Quali saranno, per l’Italia, gli effetti della decisione europea sullo stop alle auto diesel e benzina nel 2035? Quante imprese saranno a rischio chiusura e che ne sarà della componentistica italiana, fiore all’occhiello della filiera dell’auto e polmone dell’industria tedesca dell’auto, che ancora rappresenta un buon pezzo di Pil europeo? E, soprattutto, cosa può e deve fare il governo per garantire una transizione del settore economicamente e socialmente sostenibile? Sono queste le domande finite al centro del convegno presso lo spazio eventi di Fontana di Trevi La rivoluzione dell’automotive. Le ricadute sul sistema industriale italiano e il ruolo delle imprese dotate di management, organizzato e promosso da Federmanager, con la presenza del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso.
ALLARME A QUATTRO RUOTE
Il problema non è condividere o meno le ragioni della transizione. Semmai, capire realmente l’impatto industriale e sociale di quest’ultima. Secondo uno studio Federmanager-Aiee (l’associazione degli economisti dell’energia) presentato in seno all’evento, una virata troppo spinta verso l’auto elettrica non sarebbe assorbita dalla filiera dell’automotive, che è caratterizzata principalmente da aziende di piccole dimensioni e poco managerializzate: solo il 39% delle imprese del settore è dotato di management in grado di gestire la transizione del comparto automotive.
Il rapporto nota anche che il ricorso ai manager esterni alla proprietà è comune nel 78% dei casi se si tratta di gruppi esteri operanti in Italia, mentre scende al 30% nel caso di gruppo italiano, dove predomina il modello misto di gestione, e si polverizza al 6% nel caso di imprese a conduzione familiare. Di qui l’allarme di Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager. “I manager hanno un ruolo guida. La loro presenza è funzionale a indirizzare l’impresa verso i target di innovazione e sostenibilità, tanto più in questo settore che è esposto alla competizione di player internazionali e che risente direttamente delle scelte politiche dei nostri vicini di casa, Germania in primis, dove va il 20% dell’export dell’indotto auto italiano”.
IL (FALSO) MITO DELL’AUTO ELETTRICA
Ma i numeri non finiscono qui. Mandare in pensione l’endotermico, può avere un costo molto, ma molto alto. Il comparto della componentistica, che è il cuore dell’auto italiana, è quello più esposto anche in ragione della dimensione aziendale: su 2.200 imprese, che registrano 161 mila occupati e 45 miliardi di fatturato, 500 sono fortemente a rischio, si legge ancora nello studio.
L’auto elettrica, infatti, comporta un minor livello di investimenti, stimato dal rapporto in un -25% in 10 anni dovuto al minor numero di componenti richieste, circa un sesto di quelle utilizzati dall’auto tradizionale (200 contro 1.200), e alla durata di vita più lunga dei macchinari di produzione dell’elettrico. Insomma, lo scenario porta a fare del nostro Paese il più penalizzato tra le nazioni europee produttrici di componenti in termini di riduzione di posti di lavoro, con un -37% di forza lavoro, vale a dire circa 60 mila occupati persi entro il 2040.
EVITARE L’AUTOGOL
Va bene, ma come evitare di trasformare la transizione in un clamoroso autogol industriale? Tra le proposte di Federmanager, spicca l’istituzione di un fondo per la conversione del settore. Questa misura deve essere finalizzata innanzitutto all’aggiornamento professionale, sulla scia di quanto realizzato con il Fondo nuove competenze, anche attingendo alle risorse Pnrr. “Siamo disponibili a collaborare con il governo per definire una roadmap per la transizione produttiva della mobilità sostenibile, come già fatto da diversi Paesi. Non rinunciamo all’obiettivo della decarbonizzazione”, ha spiegato Cuzzilla, “ma solo con tempi e modi certi è possibile realizzare il cambio di modello. Semplificazione burocratica e attrazione degli investimenti stranieri devono fare parte di questa unica strategia”.
GOVERNO IN AZIONE
Di sicuro il governo non se ne sta con le mani in mano. E qui, la regia è tutta di Adolfo Urso. “Siamo convinti che bisogna raggiungere obiettivi della transizione green ma bisogna affrontare la tematica con sano pragmatismo e non con ideologia preconcetta. Per la transizione digitale ed economica servono materie prime, ma noi siamo già in campo con un tavolo in materia. Non possiamo passare dalla subordinazione e sudditanza dalla Russia per l’energia a quella della Cina per le materie prime e le tecnologie: passeremmo dalla padella alla brace. E per evitarlo lo dobbiamo costruire autonomia strategica”, ha attaccato Urso.
Non è tutto. “Per la prima volta nel Parlamento europeo si manifesta una forte e sempre più significativa opposizione alla politica ideologica della Commissione. Due dossier, quello sull’euro 7 e quello sulla Co2, cioè sui veicoli pesanti: su questi dossier non daremo tregua. C’è sempre più consapevolezza che su questi due dossier dobbiamo imporre una visione pragmatica a questa Commissione, o lo farà la prossima, perché nel 2024 si vota e questa sempre più larga opposizione ad una visione ideologica probabilmente diventerà maggioranza”, e sono temi che potranno essere affrontati “in un contesto politico-istituzionale ben diverso da quello attuale, frutto della visione ideologica dell’Europa di 4-5 anni fa”.