vista costituzionale in modo abbastanza semplice, stabilendo che il Parlamento in seduta comune decide sulla fiducia, sulle leggi di bilancio e sulle leggi costituzionali. A mio avviso il Parlamento in seduta comune sarebbe assolutamente necessario. Ma c’è un altro tema, legato al consolidamento del sistema parlamentare. Da Conte in poi, si è visto una sorta di monocameralismo, di fatto decide una sola Camera e l’altra vota: lo dimostra il profluvio di decreti legge poi trasformati in maxiemendamento. Ma questo non ci dice che quel tipo di parlamentarismo è superato e va trovato un modo di irrobustire il Parlamento, non attraverso forzature.

Quale elemento della politica di Tatarella, e del suo modo di immaginare la vita politica, potrebbe essere messo a frutto oggi, in un momento in cui, al di là della singola polemica politica, vi sono emergenze strutturali come la crisi energetica, la guerra in Ucraina e la geopolitica che influenza alleanze e iniziative?

Capire che tra forze politiche opposte ci deve essere il conflitto, ma ci deve essere anche la soluzione del conflitto tramite l’intesa. L’intesa non è una parolaccia, in realtà il compromesso è l’essenza della politica perché è il momento in cui ci si intende tra diversi. Io credo che il punto di attualità del pensiero di Tatarella sia questo: alla fine occorre mettersi d’accordo e non battere i pugni sul tavolo. Mi piacerebbe, ad esempio, ripercorrere le vicende della legge sul cambio di forma di governo e delle Regioni. Allora si trovò un’intesa larghissima in Parlamento grazie alla capacità di costruire nelle rispettive e diverse identità. Oggi ci troviamo di fronte a questa anomalia: abbiamo un sistema regionale presidenziale, un sistema comunale presidenziale e un sistema nazionale parlamentare. La cosa sta in piedi se si consolida il governo, altrimenti certamente c’è uno squilibrio. Al momento i Consigli regionali non contano niente, così come i Consigli comunali: non possiamo certamente arrivare ad un Parlamento che non conti niente. Sarebbe grave.

@FDepalo


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